20 Settembre 2014, 07.26
In cucina

La cucina romagnola: storia di una tradizione

di Laura

Ragioni politiche e amministrative la legano all'Emilia in una sola regione, ma per aspetti, carattere, storia, tradizioni, la Romagna è un'entità a se stante, che riflette la sua personalità, il suo temperamento sanguigno e deciso anche a tavola


La famiglia contadina romagnola, sia quella a mezzadria sia quella dei piccoli proprietari, era un tempo di tipo patriarcale.
Il capofamiglia aveva il compito di guidare e mantenere il nucleo famigliare ed era, quindi, responsabile di tutta l'attività produttiva.
A lui seguiva per importanza l'Azdora, la reggitrice, il vero perno della casa.

Non sempre era la moglie del capofamiglia, sempre era però una donna dal carattere forte, che si sposava giovane e nella casa del marito compiva un tirocinio di fatica ed obbedienza sotto l'autorità della suocera, vera Azdora prima di lei, di cui avrebbe preso il posto nella gestione domestica dopo aver dimostrato le proprie capacità e la validità dell'agire, e comunque sempre quando quella fosse stata molto avanti negli anni.

Nella buona e nella cattiva sorte, l'Azdora per quanto riguarda casa e famiglia, aveva tutto sotto controllo e i suoi obblighi andavano ben al di là delle responsabilità del vivere quotidiano.
Suo dovere era attendere ai lavori domestici e alla loro organizzazione, provvedere al vitto, ma anche occuparsi dell'istruzione dei figli, gestire i rapporti col vicinato e gli artigiani che frequentavano periodicamente la casa, e , in questo ruolo, veniva ad assolvere il compito di conservare e tramandare tutte quelle usanze e quelle conoscenze che costituivano molta parte del ricco patrimonio della cultura contadina.

Normalmente l'Azdora doveva assicurare colazione, pranzo e cena, ma i pasti potevano ridursi a due in autunno e inverno, quando, posticipando l'ora della colazione e del pranzo, era possibile saltare la cena.
Non era abitudine far colazione appena alzati: il latte non mancava, ma soltanto di rado finiva per colazione nelle tazze di vecchi e bambini.
Andava risparmiato per fare il formaggio o esser venduto come le uova. Restava lo scot, lo scarto del siero, da dare ai più piccoli.

Gli adulti avevano bisogno di energie per affrontare il duro lavoro dei campi; si aspettava che le donne terminassero i lavori domestici e poi ci si sedeva tutti a tavola attorno alle otto, appena pronta la quotidiana razione di legumi o erbe di stagione (cavoli, patate, cardi, finocchi, ecc.) con piadina o polenta; se i pasti erano solo due, la colazione era anche pranzo e quindi si spostava alle dieci per poter cenare verso le cinque del pomeriggio.

Nella maggior parte dei casi
erano proprio i fagioli e la polenta a costituire l'alimento base della colazione.
Dopo una lunga bollitura venivano consumati da soli, con aggiunta di olio e aceto, oppure con l'aggiunta di cotiche di maiale, uova o frittate tagliate a cubetti, polpette di verdura o altro ancora.
Con molto brodo diventavano minestra, asciutti erano il contorno di zampetti, orecchie e coda di maiale, col battuto si trasformavano in ragù.

Anche la farina di granturco è sempre stata in uso in Romagna: sola o miscelata a quella di frumento, serviva per preparare un po' di tutto, oltre naturalmente alla polenta.
Veniva cotta con sale e acqua e condita col profumo dell'aringa, appesa alla trave sopra il tavolo perché ognuno, a turno, vi strisciasse la propria fetta, una sola volta, per non consumarla troppo in fretta.

Le minestre fatte in casa erano il piatto forte del pranzo di mezzogiorno, spesso "matte", cioè di sfoglia senza uova, insaporite più dalle verdure che dal condimento.
Seguivano, a volte, formaggio e pancetta abbrustolita, schiacciati tra due fette di pane per non perdere neanche una goccia di grasso.
Più ricchi e saporiti erano i piatti dei giorni di festa: a pranzo e a cena non mancavano mai minestre con brodo di gallina o pastasciutte ben condite, arrosti, stufati e magari una fetta di ciambella da inzuppare in un bicchiere di vino.

Sono nati così, dietro l'incalzare delle necessità quotidiane, sulla base di quanto si aveva, un'infinita serie di piatti che, nel tempo, hanno reso la tavola contadina romagnola una delle più ricche e saporite fra quelle regionali.
 


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