Sarà che non “sento” più il Natale. Sarà che fatico a riconoscermi in questo mondo. Ma il suono di una pastorella mi restituisce la mia infanzia
Abitavamo in piazza De Medici: dall’altra parte del muro c’era la canonica. Mio papà diceva sempre: “
El Monsignór el dórma visì al mé có”.
Accanto c’era la casa della Palmina e dell’Eugenia, la dolce mamma faceva la custode delle biciclette degli spettatori che andavano a vedere il cine al Salone. La casa aveva un campanello che suonava continuamente, e io pensavo sempre che fosse Santa Lucia, anche a Ferragosto. “
Mamma, è Santa Lucia?” “Dorma dorma…” Ma quando era dicembre:
“Presto a letto che Santa Lucia ti butta la cenere negli occhi.” “
No mamma, questo è il campanello della Palmina!”
All’asilo delle Suore Orsoline eravamo divisi in piccoli, mezzani e grandi, i piccoli li chiamavano “
pisóni”. C’era suor Guglielmina, piccola come noi. E poi c’erano la madre Rosa, madre Francesca, suo Imelda, suor Benedetta, madre Crocifissa…
Le suore ci dicevano di ascoltare la vocina nel nostro cuoricino, io mi impegnavo ma non sentivo un bel fic sec. Ogni anno arrivava Santa Lucia a portarci le caramelle, era bellissima, coperta da stupendi veli, chissà perché ricordava vagamente una delle suore, ma non poteva essere lei, quella suora aveva i baffi…
C’era ancora la chiesetta dei Disciplini: durante il bombardamento era crollata, ma era miracolosamente rimasta intatta la statua della Madonna. E nella piazza c’era l’abitazione di don Angelo Calegari. Vicino c’era il Bigio della casòta che vendeva fiori e frutta.
Nella piazza, dopo aver fatto i chierichetti o aspettando le confessioni settimanali, giocavamo ore, speravamo che il sole non tramontasse mai, e non conoscevamo cosa volesse dire la parola tristezza o cosa significasse il dolore.
Spesso mia mamma mi accompagnava al Salone.
Erano film strappalacrime, estraeva fazzoletti per lei e per soffiare il naso a me. E più il film era da piangere e più le piaceva.
“Com’era il film?” “Bell fés, quat piànzer!”
Spesso c’era la zia Santa del mio amico d’infanzia Giordano Franceschi, che lo portava al cinema e lui si addormentava beato, tra le sparatorie di John Wayne.
Davanti al portale della chiesa, accanto a casa Rizzi, c’era il presepio della Palmina, con tanto muschio, tante statuine di tutti i tipi: c’erano persino i soldatini di plastica, ma anche loro erano buoni e sparavano a salve.
Poi ci siamo trasferiti al secondo piano del ‘
grattacielo’.
I miei genitori non mi hanno mai dato la più piccola sberla. Non mi facevano prediche, mai, ma mi hanno trasmesso una testimonianza di vita. Mia mamma su un quadernetto aveva scritto “
I figli non ci hanno chiesto di nascere.”
In sala mangiavamo in 10, con i nonni e la zia Giulia. Nel corridoio era appeso un quadretto con la frase di San Paolo
“Omnia munda mundis”, tutto è puro per i puri. Era un mondo pieno di luce, profumato dalla fede.
L’inverno si recitava il rosario, vicino alle lenzuola stese ad asciugare nel corridoio. Ogni tanto venivano a trovarci da Salò la zia Celeste, suor Dina, Maria e Anita, che come mia mamma hanno vissuto con la leggerezza di un sorriso, mai parlando male di qualcuno, in ognuno trovando sempre qualcosa di buono.
La mia nonna Margherita stava sempre su una poltrona di panno rosso e mi chiamava
“el me prufisur”.
Quand’ero neonato ero diventato freddo freddo e mia nonna ha gridato “
L’aset, duprì l’aset!” e mi hanno salvato sfregandomi con l’aceto. Mosè è stato salvato dalle acque, io più modestamente da mia nonna con l’aceto.
“Cambia el tep, me fa mal le gambe”, diceva la mia nonnina, ed erano le prime previsioni atmosferiche. Il dottor Rossini l’andava a visitare, stavano in camera a chiacchierare per ore, poi quando se n’era andato diceva: “
Adess stó propis bé!”
Una mattina mia mamma mi ha accarezzato e mi ha detto: “
La nonna è andata in Paradiso”. Tanta gente veniva da Salò a dare l’ultimo saluto alla mia nonnina.
Mia mamma portava il caffè a tutti, le dicevano “
Condoglianze” e lei rispondeva: “
Grazie, un caffè?”.
All’ultimo dell’anno c’è stato il funerale. C’era la neve, e il Buccella faceva le foto: indossavo dei guanti neri di pelle, avevo la riga ai capelli bella diritta e il cappotto della festa. Poi la sera mio fratello Franco mi ha portato al cinema a vedere “
Gli ammutinati del Bounty”.
Mio nonno Angelo aveva cominciato a sbagliare orari: el sera o matina? Una volta alle cinque era sparito. Cerca di qua, cerca di là, l’hanno trovato fuori dalla chiesa:
“Iè en ritardo a dì mesa anché”.
Una notte mi son sognato che il nonno era morto. Quando l’ho visto al mattino, con le sue mutandone lunghe, gli ho chiesto: “
Nonno, ma non eri morto?” E lui: “
No no, só amó vif.”
Lo accompagnavo al cimitero a visitare la sua sposa, lui mi diceva: “
Eco, i me met lé”.
A Natale non mangiavamo il panettone, ma la ciambella cotta nella Petronilla elettrica.
La mamma conservava le statuine del presepio nello stanzino, in una scatola di cartone. Non era un grande presepio, era messo in un angolo, tra la libreria e lo stanzino. C’era la carta azzurra per il cielo, con tante stelle. Un angelo stava sopra la capanna, ed i pastori erano un po’ schiacciati in quello spazio ristretto, ma mi sembravano contenti lo stesso. I Re Magi partivano dalla sala, ed ogni giorno li spostavamo di qualche centimetro, finché all’Epifania giungevano da Gesù.
La vigilia di Natale tutti erano impegnati in negozio, veniva a dare una mano anche lo zio Vittorio da Salò.
Durante le feste arrivavano gli zii di Salò e di Desenzano per salutare i nonni, portavano un cabaret di paste che mi sembrava enorme, e noi bambini giocavano nel corridoio, sotto lo sguardo dolce e benevolo di mia sorella Rita.
Mia sorella Valentina, che dormiva in camera con me, ricorda la felicità di aver ascoltato il suono degli zampognari che giravano per il paese.
Valentina sa a memoria questa stupenda poesia…
La Madóna e l’angilì
N’dèla cèla scüra scüra
el Signur el sera dent, töt envers,
en angilì che l’è stat disubidient.
Po’ el ghé dis al sò compagn:
“Va a ciamàm San Piero, fila!”
E San Piero el compares:
“Eh, Signur, che ghè süces?”
“Varda bé che ‘n d’ena cèla
ghó seràt en angilì!
Daga sul pà e acqua
che el ghà fat el birichì!”
E San Piero: “Per staolta perdunìl, l’è picinì!
Mé val mòle töt’al piö con d’en per de scülasì…”
“Nient afat! Èn Paradis só mé sul a comandà!
Ghé n’è tròp de chei en Tèra
che i comanda a töt andà!
Guai a té se te m’èl molet
prim che i sune i matutì! Ghét capit?
Voe castigàl! Che el ghà fat el birichì!”
Nèla cela el sbat le aline, el ghà pora l’angilì.
Le spiagnucola, el se lamenta,
e ghé trema el curisì.
Ma quand töcc i s’endormensa
la Madóna, a belasì,
la va denter nela cèla,
la ghé porta i mandarì.”
Auguri di serenità, di salute e di onestà.
Non pretendo la felicità. Quella ce la regalano i bambini. E tutti noi siamo stati bambini, con le ginocchia sbucciate, tanti amici e il cuore pieno di sogni. E come diceva uno di Salò: “
Buona fine… sóta el tram!”
Ci sentiamo la settimana prossima, a Dio piacendo. W il Chiese!
maestro John
Ps.- Nel presepio di casa mia Gesù Bambino è arrivato in anticipo di una settimana. Come al solito i Re magi non riusciranno ad arrivare all’Epifania, già a Capodanno la mia attuale moglie avrà già pulito tutto con l’aspirapolvere…Ah le fomne!
Nelle foto, varie pastorelle gavardesi di qualche anno fa.