30 Gennaio 2022, 09.24
Blog - Maestro John

Gocce di memoria

di John Comini

Giorni di tristezza senza fine. Giorni di covid, di incidenti, di tragici ricordi. Ma anche di notizie che donano speranza


È passata una settimana, ma sembra ieri. Domenica mattina, appena sveglio, mia moglie mi ha dato la ferale notizia. Quei cinque ragazzi… e l’autista del pullman sotto choc, forse è quello che ci ha accompagnato nel viaggio a Napoli dell’ottobre scorso…

Inizialmente ho resistito a leggere l’articolo. Mi faceva star male il solo pensiero di quei poveri ragazzi. Ma poi la notizia l’ho trovata anche sui canali nazionali. Immagini e servizi che ti tolgono il fiato.
La scena apocalittica dell’incidente.

L’agente che racconta: «Avevo già rilevato incidenti mortali in carriera, ma uno scenario del genere non mi era mai successo».
Quel cellulare che suona, l’agente che si fa coraggio e risponde all’ennesimo squillo, e dice alla sorella di Irene “C’è stato un grave incidente a Rezzato”.

Il rito del lavaggio dei tre ragazzi Imad e Salah Natiq e Imad El Harram, con la cerimonia di purificazione in cui il defunto viene rivolto verso la Mecca e la preghiera con la partecipazione di un imam giunto da Bergamo, un amico di famiglia.
 
La raccolta fondi promossa da Yassin: «Ho pensato che non era sufficiente starmene qui a piangere disperato per i miei amici scomparsi, che bisognava fare qualche cosa. Ci sono il lutto, la frustrazione di sentirsi impotenti, ma anche le necessità impellenti delle famiglie. Lo sa che per portare una bara in Marocco ci vogliono 2 mila euro? Non vogliamo dare loro una mano?».

Le parole del papà di Irene: « Lei era molto buona, difendeva l’indifendibile. Mia figlia Irene non ha mai condannato nessuno, non parlava mai male di nessuno. È questo il suo grande insegnamento. Chiedo a tutti di non giudicare, ma di essere solo uniti. Prendete come esempio il mutuo aiuto che contraddistingueva ogni suo gesto.»
Lo striscione affisso dagli amici fuori dalla chiesa: “Sarai sempre il nostro angelo custode”.

Il cartellone con le foto che ritraevano un gruppo di amiche insieme a Irene.
Il sacerdote che nell’omelia a Sabbio Chiese ha detto: «La vita va curata, protetta e donata e questo sacrificio se compreso potrà lasciare un solco di speranza».

Il coro degli ultras della Curva Nord che cantano, all’uscita della bara dalla chiesa, con la voce strozzata dal pianto, “Madonnina dai riccioli d'oro”, dedicata a Dennis che frequentava lo stadio bresciano.
E poi le notizie sulla mancanza della patente… Basta. Mi fermo qui. Non riesco a continuare. Dinanzi a queste tragedie ci sentiamo fragili, pieni di ansia, di paura. La perdita di un figlio è uno strazio infinito, un dolore insopportabile. Ogni parola appare povera, vana, insufficiente.

Penso però che i familiari di quei ragazzi hanno ricevuto l’abbraccio di tante persone anche lontane che hanno mandato loro un pensiero d’affetto e di solidarietà. E in tutte le chiese si è pregato per quei ragazzi. E rimarrà indelebile l’affetto di una moltitudine di ragazzi e ragazze: quando hanno saputo la notizia, a quei ragazzi si sarà spezzato il cuore, il mondo sarà caduto loro addosso. Ma quei cinque ragazzi vivranno nel cuore di tutte le persone che hanno incontrato attraverso il viaggio della loro breve vita. Perché ognuno di noi rappresenta una goccia unica, limpida e irripetibile, nell’infinito mare dell’amore di Dio.

“Sono gocce di memoria queste lacrime nuove
siamo anime in una storia incancellabile
le infinite volte che mi verrai a cercare
nelle mie stanze vuote…

Siamo gocce di un passato che non può più tornare
questo tempo ci ha tradito inafferrabile
racconterò di te, inventerò per te quello che non abbiamo…

aspettiamo un altro viaggio, un destino, una verità
e dimmi come posso fare per raggiungerti adesso…”


(Giorgia)

In questi tristi giorni si sono ricordati Nikolajewka, le vittime dell’Olocausto ed il bombardamento di Gavardo.

Il 26 gennaio del 1943, dopo giorni di marcia, gli alpini riuscirono a sfondare le linee russe al ponte della ferrovia di Nikolajewka e ad uscire dalla sacca nella quale erano rinchiusi. Tutti avevano camminato in una disperata lotta per la sopravvivenza, nella speranza di una salvezza che appariva impossibile, nel ricordo della “baita” e della mamma o della morosa.

Ma molti rimasero là, nella neve. Furono più di 100 mila i soldati italiani morti o dispersi sul fronte russo. La maggior parte vennero seppelliti in fosse comuni o nei cimiteri dei villaggi nella regione del Don, ai confini con l’attuale Ucraina (dove ora ci sono terribili avvisaglie di una nuova guerra).

Giovedì 27 gennaio sono state commemorate le vittime dell’Olocausto.
Il Sindaco Comaglio accompagnato dal Vicesindaco Scalmana e dall’assessore Ghidinelli si sono recati a Soprazocco dove sono state poste nel 2015 due Pietre d’inciampo in ricordo di Rivka Jerochan e Davide Arditi, cittadini italiani di religione ebraica, ospitati e arrestati in via Benecco per poi essere inviati ad Auschwitz dove hanno trovato la morte nel 1944.

Ricordo il caro Domenico Buccella, mitico fotografo a Gavardo, che fu uno dei pochi che riuscì a lasciare il lager di Bergen-Belsen, in cui morì Anna Frank.

Come ha scritto in un’intervista sul Giornale di Brescia l’amico Enrico Giustacchini (che ringrazio): «Una domenica mattina è venuto da noi il console italiano, c’erano bandiere da ogni parte. “Il Duce si è occupato di voi, ha spiegato, e ha ottenuto dal Führer che da oggi siate considerati liberi lavoratori, e non più prigionieri. Dovete solo firmare questi documenti". Nessuno, di tanti che eravamo, si è mosso. Il nostro capo-campo ha fatto un passo avanti: "Non abbiamo firmato quando ci hanno condotto qui come prigionieri, ha detto, e non firmeremo adesso per ritornare civili".
Il console è diventato rosso in faccia, ha ordinato di riavvolgere le bandiere e se ne è andato».

In quel periodo Domenico è malato, le gambe gonfie come tronchi d’albero. Gli promettono di ricoverarlo in ospedale, lo caricano su un treno.
«Altro che ospedale. Mi hanno portato a Bergen-Belsen.»

Nei mesi successivi, Hitler dà il via a Bergen-Belsen a una gigantesca operazione di genocidio, programmata con diabolica meticolosità. Nel lager tedesco moriranno quasi centomila persone.

«Se io, invece, ho potuto scamparla - racconta Domenico, - è stato per un incredibile colpo di fortuna. Il 26 ottobre mi prendono e con un gruppetto di miei compagni mi rimandano ad Hannover, dove servivano alcuni operai. Non so perché abbiano scelto proprio me. E’ stato un puro caso. So però che grazie al caso io sono ancora vivo. Ad Hannover mi hanno spedito a sgobbare come uno schiavo in un salumificio, ma almeno lì non crepavo di fame. Ho continuato a salare pancette sepolto in una cantina insieme a un prigioniero russo fino al 10 aprile ’45, giorno in cui in città sono entrate le truppe americane».

Anna Frank, da Bergen-Belsen non è uscita mai più. «Penso spesso a lei. A lei che arrivava mentre io partivo. A lei e a tutti quelli come lei che non hanno avuto la mia buona sorte. A lei e a tutte le vittime della follia degli uomini».

E sabato si sono ricordate le vittime del bombardamento di Gavardo, con la Messa concelebrata da mons. Italo e da padre Bettini, l’intensa orazione di Simona Tebaldini, dirigente dell’Itis Castelli di Brescia, l’accompagnamento del Corpo Musicale Viribus Unitis. Da visitare entro domenica sera l’esposizione grafica degli alunni delle quinte elementari nella Sala Bruni Conter del Museo.

Infine, due stupende notizie. La prima è il libro digitale svolto da Michele Usardi, 19 anni, di Villanuova. Ha svolto il tirocinio in biblioteca a Gavardo, dalla sua ricerca è nato il bel progetto, che potete trovare sul facebook del Sindaco qui.

La seconda bella notizia parte da una foto: ricordate quel papà senza una gamba che alza al cielo il figlioletto privo di tutti e quattro gli arti? Quel bambino siriano si chiama Mustafa ed ha 5 anni. Il papà e la mamma nel 2016 si trovavano in un bazar quando esplose una bomba sganciata dagli aerei del regime di Assad. L’uomo perse la gamba destra mentre la madre, che all’epoca era incinta di Mustafa, respirò il gas nervino sprigionato dagli ordigni con conseguenze irreparabili per il feto.

Il bambino nacque affetto da tetramelia, privo cioè dei quattro arti. Tre anni dopo la famiglia fuggì in Turchia, come altre migliaia di rifugiati. Finché, grazie a quella foto, il piccolo Mustafa, con il padre, la mamma e le due sorelline più piccole, sono arrivati a Siena, grazie alla Caritas diocesana. E grazie all’équipe del Centro Protesi Vigorso di Budrio, in provincia di Bologna, potranno essere ridate le gambe artificiali al bambino e al padre. Sembra un sogno, ma è realtà.

PS. È stato rieletto Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Mi sa che gli rimanderò la lettera sulla questione del maxi depuratore. W il Chiese!

Maestro John

Nelle foto:
1) “Partenza”, fotografia dell’amica Sara Ragnoli di Castello di Serle
2) Il caro Domenico Buccella (al centro) con alcuni ex deportati
3) Una tragica immagine del bombardamento di Gavardo
4) La foto della speranza



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