13 Gennaio 2023, 09.08
Blog - Aqua Alma

Quanto vale l'acqua? Il valore reale degli ecosistemi basati sull'acqua

di Mariano Mazzacani

È corretto imputare un valore economico ai sistemi naturali come il delta del Po, dell’Okavango, della Camargue o della foresta amazzonica? Quale ratio applicare per misurarne il corretto valore? Quanto vale l’acqua?


L’acqua è democrazia.
Nelson Mandela

I mercati danno una risposta molto limitata perché i servizi ecosistemici non sono generalmente oggetto di scambio, e perché forniscono “servizi pubblici” il cui prezzo è difficile da valutare.

Gli ecosistemi rappresentano una fonte di grande ricchezza poiché forniscono servizi ecologici, come la filtrazione idrica, e sostengono gli ambienti vitali alla produzione di cibo e altri prodotti.

Secondo una stima elaborata
dall’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN), relativa al valore economico delle paludi nel bacino dello Zambesi, il valore dei servizi ecologici garantiti da queste paludi sarebbe pari a 63 milioni di dollari, più della metà dei quali riferibili a servizi di depurazione e trattamento dell’acqua.

Nelle paludi nigeriane di Hadejia Nguru,
il tradizionale sfruttamento delle golene rende, in produzione di riso, 12 dollari per metro cubo di acqua, in confronto agli 0,04 dollari per metro cubo dei programmi di irrigazione. Le paludi sono fondamentali anche per i mezzi di sostentamento dei poveri.

In Mali,
le aree paludose situate nel delta del Niger assicurano i mezzi di sostentamento per 550.000 persone, fra cui pescatori, pastori, e gli agricoltori che coltivano metà del riso del Mali. Fonti: Bos e Bergkamp 2001; Postel e Richter 2003; wri 2005 (UNDP 2006). Benché disponibile in quantità limitate, l’acqua è trattata come una risorsa ambientale a cui non viene attribuito alcun valore di scarsità.

Gli ecosistemi basati sull’acqua
creano le condizioni e mantengono processi necessari a sostenere la vita umana. Questi servizi, però, poiché solo di rado sono oggetto di scambio sui mercati, in genere non sono valutati adeguatamente, nonostante il contributo concreto che apportano al benessere degli ecosistemi basati sull’acqua.

Le consuetudini
che si riscontrano nell’ambito della contabilità nazionale dei paesi rinforzano il punto cieco del mercato relativamente all’acqua.

Esiste un’ovvia asimmetria
nel modo in cui i governi misurano, e quindi giudicano, il valore del capitale finanziario e il valore del capitale delle risorse naturali come l’acqua.

Il deterioramento o l’impoverimento delle acque non viene riportato nei conti economici nazionali come perdita, o deprezzamento, del patrimonio delle risorse naturali.

Secondo la logica perversa legata al PIL, misura del benessere delle nazioni, lo sfruttamento delle falde acquifere, il prosciugamento dei laghi e l’inquinamento dei fiumi può essere riportato nei conti economici nazionali come aumento di reddito. Ai beni e ai servizi ambientali non è associato un prezzo di mercato e può esistere una forte incertezza sul loro vero valore e significato e per fare confronti sarebbe necessario attribuir loro un valore.

La valutazione monetaria
dei beni ambientali senza mercato può essere più o meno imperfetta, ciò nonostante, una valutazione formulata in maniera esplicita a beneficio delle considerazioni dei responsabili politici e del pubblico è sempre meglio di niente, dato che in questo caso le azioni vengono intraprese sulla base di una qualche valutazione implicita (Turner et al., 2003).

Perciò imputare un valore economico ad un sistema naturale sarebbe propedeutico a riconoscerne il valore in funzione dei “valori” delle società moderne.

In antichità ciò non era né necessario ma neppure considerato poiché l’uomo (più) in sintonia con la natura deificava ogni manifestazione soprannaturale offrendo offerte, come segno di gratitudine ad ogni sistema naturale, lago, fiume o stagno o, per timore, si teneva lontano dai luoghi infestati dai demoni che si manifestavano con i pestilenziali miasmi delle paludi.

Perché invece sarebbe necessario, come metro di misura del valore dei beni ambientali, usare la moneta? Nonostante le perplessità di natura tecnica, oltre che etica e morale, la monetizzazione dell’ambiente è il modo più semplice per attribuire ad esso “pari dignità” nelle valutazioni delle scelte pubbliche.

La moneta è l’unità di misura nei termini della quale gli individui esprimono le proprie preferenze. Il valore economico del danno ambientale determina una perdita non compensata di benessere da parte di una collettività. Tale misura considera i costi subiti e/o i benefici perduti (Benvenuti Università Tor Vergata).

La critica sociale
evidenzia il fatto che imputare un valore economico ad un sistema naturale sia la mercificazione stessa della natura e dunque dare un prezzo a qualcosa che “non può avere prezzo perchè ineguagliabile, non duplicabile” è il primo passo di tale processo.

La definizione di capitale naturale è sicuramente una nozione figlia della visione antropocentrica della natura, un concetto che può portare persino la natura ad essere quantificata e “gestita” come valore economico. In ogni caso, l’importanza del capitale naturale è sotto gli occhi di tutti, tanto che governi e amministrazioni, negli ultimi anni, mettono a punto strategie per preservarlo e incrementarlo. Molti ormai sono gli organismi internazionali che hanno concettualizzato tali aspetti.

Il Global Footprint Network riporta infatti che attualmente avremmo bisogno di 1,6 Terre per mantenere l’attuale popolazione mondiale e i suoi standard di vita, entrambi in aumento.

Risulta fondamentale quindi riconoscere l’importanza del ruolo che gli ecosistemi svolgono nel mantenere la vita sul pianeta, includendo il loro valore nelle transazioni private.

La quantificazione del valore dei servizi ecosistemici è tuttavia materia complessa e si discosta dagli strumenti economici classici. Il concetto di servizi ecosistemici, tratta dell’intero ammontare di risorse naturali del pianeta, di un paese, un continente o una città e comprende tutto: dal suolo all’aria, passando per l’acqua, la fauna, la flora e tutti gli organismi.

Per valutare al meglio questi fattori andrebbero considerati anche i cosiddetti “servizi ecosistemici” e la loro valutazione economica. Nel 2005 il Millennium Ecosystem Assessment ha classificato i servizi ecosistemici mentre nel giugno 2012 alla Conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile in Brasile è stata lanciata una “dichiarazione sul capitale naturale” (NCD) firmata da 40 amministratori delegati per “integrare le considerazioni sul capitale naturale in prestiti, azioni, reddito fisso e prodotti assicurativi, nonché in quadri contabili, informativi e di rendicontazione(!).

Non ci si limita alla privatizzazione dei beni comuni ma ci si spinge, con un processo ben più complesso e profondo definito “finanziarizzazione dei beni comuni”, ancor più in là.

Come attribuire un valore al capitale naturale?
Gli indicatori del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente e dell’OCSE, per misurare la biodiversità naturale usano il termine in un modo più specifico, con capitale naturale intendono i “beni naturali nel loro ruolo di fornire input di risorse naturali e servizi ambientali per la produzione economica” considerando tre categorie principali: stock di risorse naturali, terra ed ecosistemi”.

Come afferma il filosofo Galimberti anche questo fa parte della sopraffazione della tecnica su tutto, visto che l’uomo non ha mai maturato un’etica che si sia fatta carico degli enti di natura, ma si è limitata a contenere i conflitti umani.

Servirebbe un’etica ecologica
, che dovrebbe essere interiorizzata dalla psiche per poter funzionare. In un bosco, un poeta ed un falegname, vedono cose diverse: uno vede mobili e l’altro poesia.

Similmente davanti ad un ecosistema idrico un ecologista ed un contabile vedranno cose diverse, ma è possibile od auspicabile un punto d’incontro?

Oggi gli ecologisti collaborano con gli economisti per misurare ed esprimere i valori della ricchezza degli ecosistemi come un modo per trovare soluzioni alla crisi della biodiversità.

C’è persino un tentativo di assegnare una “valore” ai servizi ecosistemici, ad esempio alla foresta boreale canadese che se ecologicamente intatta, ha un valore stimato di 3,7 trilioni di dollari mentre il valore annuale dei servizi ecologici “prodotti” è stimato intorno ai 93,2 miliardi di dollari, ovvero 2,5 in più del valore annuale di estrazione delle risorse. (https://wisesociety.it/economia-e-impresa/capitale-naturale/).

Questo passaggio di imputare un prezzo a qualcosa, che “non dovrebbe avere prezzo” e che non dovrebbe entrare nelle dinamiche del mercato, risulta purtroppo necessario per l’Homo economicus, che basa esclusivamente le scelte sulla valutazione della sua personale "funzione d'utilità".

Riconoscere i rischi e l’incertezza.
La Stern Review sul cambiamento climatico ha sollevato una questione già ampiamente riconosciuta, ma non ancora sufficientemente approfondita: come valutare la posta in gioco, quando uno dei risultati possibili è la fine della nostra civiltà?

Non bastano le tragedie già affrontate come quella del Lago d’Aral o quella in atto del Lago Ciad? (https://ilcaffegeopolitico.net/57043/il-lago-daral-i-storia-di-un-colpevole-degrado; https://www.intersos.org/ciad-il-lago-che-resiste-tra-guerra-e-desertificazione/)

Si tratta di un dilemma da applicare alla valutazione dei rischi del crollo degli ecosistemi. Tale difficoltà era già stata messa in evidenza da uno studio (Costanza et al. 1997), nel quale il valore economico dei servizi ecosistemici stimato in 33 mila miliardi di dollari USA (rispetto ai 18 mila miliardi del PIL mondiale) ricevette critiche, da una parte perché ritenuto eccessivamente elevato e dall’altra perchè insufficiente poiché le informazioni “riguardavano scelte individuali con un orizzonte temporale limitato e non cosa dovrebbe fare la società su un arco temporale molto maggiore”.

Dunque, che fare? Semplicemente è nostra convinzione che il sistema economico dovrebbe considerare il costo delle esternalità ambientali, oggi a carico della collettività, come costo intrinseco dei beni e dei servizi. In tal modo sarebbe immediatamente percepibile l’impatto sui sistemi naturali di taluni processi produttivi e distributivi e potremmo valutare il costo di un bene o servizio in modo più informato ed oggettivo di come fatto sinora.

Non è più accettabile
che i costi ambientali, e dunque sociali, rimangano a carico della collettività né è accettabile il principio di chi inquina paga che produce distorsioni nei sistemi produttivi per l’incertezza della pena e/o della possibilità di “potersi permettere”, perché in grado di pagare, di deteriorare l’ambiente per un tempo incalcolabile.

Si pensi ai casi incriminati degli impianti di imbottigliamento di Coca-Cola e PepsiCo in India, oppure ai danni incalcolabili determinati dai disastri di Fukushima o della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon.

Com’è possibile calcolare i danni incalcolabili causati, a livello globale, dalle plastiche monouso sulle risorse idriche?

Com’è possibile valutare
la persistenza delle microplastiche nell’ambiente marino e calcolarne economicamente il danno?

Doverosamente dobbiamo chiederci
se sia sufficiente predeterminare i costi degli impatti sui sistemi naturali delle filiere produttive con l’applicazione di un’imposta Pigouviana*. O se sia possibile, in un mondo dominato dalla tecnica e da chi sa far solo di conto, far coesistere il mercato con gli enti di natura che vanno tutelati e gestiti nell’interesse delle future generazioni.
(https://www.treccani.it/enciclopedia/tassa-di-pigou_%28Dizionario-di-Economia-e-Finanza%29/).

Approfondimenti su: https://prezi.com/p/taqttfp3metc/il-valore-dellacqua-parte-seconda/


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