11 Marzo 2023, 07.17
Eco del Perlasca

Ginkgobiloba e l'idea platonica

di Giselle Passannante Grimaldi

Un inconsueto, ma non scontato, accostamento fra il poeta tedesco Goethe e il filosofo greco Platone


"La foglia di quest’albero, dall’oriente
affidato al mio giardino,
segreto senso fa assaporare
così come al sapiente piace fare.

È una sola cosa viva,
che in se stessa si è divisa?
O son due, che scelto hanno,
si conoscan come una?

In risposta a tal domanda,
trovai forse il giusto senso.
Non avverti nei miei canti
ch’io son uno e doppio insieme?"
    
In questa celebre poesia dello scrittore e poeta tedesco Johann Wolfgang von Goethe, intitolata Ginkgobiloba, si pone una domanda non da poco, circa l’esistenza in generale, di cui, potremmo dire, viene data l’idea, pensando alla concezione platonica di quest’ultima: questa foglia, quella del Ginkgobiloba, è una cosa unica che cerca di dividersi in due o sono due realtà distinte che si cercano a tal punto da diventare una sola?

Prima di discutere di questo, mi soffermerei sul termine “idea†utilizzato precedentemente.
Per Platone, uno dei più grandi filosofi dell’antichità, vissuto tra il quinto e il quarto secolo avanti Cristo, discepolo di Socrate, l’idea è la forma di tutte le cose, in quanto, quando ci immaginiamo un qualunque oggetto, non riusciamo a pensarlo al di là della sua forma.
Egli sviluppa un’intera teoria sulle idee, detta, appunto, “Teoria delle Ideeâ€, in cui dice che queste idee sono legate alle cose e tramite un triplice rapporto: mimesi (le cose imitano le idee), metessi (le cose partecipano delle idee) e parusia (le idee sono presenti nelle cose e sono le loro ragioni di essere).

Detto ciò, vi starete chiedendo: cosa c’entra un filosofo del quarto secolo avanti Cristo con Goethe?
Le foglie della pianta, di cui la poesia di questo autore porta il nome, incarnano, in una piccola realtà, una legge che regola tutto l’universo: il mondo che conosciamo è composto da singole parti che si uniscono o da un intero che, disgregandosi, dà vita ai singoli?

Aristofane, un altro filosofo dell’antichità, ci espone una sua teoria nel mito degli Androgini, più noto come Mito degli uomini palla, citato anche da Platone nel Simposio, parlando della dottrina dell’amore.
Questi esseri primitivi, gli Androgini appunto, erano sia donna sia uomo insieme e vivevano molto felici sulla terra ma, ad un tratto, gli dei, invidiosi, decidono di punirli e scinderli in due metà, l’uomo e la donna, e da allora ogni metà vive in cerca dell’altra.

Questo mito mette ancora di più l’accento sulla questione di cui stiamo per discutere, perché ora non si tratta più di foglie, ma dell’essere umano e della sua necessità innata di andare alla ricerca di qualcosa, o meglio, di qualcuno, che lo completi.
Secondo il mito di Aristofane, si parte da un tutto, che viene separato e che tenta strenuamente di riunificarsi ma, molto spesso, noi siamo abituati a guardare la realtà come un insieme di singoli, senza chiederci se questi si originino da un’unica entità.

Ci sono tasti bianchi e tasti neri, come sulla tastiera di un pianoforte: insieme, questi tasti possono dare vita a infiniti tipi di melodia, che potrebbe rappresentare la realtà come la conosciamo (non necessariamente come è), così come il bianco e il nero possono dare vita a svariate combinazioni di grigio.
Ma è possibile che il bianco sia solo bianco e che il nero sia solo nero? Nella nostra visione comune, sì, ma se trasportassimo questa cosa all’essere umano, potrebbe essere diverso.

L’uomo non è un “composto omogeneoâ€, volendo usare il linguaggio della chimica, non è composto nella sua interezza da parti tutte uguali.
Non è sempre uguale. L’uomo è uno, nel corpo, ma la sua anima può avere diverse sfaccettature, così come dirà Pirandello nel ‘900 con “Uno, Nessuno e Centomilaâ€.
Proprio per questo, anche se consideriamo un individuo un certo tipo di persona, nulla gli vieta di cambiare, di far sì che la sua anima, da una, si dirami e dia vita a due metà opposte che si compensano e, forse inconsciamente, si cercano.

Non siamo forse buoni e cattivi, allegri e tristi
, generosi e tirchi nello stesso corpo, con la stessa anima?
A volte ne prevale una, ma questa si fonde innegabilmente con l’altra per dare origine al reale. Non è tutto bianco o nero ciò che si vede, anche nel nero più cupo c’è una punta di luce, come nel bianco più candido c’è un granello di polvere nera.
E l’uomo stesso, non potrebbe essere a sua volta una diramazione della sua specie, una parte separatasi dal centro o che cerca di ritornare a farne parte?

Forse siamo semplicemente parte del tutto, che potrebbe essere anche la nostra specie, da cui ad un certo punto ci separiamo, forse per il desiderio di libertà, di indipendenza da questo agglomerato di parti, o meglio, forse per sentirci, per provare ad essere noi stessi questo famoso tutto.
Ma un tutto di cui abbiamo un’idea di completezza, può mai avere desideri, necessità e, per così dire, il pezzo mancante colmato dall’oggetto di tale desiderio?

Dopo aver preso coscienza di questo
, probabilmente non rendendosene neppure conto, l’uomo si mette in cerca dell’altra parte, quella che la completa, e capisce che solo insieme può sentirsi davvero un tutto.

Una semplice foglia? No, è un’idea.

Giselle Passannante Grimaldi, 3ª A Liceo Scientifico





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