29 Novembre 2022, 06.37
Blog - Eppur si muove

L'avventura di due poveri cristiani

di Leretico

In un freddo pomeriggio di novembre, nel Pronto Soccorso degli Spedali Civili di Brescia, quando erano già passate cinque ore in attesa...

 
...che mia figlia potesse essere “guardata” da un medico, non dico visitata che sarebbe stato come chiedere miracoli in terra di atei, ho cominciato ad avere qualche dubbio.
Vuoi vedere che le mie preoccupazioni riguardo alla situazione potenzialmente pericolosa in cui versava mia figlia non erano state comprese?

Così, pur essendo stato diviso da lei da ben cinque ore (perché i parenti ingombrano con le loro preoccupazioni giudicate evidentemente stupide), l’ho raggiunta nella sala di attesa del Pronto Soccorso.
Qui la temperatura era molto bassa e molti pazienti aspettavano da tempo, statue silenti, il medico che li avrebbe dovuti “salvare”, ma che come Godot non arrivava mai.

Finalmente trovo Sara seduta e sofferente su una delle sedie destinate agli inutili. Aveva una carta in mano, compilata dall’infermiera di turno, in cui era stata trascritta la risposta che evidentemente Sara aveva dato riguardo alla sua condizione.

Ora, premetto che mai ci saremmo recati al Pronto Soccorso se non avessimo pensato che le condizioni di Sara fossero molto preoccupanti: l’infezione alle tonsille che la tormentava da quasi dieci giorni non si era ridotta con le cure antibiotiche usuali, ma si era estesa a tutto il cavo orale e temevamo potesse ulteriormente peggiorare al punto di farle rischiare difficoltà di respirazione.
Cosa potrebbe mai fare un genitore che sente in pericolo la vita della propria figlia?

Ammetto di non essere medico e ammetto di cercare nei casi come questo di ascoltare il parere appunto di un medico prima di agire.
Ho prospettato la condizione in cui si trovava Sara al mio medico curante che giustamente mi ha consigliato, visti i rischi, di recarci al Pronto Soccorso, cosa che abbiamo fatto, armati di grande pazienza ma anche di ingenua speranza.

Ebbene, non mi aspettavo di trovare, nel luogo deputato per antonomasia all’aiuto di chi è in difficoltà, una tale indifferenza e spregio per la salute dei cittadini.
Insomma, l’unica attenzione ricevuta da Sara dopo ben cinque ore dall’entrata era stata quella svogliata domanda dell’infermiera trascritta sul foglio di classificazione dell’urgenza.

Non un medico capace di una diagnosi seppur veloce, ma una novella Minosse con una semplice domanda le aveva negato qualsiasi attenzione e l’aveva condannata all’oblio. Non solo l’aveva guardata con il disprezzo che i guardiani di porci usano verso il loro gregge - e in fondo sentono verso sé stessi - , ma aveva anche commentato che sarebbe stato meglio cambiare medico curante se questi ci aveva cosi malamente consigliato di presentarci in Pronto Soccorso.

Nell’ascoltare questo racconto, il mio disappunto è stato notevole, perché in quei frangenti mi sono reso conto non solo che i tempi erano irrimediabilmente cambiati ma anche quanto drammaticamente fossero peggiorati.
Gli Spedali Civili, il famoso “fiore all’occhiello” della sanità bresciana era ben più che appassito.

Dopo altre tre ore e mezza di attesa ho cominciato a invocare ad alta voce la venuta di un medico: “Possibile che dopo otto ore e mezza di attesa non ci sia un medico che sia venuto a vederci” ho chiesto alzando la voce per farmi sentire almeno dall’infermiera.
Alcuni profughi come noi mi facevano cenno di apprezzare le mie rimostranze, ma subito l’infermiera Minosse che circa tre ore prima aveva superficialmente scritto a Sara in quale girone eravamo condannati, mi fece chiaramente capire che avrebbe chiamato la vigilanza se avessi continuato a lamentarmi.

Il “fiore all’occhiello” della sanità bresciana mi stava dicendo che l’indecenza non era aspettare un medico per otto ore e mezza senza che nessuno ci dicesse qualcosa in merito, ma era stata osare chiedere un po’ di riguardo per dei malati, non solo mia figlia evidentemente, che aspettavano da tante ore.
D’altronde anche Pinocchio, derubato delle monete d’oro, denuncia i ladri in tribunale e il giudice, commosso dal suo racconto, lo fa arrestare.

Ecco cosa dobbiamo aspettarci dalla sanità bresciana: superficialità, arroganza e disprezzo per chi chiede aiuto.
Alla fine, verso mezzanotte e mezza, dopo quasi 9 ore, ci siamo dichiarati sconfitti: abbiamo lasciato il Pronto Soccorso e siamo mestamente tornati a casa, senza visita, senza il conforto dell’opinione di un medico che si fosse abbassato a curarsi di noi e con tutte le nostre preoccupazioni immutate.

Inutili 9 ore di attesa, inutili noi, indegni evidentemente di qualsiasi minima attenzione, non parliamo di cura.
Hanno vinto loro! Nella battaglia che hanno ingaggiato contro i malati, per convincerli che non sono veramente malati, hanno vinto loro.
Hanno vinto contro quei poveretti che come noi aspettavano un aiuto e non lo hanno ricevuto perché giudicati da una sventurata infermiera senza professionalità come inammissibili nel cerchio dei fortunati.

Ci siamo sentiti come profughi in cerca di salvezza su un gommone sgonfio, caduti nel freddo mare agitato e buio di un Pronto Soccorso in cui nessuno ti vuole veramente soccorrere, ma fa di tutto per respingerti, per negare il tuo bisogno, per offendere la tua speranza, per disprezzare la tua umanità.
Finalmente abbiamo capito come mai sono morte così tante persone durante la pandemia di Covid:  hanno negato la loro malattia, come la nostra. Non c’era posto per loro. Non c’erano medici ne cure possibili, tornassero a casa.

E cosi, reduci da questa strana ma poco edificante avventura, abbiamo aperto gli occhi: credevamo che i trasporti pubblici, che in Vallesabbia non funzionano più, e che pure paghiamo profumatamente per mandare i figli a scuola nonostante la distanza, fossero un caso isolato, un’inefficienza sopportabile.

Credevamo che la burocrazia che ti costringe a miserabili peregrinazioni tra vari uffici inconcludenti per darti un passaporto in tempo per partire per un viaggio di lavoro fosse il segno di un peggioramento temporaneo delle condizioni di vita, in qualche modo reversibile.
Pensavamo che l’esperienza kafkiana che bisogna vivere entrando in relazione con l’Agenzia delle Entrate fosse solo un racconto dei più sfortunati, aneddoti per barzellette.

Ci accorgiamo invece, sulla nostra pelle, che il crinale che abbiamo irrimediabilmente imboccato in tutti servizi pubblici e maggiormente nella sanità, è sempre più scosceso e gravido di ingiustizie.
Soprattutto ci rendiamo conto che nei quasi 21 miliardi di Euro che la Regione Lombardia spende per la sanità non ci sono fondi per aiutare i cittadini che hanno davvero bisogno.

Leretico



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