26 Luglio 2015, 08.55
Eppur si muove

La storia non è «magistra vitae»

di Leretico

Questa è una storia terribile, che a raccontarla vengono i brividi. È solo la lontananza nel tempo che ne stempera i contorni e affievolisce l’effetto


È la storia di una donna, nata in Germania in un campo militare, che sopravvive ad una strage familiare e che piena di ambizione e di rancore scala la vetta del potere e ne rimane alla fine vittima. È la storia eterna del potere che frantuma gli esseri umani e li trasforma in armi di distruzione.

È la storia di Agrippina, detta minore per distinguerla dalla madre omonima. La sua vita fu piena di drammi e di infelicità.
Se non fosse per il proverbio che recita: “tutto ciò che non ti uccide ti fortifica” saremmo tentati di dire che Agrippina fu vittima del suo tempo e dell’ambiente in cui suo malgrado visse.

Nacque nel 15 d.C. da Agrippina maggiore e dal generale Germanico discendente di Marco Antonio e fratello di Claudio che sarebbe stato imperatore nel 41 d.C.. Ebbe due sorelle minori, Drusilla e Livilla, e tre fratelli maggiori, Giulio Nerone, Druso Cesare e Gaio Cesare detto più tardi Caligola per il suo amore per un tipo di sandali militari chiamati “caligae”.

Il dramma di Agrippina cominciò quando morì il padre Germanico, uomo amato dalla famiglia, Generale e grande condottiero rispettato e venerato dai soldati per la sua capacità di guida, per la sua umanità. Proprio per queste doti era temuto e invidiato da Tiberio che evidentemente ne era privo.
Il popolo avrebbe apprezzato maggiormente Germanico come imperatore invece del sempre corrucciato Tiberio, ma Germanico morì a 33 anni, avvelenato da Pisone, uomo fedele a Tiberio inviato con Germanico su fronte orientale.
Non sempre l’uomo che merita raggiunge il posto migliore nella società.

Agrippina credeva fortemente che la morte del padre fosse legata alla malvagità di Tiberio e invero tutto fece pensare che questa tesi avesse reale fondamento.
Dopo quel tragico momento incominciò la strage della sua famiglia. Prima morì di inedia la madre Agrippina maggiore, in esilio a Ventotene; poi il fratello Nerone Cesare anche lui esiliato e probabilmente giustiziato da alcuni sicari; stessa fine toccò all’altro fratello Druso Cesare che morì colto da pazzia nelle carceri del palazzo imperiale.
L’ultimo fratello Gaio Cesare si salvò forse perché si era dimostrato molto sottomesso a Tiberio, che lo teneva in qualche modo protetto e controllato nella sua villa di Capri.

A soli 14 anni Agrippina fu costretta da Tiberio a sposarsi
con un certo Gneo Domizio Enobarbo, uomo turpe, molto più anziano di lei, spia dell’imperatore e non solo per questo disprezzato dalla giovane fanciulla.
Da questo matrimonio nacque Lucio Nerone, unico figlio, nel 37 d.C., lo stesso anno in cui morì Tiberio e gli successe Caligola. Da quel momento il vento tragico sembrò attenuarsi e Agrippina cominciò a vedere la luce alla fine del lungo tunnel di morte e distruzione della sua famiglia.

Caligola, persona dal dubbio equilibrio psichico, morbosamente legato alla sorella Drusilla e molto meno ad Agrippina e Livilla, che anzi odiava, quando Drusilla morì ventenne di malattia, credette che le sorelle avessero tramato contro di lui e contro la sorella più amata.
Le accusò di congiura, fece giustiziare Carlo Emilio Lepido, marito di Drusilla e amante di Agrippina, e mandò in esilio entrambe sull’isola di Ponza.
Poterono tornare solo quando a Caligola, assassinato in una congiura di palazzo, successe Claudio, fratello di quel Germanico già padre di Agrippina.

Ormai le vicende avevano forgiato il carattere di Agrippina, la cui ambizione nel frattempo era enormemente cresciuta trasformando la sua infelicità in brama di possesso.
L’astuzia già coltivata in passato, e che l’aveva fatta sopravvivere in più occasioni, era diventata desiderio ardente di potere.

Richiamata dall’esilio a Roma dall’imperatore Claudio fece in modo di farsi sposare da lui pur essendone la nipote, e di far adottare Nerone, mettendo di fatto nell’ordine di successione suo figlio davanti a Britannico, il figlio malato di epilessia di Claudio.
Claudio in verità era un imperatore molto debole, al momento dell’elezione aveva cinquant'anni e sembrava molto anziano. Soffriva di balbuzie e lamentava continuamente forti dolori di stomaco. Quando si arrabbiava perdeva indecorosamente bava dalla bocca. Non doveva essere quindi un bello spettacolo per la moglie-nipote che lo aveva sposato.

Inoltre Claudio era un personaggio totalmente contraddittorio e crudele: godeva delle sofferenze dei torturati e dei deboli mentre era ossequioso con senatori e magistrati.
Proclamò l’amnistia per chi alla morte di Caligola aveva invocato la Repubblica ma fece d’altro canto giustiziare i congiurati che avevano colpito suo nipote. Insomma un pusillanime nel posto di potere più importante del mondo.

Un tremebondo che nel giorno in cui Caligola era stato assassinato, si era nascosto dietro una tenda per sfuggire ai pretoriani inferociti e sentitosi scoperto aveva strisciato ai piedi di uno di essi chiedendo di essere risparmiato.
Un indolente così superficiale che lasciava che i suoi liberti firmassero condanne a morte di decine di innocenti a nome suo senza che lui lo sapesse, né se ne adirasse quando veniva in qualche modo a scoprirlo.

Famosa è rimasta nella storia la moglie Messalina sia per il numero di amanti che per le azioni distruttive di cui era stata capace prima di essere uccisa dai pretoriani insieme ai più noti fra i suoi amanti.
In quei frangenti Agrippina poté candidarsi a diventare la nuova moglie dell’imperatore e seppe giocare molto bene le sue carte se i pensa che riuscì non solo ad arrivare al potere sposando l’imperatore-zio, ma anche a gestire la continuità della sua influenza attraverso l’adozione di suo figlio Nerone da parte di Claudio.

Ma la continuità che aveva così ben progettato non durò molto.
Nerone che già aveva eliminato Britannico con i metodi imparati in quel bell'ambientino prima di diventare imperatore, una volta al potere cominciò a diventare insofferente alla manipolazione della madre, alle ingerenze che lei considerava normali, tanto che finì per progettare di punirla come già lei aveva punito Claudio: con la morte.

Fu una morte crudele quella che tocco ad Agrippina, come tutte le morti che vengono a tradimento, la fine di un sogno di potere durato una vita, spasmodicamente progettato insieme alla vendetta, conquistato con le unghie e con la dissimulazione, difeso con l’arguzia e la menzogna, perduto con la protervia e la violenza.

Agrippina e Claudio sono figure simboliche di una storia tragica che in forme diverse continua a ripetersi.
Non occorre cercare questi esempi ai massimi livelli del potere, o meglio non solo.
Anche nelle piccole realtà, dovunque ci sia un bene da desiderare, un potere da esercitare, un figlio da sistemare, si muovono le passioni, le diaboliche trame di gente senza scrupoli.

Tutto questo ci convince, ancorché non ce ne fosse reale bisogno, che la storia non è “magistra vitae”.




Commenti:
ID59583 - 26/07/2015 10:39:10 - (Dru) -

Grazie Leretico, ma questo non era assolutamente necessario.

ID59584 - 26/07/2015 13:24:15 - (Dru) - E considera

che è solo questo che fa della storia magistra vitae... Ciò che la storia può fare delle vite passate è quello di emularle. Se la storia ha una fine e quelle è per tutti la stessa, non è lo stesso per la sua permanenza nell'essere, è il suo essere ad essere diverso da storia a storia, mentre lo stesso è il principio e la fine, il nulla. Ora, meglio essere allora Agrippina che un essere ignoto, quantomeno oggi , per la storia appunto, Agrippina vive ancora...

ID59585 - 26/07/2015 13:45:28 - (Dru) - Intendo dire che

sul principio del nulla eterno, quello che circonda la storia e ogni storia, essere significa resistergli, e siccome il nulla dell'essere è la sua fine, la fine della storia, allora Agrippina oggi, con te, ha vinto, cosa? Ma il suo nulla appunto.

ID59586 - 26/07/2015 13:47:05 - (Dru) - La Storia allora insegna che.,

se vuoi soprVvivergli devi essere come Agrippina..,

ID59587 - 26/07/2015 13:51:11 - (Dru) - D'altronde

la storia di ogni cosa, perché questa duri e perduri, significa proprio la sua determinazione, cioè la sua disposizione a non esser annichilita, questo significa determinazione, anche nell'atteggiamento normale: sono determinato a non farmi far fuori...

ID59652 - 29/07/2015 10:12:17 - (forzanove) - ...resistere è un pò come morire

..."la vita è quella cosa che ci accade, mentre siamo impegnati a fare altro".Vola, vola in alto

ID59708 - 31/07/2015 00:40:08 - (sonia.c) - come pu cambiare la storia..

se non cambiano gli uomini che la fanno? by eruditi..grazie grande Leretico..

ID59712 - 31/07/2015 06:59:54 - (Dru) - forzanove

Resistere significa morire, se il senso di una vita è il suo morire, allora resistere significa resistere a questo senso. È il senso che diamo alle cose che domina i nostri pensieri. Se le cose del mondo e della vita divengono niente, questa la loro morte, allora la resistenza è impossibile, allora la resistenza vera sarebbe la morte di quel senso, mentre volare è l'unica via, metodo, percorribile questo senso.

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