22 Maggio 2023, 07.06
Blog - Eppur si muove

Difendere lo spirito europeo

di Leretico

Che cosa accomuna il massacro di Katyn del 1940 all'odierna invasione russa dell'Ucraina?


Il 23 agosto 1939 la Russia di Stalin e la Germania di Hitler firmarono un patto di non aggressione attraverso i propri ministri degli Affari Esteri di allora Vyacheslav Molotov e Joachim von Ribbentrop.
Quel patto passò alla storia con i cognomi dei due ministri e fu il momento in cui di fatto cominciò la Seconda Guerra mondiale.
Il primo settembre i nazisti tedeschi entrarono in Polonia, due settimane dopo fecero lo stesso, da est, i sovietici.

Si scoprì solo dopo che insieme al patto di non aggressione era stato firmato anche un protocollo segreto in cui si prevedeva la spartizione della Polonia tra i due aggressori.
L’imprevedibile alleanza tra due nazioni, ideologicamente opposte e potenzialmente avversarie, generò in quel momento profondo smarrimento nelle sinistre europee: Stalin si era alleato con i nazisti e gli permetteva di realizzare quei tragici sogni di dominio che invece avrebbe dovuto ostacolare.

I motivi erano chiari: l’URSS aveva i suoi piani per la conquista del dominio in Europa e la Polonia era il primo passo. Stesso obiettivo aveva Hitler, cosa per cui quell’alleanza non sarebbe durata a lungo.

Durante l’’invasione della Polonia i sovietici fecero circa 250.000 prigionieri tra cui c’erano diversi ufficiali, alti funzionari statali e un notevole numero di persone fermate per ragioni politiche.

Il 14 marzo 1940, il ministro degli Interni, Lavrentiy Beria ordinò ai capi delle direzioni regionali della NKVD (il Commissariato del popolo per gli Affari Interni dell’URSS) di cominciare a sopprimere quei prigionieri, allo scopo di fiaccare ogni resistenza del popolo polacco appena sottomesso.

Fu così che 21.857 cittadini polacchi furono uccisi e seppelliti nella foresta vicina a Katyn, oggi in territorio bielorusso a metà strada tra Minsk e Kiev, a 25 km a ovest dalla città di Smolensk.

Durante il processo di Norimberga (novembre 1945 – ottobre 1946) il tema del massacro di Katyn emerse chiaramente, ma il fatto che i russi in quel momento storico sedessero al tavolo dei vincitori, permise loro di addossare facilmente la responsabilità dell’eccidio alle truppe naziste, facendo passare tutta la questione in secondo piano.

La successiva guerra fredda contribuì all’occultamento di quel crimine di guerra e solo con la fine del comunismo nel 1989 e la fine dell’URSS nel 1991 ci fu la corretta attribuzione ai russi delle responsabilità dell’eccidio, anche grazie alla politica di “trasparenza” voluta da Michail Gorbaciov.

Con questa apertura si poté inquadrare meglio la logica di quella strage efferata, tesa tatticamente all’indebolimento del sentimento nazionale polacco, per meglio controllare il territorio appena conquistato, privandolo dei suoi leader e dell’élite intellettuale più importante.
Tale logica si iscriveva necessariamente in una più ampia strategia di conquista dell’occidente, da tempo in elaborazione da parte di Stalin, e portata avanti con mezzi non meno crudeli di quelli che resero noti più tardi i nazisti.

Sappiamo cosa successe dopo: l’attacco di Hitler alla Russia nel giugno del 1941, la sorpresa e l’immobilismo di Stalin nei primi mesi dell’invasione, la reazione successiva aiutata dai nuovi alleati occidentali, in primis Sati Uniti e Gran Bretagna, la vittoria finale sui tedeschi e l’espansione del dominio sovietico verso ovest fino a coprire una parte della Germania, la Polonia, la Cecoslovacchia, l’Ungheria, la Romania e la Bulgaria.

Una parte della strategia di Stalin si realizzava
mentre cominciava la guerra fredda e contemporaneamente la divisione del mondo in due blocchi contrapposti.

Proviamo ora a leggere gli avvenimenti di Khatyn accaduti nel 1940, legandoli ai fatti tragici che oggi avvengono in Ucraina.

Proviamo a leggere gli elementi che accomunano l’aggressione sovietica della Polonia nel 1939, con l’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin del febbraio 2022. Potremmo renderci conto di come la strategia russa nei due casi sia molto simile: espansione a ovest approfittando della debolezza militare del paese da invadere, allora la Polonia, oggi l’Ucraina.

A questo potremmo aggiungere il desiderio, mai sopito tra i russi, di tornare ad essere la potenza mondiale alternativa agli Stati Uniti, di riconquistare quella dignità di grande potenza nucleare perduta con il crollo del comunismo.

Cosa ci ripropone dunque Putin con la “sua” invasione dell’Ucraina se non lo stesso schema già visto nel 1939?
E perché non dovremmo pensare che, se ne avesse la possibilità, concentrerebbe in qualche campo di sterminio centinaia di migliaia di ucraini per poi massacrarli come fecero i suoi predecessori nel 1940? Perché dovremmo pensare il contrario se sappiamo che l’obiettivo russo è quello di ripristinare il dominio perduto nel 1989?

Pensando al massacro di Khatyn possiamo capire perché la Polonia sia uno degli alleati più importanti dell’Ucraina, e come lo siano tutti quei paesi dell’Europa centrale che subirono per decenni il dominio soffocante dei comunisti sovietici. Lo sono senz’altro buona parte degli ungheresi che subirono l’invasione russa nel 1956, lo sono i Cechi che ben si ricordano i carri armati sovietici che nel 1968 stroncarono la “Primavera di Praga”. E lo sono anche i cittadini dei Paesi Baltici, i finlandesi e gli svedesi, troppo vicini al confine russo per non temere pericoli concreti, ora che l’equilibrio internazionale e geopolitco è definitivamente compromesso.

Tuttavia, non è solo la paura che tiene insieme questi paesi, ma anche un’idea di Europa che da secoli è nel loro DNA e, sebbene un po’ appannato, sebbene quasi dimenticato, esiste anche nei paesi più a ovest, compreso il nostro.

Stiamo parlando di quel sentimento che incontriamo leggendo il saggio “Un occidente prigioniero” (Adelphi 2021) che raccoglie il contributo di Milan Kundera, approntato per il IV Congresso dell’Unione degli scrittori tenutosi a Praga nel 1967.

In questo agile libricino possiamo recuperare il significato di Europa che anima polacchi, cechi, ungheresi e, per estensione, anche gli ucraini.

Scrive Kundera: “Cosa rappresenta in realtà l’Europa per un ungherese, un ceco, un polacco?
Sin dalle origini, queste nazioni appartenevano alla parte d’Europa radicata nella cristianità romana. Partecipavano a tutte le fasi della sua storia.
Per loro la parola «Europa» non è un fenomeno geografico, ma una nozione spirituale, sinonimo di «Occidente»”.


E noi aggiungiamo che è questo spirito a spingere gli ucraini a non arrendersi all’invasione russa, a indurre gli altri paesi europei a non accettare il comportamento scellerato dei russi.
Difendere gli ucraini significa difendere quell’Europa di cui parla lo scrittore di origini ceche Milan Kundera, l’Europa delle nazioni che non vogliono soccombere alle logiche di dominio di chi vuole nostalgicamente ricostituire un impero ormai perduto.

Le parole di Kundera furono un grido di dolore di una parte di Europa dimenticata dai paesi occidentali durante il dominio comunista russo.
Quelle parole risuonano ora come monito per non dimenticare che la democrazia e la libertà, conquistate dagli europei occidentali dopo il 1945, e da tanti paesi dell’Europa centrale solo dopo il 1989, non sono scontate.

Necessitano di impegno continuo per la loro difesa, di aiuto concreto nei momenti tragici in cui rischiano di essere travolte.

Leretico




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