22 Dicembre 2020, 07.03
Blog - Circolo Scrittori Instabili

Fumetto con vista

di Sabrina Angiolilli

Fin da bambino, avevo sempre sognato di diventare il protagonista di un fumetto, il Supereroe, quello che è sempre dalla parte dei buoni, quello che arriva sempre al momento giusto...


... L’avevo sognato così intensamente, che una volta adulto, ho fatto in modo che diventasse realtà, non diventandolo ma disegnandoli: sono un fumettista.

Sì, vivo disegnando fumetti. Oddio non è un gran vivere, basta che vi guardiate attorno. Vivo in un monolocale, dove quando decido di andare a dormire, inizia un gioco all’incastro: devo spostare il tavolo, aprire il divano, mettere il telescopio davanti alla porta d’ingresso, sopratutto devo essere certo di essermi portato tutto l’occorrente per la notte al di qua della barricata, altrimenti sono costretto a crearmi un varco e ad attivare i poteri magici come i miei supereroi.

In quell’angolo, lì in fondo, c’è la cucina, se cucina si può chiamare un fornello da campo, un lavabo microscopico e un frigo che all’apertura produce un suono così stridulo e fastidioso, che mi ha costretto – per non impazzire – a munirmi di tappi anti-umore, che indosso ogni volta che voglio cucinare come se entrassi in un campo minato.

In realtà alla fine della settimana, il mio appartamento sembra proprio un campo minato, piatti e bicchieri sparsi un po’ ovunque sul pavimento, copie di bozzetti coperti da macchie di caffè e cera di candela, insomma… un vero disastro. Concludo il tour virtuale aprendovi la stanza da bagno, un luogo dove l’umidità ha fatto un gran lavoro donando ai muri scrostati quell’aria vintage che non mi dispiace; e poi c’è il lucernario, che nelle giornate di sole, diventa un occhio di bue che illumina il mio Ego in questo palcoscenico terrestre, mentre nelle giornate invernali è un cono di luce divino, che mi ricorda che presto arriverà il giorno del giudizio universale. Questo “splendido” appartamento, in cui sono in affitto, si trova dentro una triste palazzina alla periferia di Piacenza e, come tutte le periferie, è ricca di storie e di vita vissuta.

La stessa vita che da un anno, in questo laboratorio che è casa mia, seduto in quel tavolo vicino alla finestra, rappresento, creo e narro nei miei fumetti. Comunque, mi presento: sono Mauro, un illustratore, uno dei pochi rimasti che disegna ancora a mano libera, per gli amici Cervellix, come l’avatar protagonista dei miei fumetti. Il mio soprannome rivela molto del mio carattere e della mia essenza. Sono un uomo celebrale, molto radicato, in lotta costante con la sua parte creativa, eterea, la stessa che gli permette di guadagnarsi da vivere. Ho deciso un anno fa di chiudermi in casa e far diventare quella finestra l’unico mio sguardo sul mondo, ho continuato a disegnare ispirando le mie storie a l’unico scenario possibile, la parte di quartiere che vedevo dalla mia finestra e a usare le persone come protagonisti dei miei fumetti. Ho cominciato a immaginare la loro vita, a osservare i loro volti, a interpretare le loro emozioni (la rigidità di un arto, la gioia di un volto, il colore di un abito) e scriverne una storia. Tutto attraverso la finestra, tutto senza mai uscire dal mio bunker, vedo come in un film la vita degli altri che scorre e – fino a ora – non mi ero mai accorto che anche la mia sta trascorrendo in un susseguirsi di stagioni senza un reale cambiamento, senza un imprevisto, un qualcosa che metta in discussione la mia routine. Fino a oggi, giorno in cui un personaggio dei miei fumetti si è materializzato davanti alla mia porta.

Il citofono aveva suonato con insistenza, perché ero molto titubante nel rispondere, ero sicuro di non aspettare nessuno, non avevo ordinato cibo, non era il giorno della consegna della posta, ma allora chi mai poteva essere? Avevo risposto cauto e una voce molto sensuale mi ha chiesto di parlare con Cervellix.

Le ho chiesto chi fosse e che forse aveva sbagliato citofono, ma la donna ha replicato con fermezza:

“Parlo con Cervellix? Io sono Lady Flower.”

Per un attimo ho pensato di essere impazzito, in preda ad allucinazioni, i miei personaggi si stavano materializzando e venivano a chiedermi il conto. Ma poi ho fatto la cosa più sensata e le ho aperto la porta. Volevo proprio sentire cosa voleva dirmi Lady Flower.

“Quinto piano, senza ascensore, mi dispiace, prima porta a sinistra.”

“Conosco bene la strada, non si preoccupi, io abito sul suo stesso pianerottolo, anzi precisamente di fronte a la sua porta.”

Questa conversazione sembrava sempre più irreale e mi aveva già messo in uno stato di ansia, avevo la protagonista principale del mio fumetto Lady Flower che abitava sul mio pianerottolo e non lo avevo mai saputo?

Certo per me era improbabile incontrarla, visto che sono da più di un anno chiuso qui dentro. Dopo la fine della mia storia d’amore, volevo sparire dalla faccia della terra, ma non avendo il coraggio di cambiare completamente vita, avevo deciso di chiudermi in casa e precludermi qualsiasi forma o espressione relazionale e emozionale. Per non impazzire, ho cominciato a creare i miei personaggi e vivere attraverso di loro… e ora una di queste mi veniva addirittura a conoscere personalmente.

Avevo cercato di dare una parvenza di ordine a un appartamento che da un anno non vedeva altri passi che i miei e soprattutto ero molto teso, perché stava entrando una donna e avrei dovuto relazionarmi con lei, ero davvero molto imbarazzato.

Mentre i mie pensieri viaggiavano senza un senso, dei passi si avvicinavano alla porta, il campanello aveva suonatpe e dopo un gran respiro mi ero deciso ad aprire la porta.

Mi sono trovato di fronte a una splendida donna di trent’anni: lineamenti molto delicati, capelli scuri e un fiore, presenza costante nel suo abbigliamento (questa volta era una camicia con un grande girasole disegnato su una manica).

“Ciao, entra, scusa il disordine, ma sai non aspettavo visite.”

“Lo so. Come ti dicevo abito di fronte e l’unica cosa che mi faceva pensare che ci fosse un essere vivente al di là della porta, era qualche rumore che sentivo ogni tanto, insieme a uno strano stridìo a cadenza regolare, come un motore in partenza.”

“Sì, certo, è il mio frigorifero, non credevo si sentisse fino fuori, io ormai faccio uso di tappi quindi non mi crea nessun problema. Entra e siediti dove vuoi, o meglio dove trovi un po di spazio.”

Avevo schizzi e bozze di disegni dappertutto, stavo creando un nuovo episodio ed ero in preda a quei blocchi creativi, quelle nebbie che sembrano impossessarsi del tuo cervello e che sono una vera e propria spada di Damocle.

“Questa se non sbaglio sono io, Miss Flower, giusto?”, mi stava indicando un foglio sul pavimento, “mi piace molto questo nome, anzi devi sapere che dal momento in cui ho capito di essere io Lady Flower ho cercato ogni giorno di incrociare sulla mia strada dei fiori: veri, dipinti, sugli abiti, sugli oggetti, sono diventata una flower dipendente.”

“Mi stai dicendo che io credevo di disegnare un mondo reale, di persone che non conoscevano la mia esistenza e invece tu con consapevolezza mi hai aiutato a creare il tuo personaggio? E, soprattutto, come hai capito che ero io l’illustratore?”

“Io adoro i fumetti e, come ben sai, una versione short è inserita ogni giovedì come inserto nel Comic Paper, il mio giornale preferito. La cosa che mi tornava molto famigliare erano i luoghi che disegnavi, che fosse la panetteria in fondo alla strada, o quel palazzo dal colore improponibile, o la bottega del calzolaio come ormai non ne esistono più, tutto ma davvero tutto mi risuonava molto familiare. La conferma l’ho avuta quando ho visto che la protagonista, Lady Flower, aveva un cactus disegnato sul braccio sinistro, legato a un palloncino il cui filo si intrecciava proprio come quello sul mio braccio, non poteva essere una coincidenza. E poi una mattina mentre compravo la rivista, ho sentito il giornalaio dire che l’illustratore viveva proprio nel nostro quartiere, in via San Donnino n.5.“

“Che storia interessante, ti offro un caffè?”

“Sì, grazie. Però avrei anche io due domande da farti. Forse per la prima ho già trovato la risposta”

e mi indica il telescopio posizionato vicino la finestra. “sicuramente non lo usi per guardare le stelle. Ecco come facevi ad essere cosi meticoloso nelle raffigurazioni dei personaggi, ed ecco come sei riuscito a vedere il mio cactus! La seconda domanda invece è più personale: mi spieghi perché vivi chiuso qui dentro agli arresti domiciliari? Hai una pena da espiare, magari sei un serial killer con una gran vena creativa?”

“So di deluderti, ma niente di cosi oscuro e enigmatico, sono un ragazzo normalissimo, che alla fine della storia d’amore più importante della sua vita ha deciso di tagliare fuori il mondo. Ma non voglio parlare di questo, preferisco ascoltare te, quando mi ricapita di avere dal vivo la protagonista del mio fumetto? Sono riuscito a carpire qualcosa della tua vita reale? C’è qualche tratto del personaggio in cui ti puoi rispecchiare?”

“Allora, iniziamo dalla mia reale professione, purtroppo non sono la fioraia, spensierata e romantica che tu hai immaginato, sono un noioso topo da laboratorio, una ricercatrice. Tutto il giorno attaccata al microscopio a osservare i miei batteri, in un ambiente senza colore e profumi. Ma ti dirò, che da quando ho cominciato a riconoscermi nel personaggio che mi hai creato ho iniziato a fare miei alcuni suoi atteggiamenti, come se fosse una mia parte nascosta che tu eri riuscito a colorare. La mia parte solare e spensierata che non mi dispiaceva affatto. Per prima cosa mi sono comperata dei fiori ogni giorno, il fioraio mi prepara una composizione assecondando il mood del giorno e porto un po’ di vita nel mio grigio laboratorio. Poi ho preso l’abitudine di mettermi il rossetto rosso, e non usavo neppure il lucidalabbra, trovo terribilmente sexy il rossetto di Miss Flower.“

“Direi che questo incontro sta diventando molto interessante. E cosa mi dici del tuo amorevole fidanzato, il panettiere in fondo alla strada, che ogni mattina ti delizia con un caldo cornetto alla crema? È stato un amore travolgente o qualcosa che è cresciuto piano piano con il tempo?”

“Mi dispiace deluderti, ma quel bellissimo ragazzo biondo, è – ascolta ascolta – mio figlio. Sono stata una ragazza molto precoce, sempre innamorata dell’amore e, purtroppo, regolarmente smentita… in una delle mie travolgenti storie è nato mio figlio Emanuele, il solo uomo della mia vita.”

“Scusami, penso davvero di aver fatto lavorare troppo la fantasia e di aver creato un mondo parallelo completamente irreale. Eppure i vostri baci erano cosi passionali… e quel dono che ogni giorno ti offre… tutto sembrava confermare una relazione. Credevo di aver capito tutto, che presuntuoso! Allora, per dare un ulteriore insegnamento al mio Ego ti chiedo: parlami di Mister Rosemary, l’uomo che va in giro costantemente con un ciuffo di rosmarino nel taschino, quale arcano mistero nasconde? Sono in un blocco creativo e magari se mi dai qualche informazione reale, potrei modificarla e risolvere il mio problema.”

“Mi dispiace, ma penso che quello che ti dirò ora, non farà per niente bene al tuo Ego: come ti dicevo prima, a un certo punto nel quartiere si e cominciata a spargere la voce di questo fumettista che spiava dalla finestra di casa sua tutte le persone in strada e, sopratutto, molti si erano riconosciuti nei personaggi e questa cosa a volte non piaceva affatto. Quindi si è pensato di comune accordo di creare anche noi un gioco, una realtà virtuale da proporti per testare la tua creatività e Mister Rosemary è esattamente questo.”

“Aspetta, penso di non aver capito bene… o forse ho capito… questa cosa è davvero orribile! Voi avete creato un finto mondo che si muove entro il mio raggio d’azione visivo per vedere quanto ero bravo a inventarci su delle storie?”

“Mettiamola così: abbiamo creato un laboratorio en plein air per stimolare la tua fantasia. Se tu fossi per caso all’improvviso sceso, avresti visto un palcoscenico dove gli attori girato l’angolo si liberavano dei vestiti di scena e cominciavano la loro vita reale. Si usciva da casa con i vestiti di scena, si studiava il copione del giorno e poi si ci cambiava. Abbiamo creato un vero e proprio camerino dentro il bar, dove il tuo telescopio non può arrivare.”

A quel punto ero senza parole. Non sapevo se essere arrabbiato per la grande farsa o essere felice che tutte quelle persone avessero dedicato del tempo per diventare parte attiva e creatrice del mio progetto. Di una cosa ero certo, ormai non avrei potuto più continuare come prima, non potevo far finta di niente.

GAME OVER.

“Bene, forse ora posso andare, credo di averti detto tutto”, Miss Flower si stava facendo spazio tra tutti gli ostacoli presenti sul pavimento per uscire di scena.

“Forse sì, però mi resta solo un’ultima domanda da farti: perché hai deciso proprio in questo momento di venire a rivelarmi tutto? C’è anche qui un piano segreto da svelare?”

“In realtà mettiamola cosi: abbiamo deciso, di comune accordo, che questo gioco ci stava prendendo la mano e che la nostra vita virtuale era diventata più importante di quella reale e quindi… eccomi qui a dirti che da domani da quella finestra vedrai solo normalissime persone dentro una normalissima vita.”

“Capisco, hai ragione. Allora forse da domani ci incontreremo sul pianerottolo. Avrò perso la protagonista del mio fumetto, ma ho acquistato una normalissima vicina.”

Mi ha fatto un sorriso prima di scomparire dietro la porta.

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Per gentile concessione del Circolo Scrittori Instabili, blog sul quale si sperimentano gli appassionati che hanno frequentato i corsi di scrittura creativa tenuti da Barbara Favaro.



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