28 Novembre 2020, 06.28
Blog - Circolo Scrittori Instabili

Fantasmi a luci rosse - terza parte

di Alessandro Tondini

3 – La pellicola pornografica.
L’orologio segnava le ventitre e quarantacinque...


... Gitta, dopo la lunga e seria disquisizione sulla sua famiglia e sul dono che le era stato tramandato, aveva ripreso il suo fare allegro. La chiacchierata era tornata su argomenti abituali e Paolo si stava già dimenticando il motivo per il quale la splendida ragazza si trovava nel suo appartamento.

«Vuoi bere qualcosa? Dovrei avere una bottiglia di cognac», le chiese.

«No Paolo», rispose gentile, ma severa, «dobbiamo rimanere sobri e lucidi, tra non molto le voci torneranno a farsi sentire».

Eccomi ricondotto all’ordine, pensò Paolo.

«È quasi mezzanotte, non manca molto e… », aggiunse con un sorriso ironico, «ti ricordi l’ora in cui hai cominciato a sentire i lamenti, vero?»

Ormai non ricordava tanto bene, forse mezzanotte e mezza, forse l’una. Gitta era lì con lui e il suo mediocre cervello di maschio aveva derubricato tutta la faccenda misteriosa a un mero avvenimento curioso.

«Mezzanotte e trenta?», rispose sperando di averci azzeccato.

«Mezzanotte e diciannove. Controlla l’orologio e vedrai che tutto si ripeterà al medesimo orario, non un minuto prima, né uno dopo»

Paolo sorrise e disse: «Ok, allora restiamo in attesa e facciamo un bel brindisi, con l’acqua minerale».

Diciotto minuti dopo la mezzanotte Gitta appoggiò il capo sulla testiera del divano e chiuse gli occhi. Paolo rimase imbambolato a guardarla.

Lei allungò un braccio, gli prese la mano e sussurrò: «Chiudi gli occhi anche tu e aspetta».

Percepire col tatto la pelle morbida e fresca di Gitta non l’aiutava a rilassarsi, ma d’improvviso un tremito simile a una scarica elettrica si diffuse dalla sua mano a tutto il resto del corpo. Come se gli fosse stata iniettata una sostanza calmante, si sentì leggero e disteso. Tutte le finestre della sua testa erano state spalancate e una corrente d’aria aveva purificato la sua mente.

I gemiti cominciarono a farsi sentire, ma questa volta Paolo non li avvertiva con l’udito, erano fuori e dentro di lui e, poco a poco, crescevano di intensità. Riusciva perfino a captare i sospiri e il lieve fruscio emesso dai corpi struscianti. In un attimo all’amplesso si sostituì un turbine d’angoscia colmo di rumori e grida. Paolo riuscì a distinguere il fracasso prodotto da cumuli di piatti rotti, un forte stridio di pneumatici e poi urla strazianti e odore di fumo. Tutto cessò di colpo.

Gitta fece un sobbalzo, Paolo si voltò verso di lei e non la riconobbe. Il viso di Gitta era pietrificato: un calco di marmo latteo irradiato da venature violacee. Gli occhi erano diventati due buchi neri che risucchiavano la luce della stanza e, dove c’era la bocca, si era aperta una voragine dalla quale scaturiva una voce proveniente dal ventre della terra: «Trovatela, trovate la pellicola, riavvolgetela per l’ultima volta e… dateci la pace!».

Gitta fece una breve pausa per poi sprigionare un acuto così lungo e vibrante da fare invidia alla migliore soprano di tutti i tempi. I vetri delle finestre sembrarono sul punto di esplodere. Paolo si tappò le orecchie in attesa del disastro, ma non accadde nulla: il silenzio sostituì il fragore e Gitta tornò a essere la Gitta di tutti i giorni. Sembrava non fosse successo niente quando invece tutto era accaduto.

«Hai capito Paolo?», gli disse con naturale dolcezza.

Cazzo devo capire? Sembrava di essere nel film L’esorcista! pensò Paolo senza fiatare.

Gitta proseguì: «Hanno chiesto il nostro aiuto. Dobbiamo trovare la pellicola, proiettarla e fare in modo che le loro anime vadano alla luce».

Paolo era sconcertato: «Quale pellicola? E chi è che avrebbe chiesto aiuto?»

Gitta rise, si avvicinò al suo viso, gli accarezzò le guance e gli diede un bacio.

«Domani andremo alla ricerca del proprietario del cinema», sussurrò Gitta. Lo baciò ancora e aggiunse: «Adesso ci dobbiamo rilassare».

Paolo venne svegliato dalla luce del nuovo giorno, aprì gli occhi e vide il viso di Gitta accarezzato da un raggio di sole. Accanto a lui non dormiva una donna qualsiasi, bensì una rivelazione soprannaturale. Cos’altro avrebbe potuto desiderare? Si sentì in dovere di ringraziare. Ringraziò la sua vita, la sua stessa esistenza e ringraziò perché Gitta era lì con lui. Anche lei aprì gli occhi, i loro sguardi si incrociarono e si sorrisero. L’orologio segnava le otto e trenta. Avrebbero potuto rimanere a letto, continuare a dormire, fare l’amore o solo restare vicini, ma avevano una missione da compiere.

«Mi hai detto che il cinema si chiamava Rizz, dal nome del suo proprietario vero?», chiese Gitta.

«Così mi ha raccontato il Savoldi. Il nome del proprietario era Rizzi, ma io non ho la più pallida idea di dove possa vivere, e nemmeno so se è ancora vivo», rispose Paolo.

«Chiama questo Savoldi e chiedigli informazioni, vedrai che lui lo sa»

«Seee lo chiamo, ma già m’immagino le sue battute»

Gitta rise: «Pazienza se ti prenderà in giro, noi dobbiamo trovare Rizzi».

«Ok», disse Paolo sconfortato, «facciamoci prendere un po’ per il culo… ».

La telefonata non durò molto. Tra una risata, una battuta e un’altra risata, il Savoldi diede a Paolo l’indirizzo del signor Marcello Rizzi e concluse: «Ahahah, Guarda che il Rizzi non vede l’ora di raccontare le sue storielle, ahahah».

Paolo ringraziò Savoldi, il luogo indicato non era lontano. La casa del Rizzi era una villetta bifamiliare all’interno di uno di quei villaggi popolari costruiti negli anni sessanta. Un luogo tranquillo composto da strade strette e giardini ben curati in cui facevano buona guardia piccoli cagnetti incazzosi. Quello del Rizzi sembrava il più furioso.

«Speriamo sia più simpatico del suo cane», mormorò Paolo, «vabbe’ suoniamo».

«Non ti farai mica intimorire da questa bestiolina?», disse Gitta ridendo.

Dalla porta uscì un signore anziano, non molto alto ma piuttosto in forma. Il suo sguardo faceva il paio con la ferocia del suo cane. Paolo si era preparato la storiella dell’appassionato di cinema che necessitava di consigli per l’apertura di una saletta cinematografica d’essai. All’udire della parola cinema al Rizzi cambiarono i connotati: il suo viso si trasformò in un’espressione di beatitudine e li fece subito accomodare. Pure il cane si acquietò di botto e si mise a fare le feste a Gitta. Il Rizzi li portò di corsa in una saletta in cui era custodita una collezione di proiettori di varie epoche e, dopo averli fatti accomodare su delle sedie da regista, si dilungò a raccontare del suo sconfinato amore per la settima arte e del suo adorato cinema Rizz.

«Purtroppo», disse con un certo rammarico, «per poter sbarcare il lunario, dovetti trasformare la mia sala in un cinema a luci rosse. Però, anche in quel contesto, riuscii a portare pellicole innovative».

«In che senso?», chiese curioso Paolo.

«Tutte le novità del genere, con gli attori più famosi come Pontello e la Staller e poi anche qualche film con una vaga trama, con qualche scena osé in meno e qualche dialogo in più. Be’ insomma, più o meno», rise facendo l’occhiolino a Gitta.

«Mi hanno raccontato che il cinema venne distrutto da un incendio», proseguì Paolo.

Il Rizzi si rabbuiò: «Pensi che è stato l’ultimo giorno di proiezioni. Una vera sciagura. Avevo organizzato una non-stop di film dalla mattina alla notte. L’ultima pellicola si intitolava “Le pornocuoche”, titolo non molto fantasioso, ma almeno il film non iniziava subito con le scopate o le orge. Le due protagoniste erano due cuoche che utilizzavano sostanze afrodisiache per far eccitare i commensali. Nella scena madre le due cuoche assaggiano un po’ troppo i loro manicaretti così si eccitano e iniziano a baciarsi, a spogliarsi eccetera finché sull’onda dell’entusiasmo si bruciano sui i fornelli. Pensate che coincidenza: proprio durante quella scena la pellicola prese fuoco e questo si propagò nel locale».

«Che incredibile casualità», esclamò Gitta.

Il Rizzi la guardò sbarrando gli occhi e aggiunse: «Ma lo sa cosa è successo davvero di incredibile? Pochi giorni dopo la chiusura del mio cinema, le due attrici sono morte carbonizzate in due distinti incidenti stradali. Una coincidenza davvero tremenda».

Gitta chiese a Rizzi: «Lei sa se, per caso, esiste una copia di quella pellicola?»

«Chi lo sa, bisognerebbe fare una ricerca, ma dubito. Ormai sono passati quasi trent’anni».

Chiacchierarono ancora un po’ e, quando si salutarono, Paolo promise al Rizzi che l’avrebbe tenuto al corrente sui progressi della sua saletta d’essai.

Fuori dall’abitazione Paolo chiese a Gitta: «Ma come cavolo facciamo a trovare la pellicola?»

Gitta lo guardò con tenera commiserazione, gli sorrise come sapeva fare solo lei e rispose: «Si va a Budapest, tesoro mio… »

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