10 Dicembre 2012, 08.47
I racconti del lunedì

Una cosa che comincia per i - Quarta e ultima puntata

di Ezio Gamberini

Sono in attesa che vengano a prendermi per la terza coronarografia, passano le ore e verso le dieci capitano in reparto Grazia e Paolo, poi mia sorella Emma...


... “Che ci fate qui?”. Dovranno aspettare ancora alcune ore perchè il mio turno verrà dopo le tredici. Entro in emodinamica agitatissimo, sento che il dottore parla inglese ed in questo idioma che parlo terribilmente scambiamo qualche battuta: gli dico che “My son works to London, three months” (mio figlio lavora a Londra, tre mesi). Mi è simpatico. Nel frattempo mi buca il polso ed in venti minuti è tutto finito: “It’s all rights, tutto a posto!”. Lo ringrazio e lo saluto. Soltanto nel pomeriggio scoprirò che il dottore è egiziano ed è considerato il migliore dell’equipe.

Le coronarie sono a posto, sto tranquillo; ora bisogna trovare il motivo per cui il mio cuore “pazzerello” ogni dodici ore fa le bizze. Questi spasmi dovranno essere curati a livello farmacologico, ed infatti nei prossimi giorni mi verrà somministrato per la prima volta un nuovo farmaco che però non è disponibile in Italia; l’unica confezione presente in ospedale è un campione.

Sabato mattina finalmente mi tolgono gli elettrodi collegati ai macchinari e mi applicano un apparecchio telemetrico: potrò muovermi come desidero, entro il raggio di una ventina di metri. Un’altra vita: libertà di movimento, poter andare in bagno. Certo, c’è anche il rovescio della medaglia: si è sempre controllati, pare di essere protagonisti del “Grande Fratello”. Al ritorno dal bagno, l’infermiera intenta a scrutare il monitor con i miei dati, con voce inquieta e preoccupata mi chiede: “Ma che cosa le è successo? La frequenza è salita bruscamente da 80 a 125!”. “Beh, vorrei vedere lei, seduta sulla tazza, intenta a “spingere” dopo una settimana che non assapora questa ‘consolazione’. Mi sono impegnato a fondo!”.

Dopo pranzo, alle 13 arrivano in visita Grazia, Paolo, Anna e Chiara: che dolce visione! Contravvenendo alla regola che prevede un visitatore per ogni paziente, chiedo e ottengo di poter tirare le tende ed isolare il mio “giaciglio”, così mi ritrovo seduto sulla poltrona, sotto la finestra, e Grazia ed i ragazzi ai piedi del letto: è un momento di “felicità pura”. Gli occhi di Grazia sprizzano gioia ed anche i ragazzi sono contenti, mentre io sembro Re Mida!

Alle otto di mattina fra’ Fabio fa il suo ingresso nel reparto offrendo a tutti il suo consueto splendido sorriso, ma oggi è domenica e gli chiedo la Comunione che m’impartisce volentieri, dopo avermi letto un passo del Vangelo di oggi. Domani andrà a Lourdes per accompagnare un frate anziano, al suo posto ci visiterà una suorina, con l’identico sorriso.

Stamattina mi viene somministrato per la prima volta un nuovo farmaco che non esiste nel prontuario italiano, ma proviene dalla Svizzera; evidentemente era stato creato per Guglielmo Tell, invece se lo “becca” il Tapascio Bombatus (il quale, come rileva argutamente l’amico Fabrizio venuto a trovarmi, ormai si è trasformato in “Tapascio Monitoratus!”): in tutto l’ospedale è disponibile soltanto una scatola da 30 pastiglie! Questo evento mi fa riflettere sui costi della mia degenza. Non ho rimorsi o perplessità personali, fino ad ora (mi mancano un paio d’anni al mezzo secolo) non ho mai fatto un giorno di mutua, non perchè sono bravo, ma perchè sono stato soprattutto fortunato. Voglio però provare a fare sommariamente un conto di quello che costa giornalmente la permanenza di un degente come me (prima in rianimazione e poi in terapia intensiva). Ci vorrà un po’ di tempo, ma che mi frega, qui ne ho da vendere.

Premetto che i calcoli sono “spannometrici”, personali e assolutamente confutabili. Diciamo che è quasi un gioco, un  passatempo.

Cerco innanzitutto di suddividere le categorie di spesa: struttura, personale, apparecchiature, farmaci, vitto, spese generali.

Struttura: considerando che l’ospedale Civile di Brescia è estremamente vetusto (ed esternamente piuttosto brutto; non così la qualità giacchè, ad esempio, l’unità cardiologica che mi ospita, sede universitaria, è tra le migliori d’Europa), è possibile attribuire un valore minore per l’ingente utilizzazione e quindi l’avvenuto ammortamento, ma ritengo in ogni modo che a questo capitolo non si possa attribuire un valore inferiore ad alcune decine di euro giornaliere pro-capite; diciamo 40-50.

Personale: in terapia intensiva i posti letto sono dodici e sui tre turni di lavoro gli infermieri di varia specializzazione, i tecnici ed i medici che si alternano non sono complessivamente meno di 20-22. Fatti due calcoli credo che questa voce possa raggiungere i 350/400 euro pro-capite giornalieri (ma ritengo di sbagliare in difetto).

Apparecchiature: ognuno dei dodici letti dispone di apparecchiature avveniristiche. Pur sapendo che i costi della tecnologia (computer ecc.) sono estremamente diminuiti negli ultimi anni, credo che questi macchinari costino un “pozzo” di soldi; ignoro quanto possano essere utilizzate, e quindi il loro ammortamento, ma sono certo di non sbagliare se attribuisco a questa voce un valore sui 100 euro giornalieri pro-capite.

Farmaci: non so quanto costi questo medicinale fatto arrivare dalla Svizzera. Il costo totale per 9 scatole di farmaci, quando sono uscito dalla precedente degenza, era di 270 euro ed io in farmacia ne ho pagati 5. Ora mi vengono somministrate circa 10 pastiglie al giorno, però bisogna anche considerare, ad esempio, il nitrato somministrano in vena, i cerotti che mi applicano, le siringhe, le bende, tutto il materiale utilizzato “usa e getta” ecc.. Non credo di sbagliare se considero per questo capitolo 80-100 euro al giorno.

Vitto e spese generali: forse questa voce, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, è la minore e ritengo che 40-50 euro rappresentino il giusto valore.

In conclusione, tirate le somme, allo stato sto costando 50+400+100+100+50= 700 euro al giorno, ed ho la fondatissima percezione di avere errato in difetto.

Lunedì mattina il risveglio è senza alcun dolore, mi sento un leone. Speriamo che il nuovo farmaco sia quello giusto, anche se per tutta la giornata mi son sentito un po’ “rintontolito”; dovrò abituarmi!

A sera, dopo cena, mi trasferiscono nel reparto di cardiologia in una camera a tre ed anche stavolta, “fortunello” che non sono altro, il mio letto è vicino alla finestra. Utilizzando termini calcistici, mi sembra di essere passato da una “tribuna centrale” (terapia intensiva) ad una “curva” (il reparto di cardiologia maschile ha trenta degenti): bene, significa che sto meglio, anche se continuerò ad essere costantemente osservato e tenuto sotto controllo da un trasmettitore che segnala qualsiasi variazione improvvisa dei valori. Per la prima volta dopo parecchio tempo, martedì a mezzogiorno nel vassoio trovo una sorpresa: maccheroni al pomodoro ed un panino! Vorrei mangiarne soltanto metà porzione di entrambi, ma poi mi dico che bisogna pur provare il ritorno alla normalità, così “spazzolo” sia la pasta sia l’intero pane, col risultato di ritrovarmi appesantito per tutto il pomeriggio. Ma che soddisfazione!

In serata è stato davvero divertente quanto successo in sala televisione, ove mi reco prima di coricarmi per leggere un libro sui comodi divani. Sono circa le 21 e 30, un’infermiera entra in punta di piedi nella stanza ed esclama: “Dal corridoio vi ho visti tutti fermi e attenti: o stanno trasmettendo una partita di calcio o...”. “O Miss Italia!” confessa il più simpatico del gruppo, che prosegue: “E domattina attenzione alle coronarografie, alla pressione ed esami vari” tra le risate di tutti. Mi guardo attorno: due o tre, come me, hanno applicato il trasmettitore, altri sono segnati da ferite seguenti all’applicazione di pace-maker o by-pass, altri ancora sono attaccati ad una specie di macchina da cucire con mobiletto e rotelle, che fluidifica il sangue o rilascia farmaci lentamente; che squadra!

Ed il tutto mentre sotto i nostri occhi sfilano le prime venticinque ragazze che partecipano al concorso. Forse sto diventando vecchio, ma il mio concetto di “bellezza” si discosta molto da quanto offertoci questa sera: quasi tutte le ragazze sono esageratamente magre, quasi diafane. Nulla a che vedere con quelle che ritengo le vere rappresentanti della “bellezza italiana”: Cucinotta, Ferilli, includo anche la “Valeriona” Marini che pur nella sua inespressività dovuta ad eccessivi “pompaggi” di labbra e zigomi (oltre al resto) fornisce sempre un bel colpo d’occhio; e per finire lei, la più bella in assoluto, la meravigliosa Monica Bellucci: se sapesse anche recitare sarebbe perfetta!

Mercoledì per tutta la giornata ho un po’ di dolorini, forse dovrò abituarmi, comunque le apparecchiature non hanno segnalato nulla di strano. La sera ho una “botta” di sconforto, proprio quando vengono a trovarmi Grazia e Paolo; mi prenderei a sberle, scaricare su di loro, poveretti, il mio stato d’animo. Più tardi chiamerò Grazia a casa per rincuorarla: è stato solo un attimo.

E’ proprio vero, dopo la tempesta viene sempre il sereno. Oggi, giovedì, è il primo giorno in cui non sento neppure il più piccolo e insignificante dolore. La pressione è perfetta, mangio volentieri e digerisco benissimo. Mi sembra proprio di essere un turista e sarà così anche domani. Il reparto comincia a diventare “stretto”, le ore scorrono lentamente, ma se Dio vuole arriva finalmente sabato mattina, ed il momento della visita: “Allora, come andiamo?” mi chiede il dottore mentre mi ausculta il cuore. “Divinamen...” non riesco a finire la frase: dal corridoio arriva un urlo trafelato di un’infermiera: “Arresto al 29!”. Il dottore scatta come una saetta e per poco non si scontra in corsia con un giovane medico che sta spingendo in direzione del letto 29, con tutte le sue forze ed a velocità sostenuta, un’apparecchiatura mobile con tutto il necessario per la rianimazione, compresi i due “ferri da stiro” che si vedono ogni tanto nei film, da applicare sul petto per riportare in vita il paziente. Tredici giorni fa è successa la stessa cosa per me e se ci penso mi vengono i brividi! Passano alcuni minuti, per fortuna si è rivelato un falso allarme.
Il dottore torna e si mette a scrivere, non parla, quindi mi faccio coraggio io: “Allora, vado a casa?”. Finalmente sì. Ultimo pranzo, ed all’una Grazia arriva con la borsa contenente i pantaloni, una camicia, si ritorna alla normalità. Alla guida si mette lei, io devo fare il bravo malato. Varco la soglia di casa ed i ragazzi ci accolgono festanti, che felicità! Ora si tratta di “patteggiare” con la mia dottoressa il numero di giorni che vorrà farmi stare a casa, considerando che già in agosto i tempi di riposo mi sembravano biblici. Io ho fretta! (Ed invece dovrò prendermela con molta calma)

Chi mi ha accompagnato in queste due settimane? Prima di tutto la mia famiglia, i parenti e gli amici che mi sono stati vicini di persona, col pensiero e con il ricordo; non sarò mai abbastanza grato, nei loro confronti. Se li menzionassi tutti (e tutti lo meriterebbero, di tutti voglio serbare memoria!) non so quante pagine dovrei scrivere!

Voglio solo ricordare il mio amico Luca Giori, tetraplegico in seguito ad un incidente che gli ha lesionato una vertebra, ospite da alcuni anni all’Istituto Nikolayewka di Brescia, ad un tiro di schioppo dalla mia finestra. Di lui ho narrato nel mio “Tapascio Bombatus e altre storie”, ricordando quando una decina d’anni fa correvamo insieme sul greto del fiume. Dal momento in cui gli ho comunicato di essere stato spostato nel reparto di cardiologia mi ha chiamato ogni giorno, a sera o poco prima di pranzo, confortandomi e sostenendomi. Confesso che sentire la sua voce mi ha sorretto in modo eccezionale. Mi spiace non aver potuto partecipare alla presentazione del suo libro, avvenuta sabato pomeriggio all’istituto in occasione della festa annuale, in cui narra la sua esperienza prima e dopo l’incidente. La sua mamma ne ha consegnata una copia alla mia e non appena in possesso, l’ho letto in un fiato. E’ la storia di un uomo che ripercorre lucidamente le tappe della sua vita, ricordando anche gli errori, immensamente innamorato dei suoi figli e della vita, che sta mettendo a frutto i talenti rimastigli; un uomo vero!

Sono stupefatto dal bene che mi circonda, commosso per le manifestazioni di affetto riservatemi  già domenica sera quando, in occasione della tradizionale Festa della Madonna della Rocca, giro tra centinaia di persone all’oratorio (“Ehi, sono qua, sono ritornato!” c’è stampato sulla mia faccia), e poi nei giorni seguenti, nelle mie passeggiate quotidiane. Faccio le prove da pensionato, ogni due o trecento metri mi fermo con qualcuno a fare “filò”. Che bello parlare con la gente, non vi ero più abituato (o forse, in realtà, non lo sono mai stato): le gioie o le miserie diventano comuni e tutto sembra più leggero, condividendolo.

Nella prima settimana di degenza mi ha scortato Giovannino Guareschi con il primo dei tre volumi di “Tutto don Camillo”, una “sberla” di 1100 pagine che ho concluso proprio domenica sera; durante la seconda mi ha accompagnato invece Dino Buzzati con la raccolta di 240 racconti, un altro tomo di 840 pagine. Intervallavo poi la lettura di uno o due quotidiani e riviste di vario genere. Alcuni minuti al giorno erano poi riservati alla stesura di qualche appunto; impressioni, sentimenti, idee da “fissare” subito sulla carta, pena l’oblio.

Ma il ricordo più intenso e struggente che rimarrà, in ogni modo, è quello relativo a Grazia, nel momento in cui il mio cuore si stava fermando, lunedì mattina, intento a detergermi il sudore sul collo con l’asciugamano, seduto sul divano in attesa dell’ambulanza quando sentivo che stavo perdendo conoscenza: mentre con le sue mani mi stringeva il viso dicendo: “Ezio, Ezio!” e gli occhi supplicavano “Non lasciarci!”, rammento perfettamente, proprio in quegli istanti, di aver recitato mentalmente un “Padre Nostro” per la mia famiglia ed un “Ave Maria” per la mia anima. Poi più nulla.

Sono grato al Padreterno per avermi concesso di vivere ancora, spero di sdebitarmi e poi a Grazia l’avevo promesso: “Ti ‘mollo’ fra cinquant’anni” (e di conseguenza ciò vale anche per i miei figli). E che dire infine di mia madre ottantacinquenne, che già trent’anni or sono ha dovuto soffrire per la morte di mio fratello Guido che scomparse a vent’otto anni a causa di un incidente stradale; no, ne ha avuto abbastanza, e c’è da sperare che mai nessun genitore sopravviva ai propri figli. Ora voglio dimenticare.

Per quanto riguarda la maratona sono felice di aver concluso la mia “carriera” (diciannove maratone corse in nove anni) indossando a maggio il pettorale numero 1 alla nona edizione della Maratona Internazionale del Custoza. Con Simone Lamacchi, l’organizzatore, che non ringrazierò mai abbastanza per avermi concesso questo grande onore, siamo già d’accordo: mi presenterò al via anche alla decima edizione, il prossimo maggio.

“Sei matto?” diranno i mie due lettori. No, perchè alla partenza ci sarò, fiero come un guerriero, prode cavaliere anche se ormai inabile a combattere. Con gesto elegante e solenne, sarò un perfetto starter al momento dello sparo. Poi li guarderò sfilare uno ad uno fino a quando l’ultimo atleta non sarà sparito, là dietro i cipressi, e allora, da quel preciso istante, mi sentirò l’ex-maratoneta più felice della terra.


E un anno dopo....


IL GIOCO DELLA 10’ MARATONA INTERNAZIONALE DEL CUSTOZA - DUE PICCOLE DIFFERENZE – MANCA QUALCOSA – CHI E’ ?
CHI E’ LA SIGNORA ALLE SPALLE DELL’UOMO CON LA PISTOLA?



□ SUA MOGLIE  □ UNA SCONOSCIUTA

Ai lettori di VallesabbiaNews l’ardua sentenza…

Tratto dal volume: “Ai cinquanta ci sono arrivato” – Ed. Liberedizioni -

Il racconto è del 2008



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