03 Dicembre 2017, 09.02
Maestro John

Te lo leggo negli occhi

di John Comini

La fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede benissimo, diceva "Freak" Antoni. Gli occhi sono lo specchio dell’anima. Con gli occhi puoi vedere la bellezza di un monte coperto di neve, i colori dell’autunno, un quadro di Van Gogh, il sorriso di un bambino. Ma se non hai la vista…


È commovente la storia di quella bambina cieca di 11 anni, a cui è stato regalata una femmina di San Bernardo, che la guida ad ogni passo ed è sempre al suo fianco, come se entrambe sapessero che hanno bisogno l’una dell’altra.

Una delle esperienze più incredibili che ho vissuto è stato il percorso “Dialogo al buio” presso l’Istituto dei Ciechi di Milano.
Vi ero andato con gli amici Sara Ragnoli e Luca Lombardi (ora genitori di una bellissima bambina di nome Cloe).
Un’esperienza che mi ha insegnato un altro modo di "vedere". Un viaggio di un’ora nella totale oscurità.

Si esploravano gli ambienti di vita quotidiana affidandosi esclusivamente al tatto, all’udito, all’olfatto, al gusto e un po’ all’intuito!
Io, da vero fifone, continuavo a gridare “Luca stamm visì, ghe vède un bip!
L’ultima tappa è stato un bar dove, sempre nell’oscurità più totale, si commentava l’esperienza vissuta.

Un buio così profondo disorienta, sconcerta chi è abituato da sempre a fare affidamento sulla vista.
Nel buio anche il caffè ha un altro sapore, una rosa un altro profumo. Ho scoperto una diversa percezione della realtà. E ho scoperto la simpatia e l’umanità delle nostre “guide”, che ridendo dei miei impacci, mi hanno fatto scoprire che la vita anche per chi non vede non è vuota né triste.

È, per alcuni aspetti, semplicemente diversa.
“Finirà, me l’hai detto tu, ma non sei sincera
te lo leggo negli occhi, hai bisogno di me.
Forse vuoi dirmi ancora no, ma tu hai paura
te lo leggo negli occhi, stai soffrendo per me
E nei tuoi occhi che piangono
mille ricordi non muoiono perdonami se puoi
e resta insieme a me
tra di noi forse nascerà un amore vero
te lo leggo negli occhi, tu lo leggi nei miei.”

(Battiato)

Omero era cieco: eppure nessun poeta vide meglio di lui.
Claude Monet dipinse uno dei suoi quadri più famosi quasi completamente cieco.
Anche Stevie Wonder, leggenda della musica soul, era non vedente.
Ray Charles non nacque cieco, ma lo diventò all’età di otto anni in seguito a un glaucoma. Disse: "Quando non si vede, si apprezzano di più gli altri e talvolta la tua vita viene toccata da persone meravigliose, che magari non sono confezionate meravigliosamente, ma se sei cieco non lo sai. Ad esempio, quando uno dei miei figli mi sale in grembo, io sento solo che c’è qualcuno lì che mi ama e che io amo".

José Feliciano, quello di “Che sarà”, era cieco dalla nascita.

La storia cantata del “paese sulla collina lasciato" è come la sua storia, perché lasciò il suo povero paese collinare per New York, come tanti altri a cercare fortuna per gli Stati Uniti.
La canzone è considerata come un "inno all’immigrazione" delle popolazioni latine.

Andrea Bocelli durante una partita fu colpito da una pallonata all’occhio destro, l'unico dal quale riuscivo a scorgere la luce e i colori.
Nella cecità Jorge Luis Borges ammette di avere perso il mondo esterno, ma di averne conquistato un altro, altrettanto ricco: quello della letteratura. “Sono cieco e ignorante, ma intuisco che sono molte le strade. Chi può conoscere meglio se stesso, se non un cieco?”

Andrea Camilleri, 91 anni, nella sopravvenuta cecità ha dettato l’ultimo romanzo alla sua assistente. “Da quando sono diventato cieco, i pensieri tinti mi visitano più spesso. Cerco di scartarli; però tornano. A volte mi viene la paura del buio, come da bambino. Una paura fisica, irrazionale. Allora mi alzo e a tentoni corro di là, da mia moglie. Fino a poco fa vedevo ancora le ombre. Sono felice di aver fatto in tempo a indovinare il viso della mia pronipote, Matilde. Ora ha tre anni, è cresciuta, mi dicono.

“Poi, ho visto gli occhi tuoi, rotolando verso casa
chiamare i miei, che bella sei
che belle fai le belle sere sai,
ho visto gli occhi tuoi
quando scende la bellezza in fondo al cuore…
come sei bella tu scendi da una stella…
Quando scende la tristezza
e invade gli occhi…”

(Zucchero)

Chi non ha visto “Luci della città” di Chaplin? Un vagabondo va alla ricerca del denaro per guarire una giovane fioraia cieca, va persino in prigione e, quando esce, ritrova la ragazza guarita che ha aperto un bel negozio di fiori.
Vede passare Charlot davanti alla sua vetrina, ma non lo può riconoscere. Si guardano, la fioraia esce dal negozio per offrirgli un fiore e una moneta. Lo avvicina e così, tenendogli la mano, lo riconosce: il suo benefattore è lui. “Puoi vedere ora?” “Sì, ora posso vedere.”
Gli sguardi tra i due sono uno dei più commoventi finali della storia del cinema.

“Gli occhi sono ciechi. Bisogna cercare con il cuore”. (Il Piccolo Principe)

Non occorre guardare per vedere lontano.
Ho conosciuto una persona meravigliosamente estrosa. Si chiama Daniele Meschini, abita a Livemmo (la “mia” Livemmo!) ed è ipovedente.
È molto impegnato nelle attività sociali ed artistiche, essendo profondamente legato al luogo in cui è nato.
Promuove iniziative sulla storia e la cultura locale: ultimamente ha presentato la Mostra-Calendario sulle “Le leggende dell’alta Valle Sabbia”, realizzata insieme all’Associazione Artistica Eridio.

Attraverso l’Associazione Riflessi di Luce
, si dà da fare per valorizzare la stupenda chiesetta di San Rocco di Livemmo, ricca di antichi affreschi che necessitano di un urgente restauro.
Daniele ama scrivere e fotografare, è stato lui ad informarmi della mostra-convegno “Io ti vedo così” sulla disabilità visiva, che si è svolta a novembre presso Palazzo Martinengo nel bel mezzo di Brescia (sempre presi da mille impegni, in molti avranno perso la significativa occasione di avvicinarsi a questo mondo, che erroneamente crediamo di conoscere bene…).
Erano presenti dei pannelli descrittivi con immagini che esprimevano gli effetti-conseguenze delle variegate tipologie di malattia che può colpire l’occhio. Inoltre, erano esposte foto scattate da ipovedenti bresciani, persone con difficoltà visive, il tutto con l’intento di sensibilizzare la società sulla tematica. Anche Daniele ha esposto alcune sue immagini (nelle foto: Marostica, dualismo “Insieme ma diverse” e “Percezione tridimensionale”).

Chi è disabile e soffre nelle difficoltà quotidiane, attraverso l’arte e la cultura può proporre le proprie capacità e il proprio essere, dando l’opportunità di generare un dialogo e di costruire nuove relazioni sociali, aperte e più consapevoli.
Le persone normo-vedenti come me, hanno una scarsa conoscenza dei problemi che una persona con grave deficit della vista incontra nel proprio percorso vitale. Potremmo fare di più, per loro e per noi stessi!

Il deficit visivo può essere un dramma, soprattutto per chi diventa ipovedente nel corso della vita, spesso è vissuto come un lutto.
E’ apprezzabile come molti riescano a reinventarsi, dando un nuovo senso all’esistenza, sfruttando le loro potenzialità nascoste, lavorando e perseguendo le proprie passioni, semplicemente utilizzando metodologie differenti per fare la medesima azione.
Da esse possiamo imparare ad avere uno spirito più costruttivo e gioioso nell’affrontare le cose, non dobbiamo farci fregare dalla superficialità e sopraffare dalle paure. Avvicinarsi all’altro, in ogni caso, può donarci molto.

Per conoscere meglio la realtà degli ipovedenti (ovvero coloro che vedono meno di 1/10), qui di seguito vi riporto alcune testimonianze tratte dai pannelli della mostra, realizzati dalla sezione Cesena-Forlì dell’Unione Ciechi e Ipovedenti…

“Quando pronuncio la parola “ipovedente” noto in chi mi ascolta un attimo di assenza, dettata dalla non conoscenza e a volte mi sento una specie di marziano. Ricordo che a scuola un insegnante mi ha deriso per il fatto di non riuscire a leggere alla lavagna «Come? E’ scritto così grande!» mi diceva”.

 “Nell’occhio destro ho sempre la macchia scura centrale, nell’altro c’è sempre uno sfarfallio. Essendo a casa quasi sempre da solo ho perso anche un po’ l’uso della parola… quando ero a contatto con la gente non balbettavo tanto… ma via… è andata così…”.

“I primi anni sono stati duri…mi muovevo solo appoggiandomi alla ringhiera. Poi mi sono operato di cataratta e insomma…ora come riferimenti ho le fughe del pavimento, una mattonella…c’è stato un periodo che mi – inzuccavo - dappertutto… a volte vado al mercato da solo, vado piano piano, per non dovermi far accompagnare, per non disturbare nessuno.
Cerco di essere cauto, di stare attento… Dalla porta di casa mia, a sei sette metri, non riconosco le persone, e allora saluto tutti. A un metro e mezzo di distanza, non vedo gli occhi il naso la bocca… se batte la luce intuisco il profilo del naso e appena il contorno della testa…dove non ci sono gli occhi è tuto marrone… è una cosa sfocata. La parte del viso meno illuminata si confonde con lo sfondo. Se ti incontro per strada ti vedo dallo stomaco in giù. Vedo ai lati, ma non ti riconosco. Al posto della tua faccia non c’è niente. Non è bianco, non è nero, né grigio. Non c’è la tua faccia, al tuo posto la strada sembra continuare. Sembri un fantasma senza testa, sotto la testa non vedo perfetto ma distinguo. Se mi guardo i piedi, ne vedo uno solo”
.

“Tutto è cominciato cinque anni fa, leggendo il giornale le righe sembravano andare dal basso verso l’alto, mi sono accorta che vedevo tutto deformato. Adesso no, niente è più deformato, non c’è proprio…
Cinque anni fa guidavo ancora e guardando la strada vedevo cosa c’era: prima c’era il camion, poi mancava un fanalino, poi un altro pezzettino, poi non c’era più niente…
Il camion era scomparso e al suo posto come una strada grigia indefinita che continuava. Ai lati gli alberi continuano ad esserci ma al centro non c’è più il centro, non c’è più il traffico…”.


“Immagino il colore degli oggetti perché ho la memoria visiva. Godo della percezione dei suoni, dei profumi... Amo tantissimo la musica, suono la chitarra.
E’ una delizia ascoltare letture, ascoltare le voci. La voce mi fa immaginare la personalità e la fisionomia della persona a cui appartiene. La vacanza migliore è quella in montagna... per gli odori... quasi ho paura di toccare, di rompere qualcosa soprattutto nelle piante.
All’orto botanico ho toccato i fiori e le foglie: i profumi danno molto rispetto alla mancanza del senso dominante”.


“Vedo poco, prima vedevo. Mi sono adattato a questa nuova situazione, ho trovato questo gruppo con cui mi trovo bene. Sì, ci sono belle ragazze, ma cosa vuoi... non le puoi neanche vedere...
Da giovane riuscivo a leggere e a studiare, andavo anche in motorino, ho fatto qualche tentativo con la macchina; fino a pochi anni fa mi spostavo in bicicletta, adesso non è più possibile. L’adattamento alla luce è sempre più lento e difficile.
E’ tutto essenziale, come il disegno di un bambino. Sento un ticchettio che riconosco...grido forte “Joy...” dopo qualche attimo arriva la risposta “Ooooh Tuky...” è mio fratello.
Anche per lui la mia stessa sentenza: retinite pigmentosa. Adesso ho un figlio, lui è salvo, ma se avrò un nipote... Sto lottando anche per lui, spero che quando giungerà il suo momento ci saranno cure efficaci”.


Alfredo, il proiezionista cieco in “Nuovo Cinema Paradiso” diceva al piccolo Totò:
«Ora che ho perso la vista ci vedo di più».

 “Vedo gli amici ancora sulla strada, loro non hanno fretta,
rubano ancora al sonno l'allegria  all'alba un po' di notte:
e poi la luce, luce che trasforma  il mondo in un giocattolo.
Faremo gli occhiali così!  Faremo gli occhiali così!

(“Un ottico” di De André)

Mi auguro che chi ha la fortuna di vedere, si comporti in modo da non sporcare, inquinare e imbruttire questo mondo.
Un mondo reso bello anche da persone come Daniele che mi ha scritto: “La cosa più positiva di essere disabile è il fatto di affrontare la vita con più coscienza, il dolore ti mette alla prova e alla fine ti rafforza…” Grande Daniele!

Ci sentiamo la settimana prossima, a Dio piacendo
maestro John Comini



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