Il sentiero non era lo stesso del sogno, ma era comunque un sentiero e Angelo lo seguiva con il suo cuore e il medaglione al collo...
... Il segnavia dava fiducia: il sentiero n. 22 seguiva a mezza costa la montagna rivelando vallette sconosciute, ricche di acqua e paesaggi mai visti, molto diverso da quanto ricordava, ma bellissimo. Castagneti sui versanti al sole e bosco ceduo sui versanti a nord, agrifoglio e ginepro mescolati ai pini silvestri sui terreni magri dei versanti ripidi.
Improvvisamente, uscendo da un versante ricco di abeti, un casale. Un vecchio fabbricato che dominava un prato luminoso, rivolto a sud, e invaso dalla luce del mattino. Nel sogno non c’era e nemmeno aveva incontrato l’anziano malghese che stava osservando, poco lontano, un gruppo di cavalli seduto all’ombra di un grande noce. Lo zampillo della fontana per l’abbeverata offriva nuova acqua, più fresca, per la borraccia di Angelo. Da lontano il malghese, distolto lo sguardo dai cavalli, osservava il ragazzo intento a chiudere la borraccia, indeciso sul da farsi. Malvolentieri doveva passare vicino all’uomo, un intruso sul suo sentiero, sentiero che però passava proprio di là.
“ Buongiorno”
” Salve”
”Che fal en giro da cheste bande?” [trad. “Cosa fa da queste parti?”]
Il dialetto è del Garda e Angelo lo capisce e lo parla bene: “So dre a sercà en fosadel che traversa el senter, pense l’è mia luntà, el ghà da eser piò avanti e prima de encrusà el ve sò a fà na cascadela e na bela pòsa profonda..” [trad. “Sto cercando un rio che credo attraversi questo sentiero. Non credo sia lontano, deve essere un po’ più avanti e, prima di attraversare il sentiero a monte, scende da una cascatella con sotto una pozza bella profonda”]
Il malghese incuriosito: “Serchel i gamber? Varda che iè proibiti e ghè en giro la Forestal… ocio!” [trad. “Cerca i gamberi? Guarda che è vietato e la Forestale controlla… attento!”]
Angelo ripensa al gambero nel torrente vicino al cuel e non risponde.
“Gnaro… sel vol troà la cascata… senter vech… mia chesto…” [trad. “Ragazzo, se vuoi trovare la cascata… sentiero vecchio… non questo…”]
“Cioè ?”, chiede Angelo.
“Riat a la malga de sura, l’ultima, dèdre al prà en mes ai fò, se vede el senter vech che va so nela val. Te và so de le.. e dòpo le svulte, quater o sic, và a destra e a le tante t’encruserè en canal de acqua…va so e te vedarè la cascata che se furma dove s’encrusa i du fiomech che ve so da la Singla” [trad. “Arrivato all’ultima malga, dietro al prato nel bosco dei faggi, si vede un sentiero vecchio che scende nella valle. Vai giù e, dopo quattro o cinque tornanti, tieni la destra e dopo un bel po’ incroci la valletta con l’acqua… risali un po’ e troverai il laghetto con la cascata che si forma dall’unione dei due fiumetti che scendono il Monte Zingla”]
“Grazie!!! … vo mia a pescà i gamber ma vores troà el posto, i dis che l’è bel e a me me pias veder i nos posti” [trad. “Grazie!!! … non voglio pescare i gamberi, ma vorrei trovare questo posto che mi dicono sia bello perché amo conoscere i nostri posti”]
“Come te ciamet?” [trad. “Come ti chiami?]
”Angelo”
”Piacere, me ciame Giovanni, ma i me dis El Verones, la famea l’era originaria de Spiazzi, l’altra sponda del Lac, sol Baldo. Sta atento nela val, l’è anni e anni che nisù va sò de le, se sucede vergot i te troa pieò e… atento aca a le dò dame, le vif nei fiomech fach co le sò lacrime, disperate perchè la Dea Vesta l’era sparia dopo che i cristiani i vulia copala e le dame se le vol le te encantesima.” [trad. “Piacere, io mi chiamo Giovanni, detto Il Veronese, la mia famiglia era di Spiazzi, dall’altra parte del lago, sul Monte Baldo. Stai attento nella valle, sono anni che nessuno va giù di lì e se succede qualcosa nessuno ti troverebbe e… attento anche alle Dame, vivono nei due Rii che formano la cascata, da quando i Cristiani volevano uccidere la Dea Vesta e lei sparì, sono ancora disperate e potrebbero stregarti”]
Angelo capisce che quell’incontro non è una coincidenza e si siede con Giovanni, “El Verones”. Il vino spunta dalla cucina annerita dal fumo del grande camino munito di grossi sgabelli laterali. Dallo zaino il pane ancora fresco rende felice il malghese che da giorni non scende a prenderlo, il salame non manca e l’orto dietro casa offre insalata e pomodori.
“El me cunte de le Dame… “ [trad. “Raccontami la storia delle due Dame… “]
Angelo non si stanca di ascoltare la leggenda delle Vestali che vivevano in quelle valli interne dopo che erano fuggite da Roma durante le persecuzioni ai pagani che non riconoscevano la nuova religione di stato (il Cristianesimo). Fuggite con il fuoco sacro, mai spento da sempre, simbolo della Dea Vesta, arrivate nella Valle che oggi si chiama Vestino – delimitata ad ovest dal monte Vesta – vi si fermarono per sempre. Le Vestali accompagnate e protette da otto fratelli, armati e devoti, fondatori di otto paesi di cui sette ancora esistono, hanno tenuto acceso il fuoco per quasi mille anni e mantenuto l’antica religione viva nei cuori dei discendenti degli otto fratelli.
“En bel dì però riva el Vescof Vigilio con l’esercito a portà La buona Novella… Buna mia tat… I ga copach tutch chei che se convertia mia!!! Batì so dalla Rocca che i ciama amò Pagana, en sima i ga mitì na bela crus, a perenne ricordo.” [trad. “Un bel giorno, però, arriva il Vescovo Vigilio, accompagnato dall’esercito, per portare la buona novella… Mica così buona… infatti hanno buttato giù dalla Rocca tutti i Pagani e in lì cima ci hanno messo una bella croce, in perenne ricordo”]
E così il fuoco è sparito, spento? Nessuno lo sa o dice di saperlo, di fatto le ultime Vestali della valle di Vesta, hanno chiesto alla loro Dea di trasformare le loro lacrime in ruscelli. Ancora oggi le loro lacrime scorrono, ancora oggi i Rii Due Dame si uniscono a Valle formando una bellissima cascata che alimenta un laghetto con acque limpide e verdissime. La Dea fece di più per ringraziare le Vestali: offrì loro l’immortalità e un posto vicino a lei. Le due sorelle accettarono, ma chiesero di poter vivere per sempre nella Valle. E così la Dea le trasformò in Ninfe immortali e diede loro come casa il laghetto verde.
Ormai è sera, Angelo deve accettare l’offerta di passare la notte sul fienile e di cenare con Gioan: minestra di fagioli e formaggio, pane vecchio e olio, un bicchierotto o due di vino e un bel grappino con le gemme di pino mugo e zucchero. Il fieno lo accoglie con i suoi profumi. Nel dormiveglia che precedeva il sonno, dal cortile la voce del malghese:
”Envia mia la sigareta che magari brusom tuch” [trad. “Non accendere sigarette che poi bruciamo tutti”
“Foeme mia Gioan… buonanotte e grasie per la bela ciacerada” [trad. “Non fumo, Giovanni... buonanotte e grazie per la bella chiacchierata”]
Il buio e il silenzio diventano padroni della valle, Angelo è di nuovo in cammino per proseguire il suo sogno.
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Per gentile concessione del
Circolo Scrittori Instabili, blog sul quale si sperimentano gli appassionati che hanno frequentato i corsi di scrittura creativa tenuti da Barbara Favaro.