14 Novembre 2011, 07.00
I racconti del lunedì

Tapascio Bombatus - Nona puntata

di Ezio Gamberini

Per il mio primo lunghissimo di trentaquattro chilometri avevo chiesto consigli a tutti...

 
"Indossa scarpe leggere”, “no, pesanti, per proteggerti meglio”; “mangia durante lo sforzo”, “ no, per carità, ti resterà tutto sullo stomaco!”; “quando è il momento di bere, fermati e recupera ”, “ per dissetarti utilizza bottigliette da mezzo litro, così non ti fermi mai….”.
 
Chi non conosce la storia di quel padre che, accompagnato dal figlio, doveva recarsi al mercato per vendere un asino? Partirono di buon’ora e dopo aver percorso poche centinaia di metri incrociarono un viandante che disse loro: “Bei grulli che siete! Avete l’asino e andate a piedi….”.
Così montarono sul quadrupede e si stupirono di non averci pensato prima. Poco dopo incontrarono una vecchietta che esclamò: “Povero asino! Non avete vergogna? Chissà che peso deve sopportare, ciuco misero e sfortunato”.
Il padre pensò che la vegliarda non aveva tutti i torti, così scese a terra  e proseguì a piedi lasciando in groppa il ragazzo. Il genitore non si era ancora scaldato i muscoli quando videro un gruppo di anziani che, all’ombra di un cipresso, tiravano l’ora di pranzo chiacchierando affabilmente. “Guarda un po’ che ragazzo scellerato, – dicevano – lascia che il padre si massacri le ossa e lui se ne sta pacifico in groppa all’animale…”.
 
I due si guardarono e convennero che il discorso non filava male. Il ragazzo smontò e fece posto al padre che ninnato dall’incedere costante e regolare dell’asino per poco non si assopì. Trascorse soltanto pochi minuti in quel torpore perché un gran baccano lo ridestò improvvisamente. Una masnada di ragazzi stava giocando nei prati vicini. “Che padre degenere –  sostenevano in coro – pensa a riposare, lui, mentre il figlio soffre! Qual è il genitore che avendo soltanto un pezzo di pane non lo cede al figlio?”
 
Erano proprio al limitare del bosco. Il ragazzo scese di sella ed incrociò lo sguardo del padre. Si capirono al volo, diedero un calcio nel sedere all’asino che si chiese quale colpa avesse mai commesso, ma che fu comunque contento di potersi riposare sotto un castagno e tornarono a casa felici e con l’animo netto come il cielo d’estate dopo un temporale.
 
Lo spirito era questo, verso mezzogiorno, quando imboccammo la strada che ci avrebbe condotto fuori dal centro abitato, in un assolato sabato di fine estate, mentre su di noi si fissava lo sguardo canzonatorio e irridente di numerosi compaesani:  “Ma dove corrono con questo caldo?”.
 
Percorsi cinque chilometri ed arrivati alla fontanella di Clibbio nascondiamo dietro una siepe lo zaino che contiene i “ristori”: reintegratori salini (roba che finisce in “rade” o “gade”, insomma), banana e panino dolce per il Tapascio Bombatus; Marco invece reintegratori e barrette energetiche.
Attraverseremo il bosco che costeggia il fiume per altri quattro chilometri fino al pilone che segna il nono chilometro del mio percorso abituale e torneremo alla fontanella ripetendo tre volte questo tragitto; il ritorno a casa concluderà le nostre fatiche dopo trentaquattro chilometri esatti. I primi cinque sono stati corsi molto lentamente, poi incrementiamo il ritmo e il mio compagno al decimo chilometro si stacca e farà corsa a sè (vorrei vedere! quindici anni di meno, basket e palestra….).
 
Al tredicesimo chilometro, cioè al primo ristoro, diciamo così, butto la testa sotto la fontana, mangio un panino dolce, bevo qualche sorso di …..gade e riparto. Inizio il secondo giro con buona lena ed anche la “testa” è a posto. Il fatto di dover percorrere ancora una ventina di chilometri mi tranquillizza e mi provoca una specie di pacata rassegnazione.
So che per concludere una maratona  sarà fondamentale riuscire a controllare le emozioni senza cedere allo sconforto, convincendosi che le crisi passano, ma neppure abbandonarsi all’euforia, magari aumentando il ritmo incoraggiati da uno stato momentaneo di straordinario benessere salvo poi ritrovarsi scoppiati e senza fiato. Questi sono discorsi sentiti da amici podisti, ma simili sensazioni non le ho ancora provate sulla mia pelle. Attorno al ventesimo chilometro comincio a sentire un certo appannamento.
 
Terminato il secondo giro, al ventunesimo, mi ributto sotto la fontana e respiro profondamente. Azzanno la banana e la divoro avidamente, poi qualche altro sorso di reintegratore conclude il ristoro.  Riparto per il giro conclusivo, mi dico che questo è l’ultimo, che non dovrò più ritornare, che la metà è passata, anzi i tre quinti, forse qualche frazione in più….. Mi accorgo di farmi coraggio, cercando appigli e motivazioni per tenermi “su”, innegabile segno di affaticamento, se non stanchezza marcata. Non ancora disperazione, però. Il ritiro in una gara? Per il carattere che ho, a meno che non mi penzoli un femore o perda per strada materia grigia, non sia colto da una sincope o il cuore esca da un orecchio, spero che non rientri nelle mie prerogative, a costo di giungere all’arrivo quando gli organizzatori hanno già smontato tutto.
 
Questi pensieri paiono risollevarmi, mi sento rinvigorito….. certo, la banana! Sembrerebbe impossibile, ma è proprio così. Per qualche chilometro vado meglio.
Arrivo al ristoro del ventinovesimo chilometro, bevo abbondantemente e mi bagno da cima a fondo sotto la fontanella. Imbocco la strada che mi riporta a casa. Dopo tre chilometri, quando ne mancano due al termine del mio primo lunghissimo, sono sulle ginocchia, ma proseguo correndo, pur se ad un’andatura irrisoria. Eccomi finalmente alla fine, schiaccio il cronometro: tre ore e ventiquattro minuti. Marco mi aspetta da più di mezz’ora.
 
Sei minuti netti al chilometro, sinceramente credevo di andare peggio. In quanto tempo finirò, tra due settimane, la mia prima maratonina? Se tenessi il ritmo di oggi chiuderei in due ore e sei minuti, ma il mio obiettivo è quello di concludere sotto le due ore.
Domenica e lunedì riposo assoluto, che vale tanto quanto un buon allenamento.
Martedì, mercoledì e giovedì sei – otto – dieci chilometri lenti e sabato un diciotto in un’ora e trentotto minuti. L’ultima settimana prima della gara, appellata dagli esperti di “scarico”, seguo il consiglio che mi pare più appropriato, per quel che mi riguarda:  tre allenamenti di sei chilometri piuttosto lenti, l’ultimo venerdì sera.
 
Domenica mattina il rito che si compie è identico a quello della prima gara. Sveglia prestissimo, crostata, succo di frutta diluito e the, stretching con i vicini di casa che ormai mi scrutano con minor stupore e “seduta” propiziatoria. Raccatto la borsa preparata la sera prima e via!
In riva al lago, nella stupenda piazza di Gargnano, c’è una grande ressa. Per fortuna sono già in possesso del pettorale, ritirato ieri. Inizio il riscaldamento pian pianino e proseguo per una mezz’oretta. Un elicottero continua a girare sopra le nostre teste e maxi-moto con telecamere sono pronte a riprendere l’evento per  RAI-SAT. Alle dieci in punto : BOOM  ….partenza!
 
In gruppo non ti accorgi di come corri. Vai, e basta. Non sento la fatica e tutto fila liscio. Al primo ristoro bevo due bicchieri di acqua. La prima volta che guardo l’orologio è sotto lo striscione del decimo chilometro: quarantotto minuti.
Strabuzzo gli occhi e ricontrollo: sono proprio quarantotto minuti! Sto andando troppo forte per le mie otto decine e mezzo di chilogrammi. Infatti al dodicesimo ne pago le conseguenze: in prossimità di una salitella mi sento mancare le forze e il fiato, sono preso dallo sconforto e vado al passo per due-trecento metri.
Poi faccio violenza a me stesso e ordino alla gamba destra: “avanti!” e alla sinistra “seguila!”. Riprendo vigore e fiducia. Dal quindicesimo si ritorna sulla provinciale che costeggia il lago e lo spettacolo straordinario che si presenta agli occhi e il clima stupendo e i limoni, i cedri e gli ulivi, mi fan pensare a Catullo che a suo tempo deve aver detto: “Ma si, andiamo a vivere sul lago di Garda, che la vista mi sembra buona”.
Bella forza comporre versi in quelle condizioni. Andate, andate a Sirmione sulla rupe che sovrasta le “Grotte di Catullo”, guardate il lago da nord a sud, magari mentre il sole sta morendo e sentite quel che sgorga dal vostro cuore…. Ora viaggio con rinnovata tenacia ed entro in paese addirittura aumentando l’andatura. Alcune curve ed ecco lo striscione d’arrivo che supero dopo uno sprint finale.
Io e il keniano Rugut abbiamo fatto lo stesso tempo: uno e cinquantatre! Lui un’ora e cinquantatre secondi, io un’ora e cinquantatre minuti!
 
Sono felice ed appagato, ma non stupito. Questo tempo, che ai più fa sorridere, è per me stupendo, considerando il percorso iniziato sei mesi or sono, e diretta conseguenza dell’impegno profuso per svolgere gli allenamenti prestabiliti, associando un’idonea dieta che mi è costata non poco. Bravo Tapascio, mi dico, sei finalmente un semi-maratoneta. Che il Tapascio Bombatus stia diventando Tapascio Robustus (maratoneta sotto le cinque ore)?
 
Non si sa, ma ancora per poco. Solo un piccolo sforzo, perché la prossima è NEW YORK!
 
Tratto dal volume: “Tapascio Bombatus e altre storie” – Ed. Liberedizioni – 2008


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