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mercoledì, 7 agosto 2013 Aggiornato alle 13:00Concerti

La ginnastica Rebetika di Capossela per Tener-a-mente

di Davide Vedovelli
Quando un concerto entusiasma è tutto più facile, in altri casi si è sempre indecisi e dubbiosi se effettivamente la performance non era delle migliori o siamo noi a non averne colto a pieno l'essenza; probabilmente un po' dell'uno e un po' dell'altro

 

Vinicio Capossela è un animale da palcoscenico, capace di divertire, commuovere ed emozionare il pubblico, trascinandolo nel suo mondo sognante e sognato popolato da giganti, maghi, balene, marinai e navigatori. Il tema del viaggio, del mare e del naufragio percorrono tutta la produzione di Capossela e questa volta fanno tappa in Grecia prendendo a prestito le sonorità rebetike. Ad affiancarlo sul placo, ieri sera al Vittoriale, oltre ad Asso Stefana, un gruppo greco conosciuto in una taverna della penisola ellenica durante un viaggio.

Maglietta rossa da atleta, scenografia spoglia delimitata da spalliere da palestra e una band rimaneggiata per l'occasione: il concerto prende spunto dal suo ultimo disco “rebetiko gymnastas” e ripropone alcuni classici del cantautore riarrangiati in chiave greca appunto.

L'impressione però è stata quella di un Capossela poco libero, intrappolato dal suono squillante di questi strumenti, che fatica a trovare il dialogo con il pubblico e coinvolgerlo nel suo mondo. Canzoni un po' strattonate verso il mare ellenico che però sembrano voler navigare altrove. Siamo lontani dal Vinicio del “Solo Tour” e dall'onirico “Marinai, profeti e balene”. Sicuramente meno ispirato del solito, questo è abbastanza chiaro, riesce a ritrovarsi verso il finale. Quando imbraccia la chitarra e intona “il ballo di Sanvito” il pubblico fatica a restare seduto e resistere alla tentazione di ballare.

Bella la versione di “Quello che non ho” di Fabrizio De Andrè proposta a metà concerto, utilizzata per spiegare cosa si intende per anima rebetika e il significato di questa musica che non ci spinge ad essere migliori ma ad essere quello che noi siamo.

Impossibile invece non emozionarsi durante l'esecuzione di “ovunque proteggi” chiesta a gran voce dai presenti. Davanti a capolavori di questo tipo resta solo da riconoscere il genio ed il poeta che si celano dietro quegli occhi annacquati e quella barbetta nera.

Bis finale con presentazione della banda e appuntamento al prossimo concerto. Applausi scroscianti accompagno l'artista giù dal palco.


 

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