07 Maggio 2012, 07.00
I racconti del lunedì

Pennette al ragù

di Ezio Gamberini

La maratona di Carpi si avvicina e corro l'unico lunghissimo esattamente un mese prima della gara.


I venti di guerra paiono allontanarsi, forse.
Da Johannesburg, invece, i grandi della terra assicurano che entro vent’anni i morti per la fame nel mondo forse diminuiranno del 50%. Come se in un grande condominio, il cui cortile interno è costantemente insozzato da due spanne di rifiuti, alla fine di un’assemblea fosse diramato il seguente comunicato: “Allegri, condomini. Entro due anni la feccia nel cortile forse diminuirà del 50%. Solo una spanna!”.
E fare qualche sforzo in più, no?

La maratona di Carpi si avvicina e corro l’unico lunghissimo esattamente un mese prima della gara: un bel trenta km seguendo il solito percorso sul fiume ed imboccando poi strade che portano in collina ed attraversano due paesini di montagna, prima di ridiscendere a valle e prendere nuovamente la via del ritorno.
Prima però i soliti allenamenti in pista, qualche ripetuta (ma non troppo), e le consuete uscite di otto/dieci km con due-tre lunghetti di diciotto km. In uno di questi, al ritorno, sullo sterrato, sento avvicinarsi delle motociclette che fanno un chiasso d’inferno.
 
Sbuca dalla curva il primo motocrossista, mi vede, rallenta ed alza il braccio sinistro, stringendo il pugno. Detto e fatto: “Compagno!”, penso, alzando a mia volta il braccio. A dieci metri di distanza sopraggiunge il secondo che alza il braccio destro, ritto ritto…..
“Camerata!”, esclamo ripetendo il gesto, marziale.
Dopo tre secondi arriva il terzo che sgommando mi sbandiera il braccio sinistro ed io faccio altrettanto, mentre il quarto sembra che mi legga nel pensiero perché mentre alzo il mio braccio destro lui fa la stessa cosa.
Sento il quinto che sta arrivando, che dovrò fare? L’ultimo centauro mi passa a mezzo metro e mi fa un leggero cenno col capo, che contraccambio.
 
Poi il silenzio.
“Che squinternata e variegata banda di amici -  penso – Due di destra, due di sinistra e l’ultimo? CCD, Popolare, apolitico, boh?”. (Incuriosito, chiedo lumi ad un amico patito di motocross il quale mi dirà che alzare il braccio significa segnalare un pericolo a chi segue in fila.
L’ultimo, logicamente, ne è esentato.)
Quando decido di correre un lunghissimo, uscendo dai soliti “confini”, infilo nel fido taschino dei pantaloncini soldi e carta igienica. In più stavolta anche la chiave di casa. Per i soldi non devo più ricorrere alla plastica trasparente per avvolgere una banconota: una moneta da due euro dovrebbe essere sufficiente per acquistare una bottiglia d’acqua o fare una telefonata, in caso di emergenza.
 
Dopo un’ora e dieci di corsa, dodici/tredici km percorsi più o meno, non ho ancora bevuto.
Mi fermo al bar di Barghe, prima di arrampicarmi sui tornanti che portano a Preseglie, paese il cui campanile sbuca dai boschi, in cima al monte, per acquistare dell’acqua minerale.
Un’antica legge podistica afferma che se tu corri su un rettilineo, lungo due o tre chilometri, e senti alle tue spalle il rumore di una macchina che sopraggiunge e più avanti il possente ruggito di un autotreno diretto verso di te, invariabilmente l’incontro avverrà sulla stessa linea, cioè tutti e tre i soggetti s’intersecheranno  nel medesimo istante allo stesso punto.
Così se tu corri da più di un’ora, e successivamente altre due, e ti fermi un istante, in quel preciso momento incontrerai qualcuno che ti conosce.
 
Sto bevendo la bottiglia di acqua, con la gamba alta su un muretto, roba di un minuto, un minuto e mezzo.
Sento un clacson ed il finestrino di un fuoristrada che si abbassa: “Ohh, se fa sciè a curer?” (Ohh, si fa così a correre?).
Maledetti! Due amici compaesani, vicini di casa, buontemponi, in gironzola per gli affari inutili. Gli stessi che quest’estate, dopo aver scaricato nel mio scantinato quasi venti quintali di legna, restavano ormai tre ciocchi e mi ero seduto un attimo a riposare, sono sbucati da chissà dove esclamando: “Eh, la legna non va dentro da sola! Hai bisogno di una mano?”.
 
Fatico parecchio, la salita mi stronca.
Per far conoscere il mio stato fisico e mentale alla fine del lunghissimo posso raccontare quello che ho combinato al ritorno: in lavanderia tolgo dal taschino interno dei pantaloncini la carta igienica inutilizzata, che voglio buttare nella tazza del wc ed i cinquanta centesimi e la chiave di casa, che voglio appoggiare sulla lavatrice; ripongo sull’elettrodomestico l’ormai informe ed imbottita di sudore palla di carta e getto nel cesso chiavi e moneta!

A Carpi naturalmente indosserò la solita maglietta: quello con la pancia più abbondante sono io; non scambiatemi con Ettore Comparelli, perché pur dotato di addominali è due spanne più alto.
E non scambiatemi con quelli normali. Non avrò mai una corporatura “normale”.
Che posso farci se il Tapascio Bombatus ad aragoste e caviale preferisce 150 gr di pennette rigate, 50 gr di ragù, 30 gr di parmigiano grattugiato ed una noce (di cocco) di burro di malga?
Finite le pennette, sul fondo del piatto rimane una sublime e filante purea di color bruno, odori di basilico, noce moscata e chiodi di garofano, nella quale ci si può perdere, e sfiorare l’oblio, ‘pocciandovi’ due rosette calde.

Tratto dal volume: “Tapascio Bombatus e altre storie” – Ed. Liberedizioni

Il racconto è del 2002


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