In nome del paradiso in terra promesso dalla tecnica, abbiamo eliminato il morire dal nostro vocabolario, è diventato ripugnante come lo è il diventar vecchi e come lo sono tutti quei segni che denunciano la vecchiaia
ma abbiamo solo quella ..se capissimo almeno questo..forse arriveremmo a ravvederci,prima, dell'estrema unzione ..grazie a Leretico.
Un tempo gli uomini credevano agli eterni, e la vita per la morte aveva un senso, quello di viverla in funzione di quelli; oggi, come ha sapientemente tratteggiato Leretico, la vita non ha un senso, perché il paradiso della tecnica, fondato su quelle ceneri, ci salva da quasi tutto in Terra e ci rende felici, ma è una felicità effimera, non garantita da "verità", in quanto gli eterni sono tramontati. L'angoscia per la morte è quindi un angoscia terribile, non più sostenuta dal cambiamento del solo essere: prima era quello di un'altra realtà, quella ultraterrena, edificata proprio per dare un senso alla vita; con il suo tramonto, con il tramonto degli eterni, è il "nulla" l'unico eterno. Ma tra l'essere e il nulla vi è l'abisso a colmarne lo spazio che li separa e l'angoscia per la "possibile" perdita della "felicità" è incommensurabilmente maggiore di quando a preservarne un senso troneggiavano gli dei
dell'eterno. Un conto è perdere, nel diventare altro, qualche dimensione (corporale?) o credere di non perderne alcuna, di ciò che siamo, un altro è pensare che tutto ciò che siamo va nel nulla: questo il lato del terrore inguardabile e indicibile, ma anche inalienabile del senso che diamo alle cose e infine del paradiso della Tecnica, che alimenta ogni nostro desiderio qui in Terra, ma, questo desiderio di vivere, non lo assicura che con nulla. Per questo motivo la morte non va nemmeno nominata...
caro Leretico, abbiamo parlato di te con un comune amico. Grazie per i tuoi scritti. Vallesabbianews ed i lettori devono essere grati per questa "terza pagina" ricca di cultura.Hai scritto "Ci immedesimiamo perché come lui, piangeremmo di fronte a quella morte e all’angoscia che il pensiero di essa ci provocherebbe. Non siamo forti abbastanza per capire che la nostra vita piena di cose." Non tutti hanno questa reazione di fronte alla morte. Pablo Nerdua ha titolato un libro "Confesso che ho vissuto" ecco potrebbe esseere una buona e semplice risposta. Grazie.
anche l'amicizia, come la "morte", non è assicurata che da nulla. Cercare di definirne concretamente e eternamente l'esistenza tramonta come ogni apologia del "bene" (senso tradizionale della filosofia) e al posto sorge quella forza nella vita piena di cose, perché queste, anche se effimere e temporali, unica loro "verità" o "verità storica", garantiscono almeno una vita "piena" se non una vita "eterna". Ad un senso di "eternità" il pensiero, che non sopporta il "nulla", sostituisce il "pieno", il "satollo", l'"esaustivo" riempimento di questa vita qua..
Sciascia, che tu citi nel post, in una famosa intervista, quando già le forze cominciavano a mancargli, disse "Vorrei raccontare il morire, la morte come esperienza. Il che ha tentato impareggiabilmente Tolstoj. Mi limito dunque ad avere, nei riguardi della morte, della mia morte, un'ultima suprema curiosità intellettuale. Il che rende questo dominante pensiero della morte meno grave, meno ossessivo: come ogni attesa cui un sentimento di curiosità si accompagna". Grazie anche da parte mia delle belle pagine che riservi alla testata.
La morte come liberaziione dalle sofferenze, dalla menzogna, da una vita insulsa fatta di formalismi, e' una consolazione per Ivan Ilic. Affari suoi verrebbe voglia di dire. Mi piace invece la citazione di Neruda dell'amico gubott: "confesso che ho vissuto"
l'ho letto con molto piacere alcuni anni fa, mi riproponevo ogni tanto di tornare a rileggerlo, ora sò che lo farò
Complimenti sinceri, questa sua pagina ha la stessa leggerezza profonda dei racconti di Cechov.
Grazie Leretico per il tuo scritto,interessante e profondo,mi è piaciuto molto.Anch'io ho letto il libro di Neruda "Confesso che ho vissuto", una poesia!!
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ID52033 - 18/11/2014 09:53:04 - (Giacomino) - Ivan Illich
é stato fortunato a riuscire a capire il senso della vita almeno alla fine della sua vita (e grande Tolstoj).