26 Gennaio 2024, 09.15
Lettere al direttore

Zone 30 e autonomia differenziata

di Encio

Una riflessione su limiti di velocità e autonomie regionali


Sull'opportunità di stabilire il limite massimo di velocità di 30 km/h in alcune zone di una grande città ognuno può formarsi la propria idea a seconda della sensibilità alle ragioni della sicurezza stradale o a quelle della "rapidità degli scambi" sociali o commerciali perché sono visioni diverse di quello che si potrebbe intendere per "qualità della vita”.

Tuttavia, in questa materia, stupisce questo strano scontro istituzionale tra il Ministro Salvini ed il Sindaco di Bologna Lepore che nella propria città ha appunto recentemente adottato questa regolamentazione.

Probabilmente queste posizioni sono dovute semplicemente all'antagonismo politico dei contendenti, che, in quanto tale, non dovrebbe interferire sull'interesse pubblico ad una "buona decisione": ma, si sa, in Italia, questi contenziosi vanno sempre a finire davanti ad un Giudice, per ostinazione delle parti.

Proviamo allora a fare un ragionamento giuridico che prescinda dal merito.

La Corte Costituzionale, già nel 2004, aveva dichiarato che la materia della circolazione stradale fosse di competenza esclusiva dello Stato, tuttavia il Codice della Strada (art. 5) aveva previsto che il Ministro dei Trasporti potesse impartire agli Enti proprietari della strada (Regioni, Province, Comuni) "direttive vincolanti" ed eventualmente esercitare il proprio potere sostitutivo per inadempienza solo in caso di "grave pericolo per la sicurezza"; in forza di tale norma (ma anche di molte altre) è stato altresì demandato a questi Enti il potere di adottare provvedimenti (Ordinanze motivate) per regolamentare la circolazione stradale nelle proprie strade, installando poi la relativa segnaletica.

Un altro articolo del CdS (il 142), stabilisce, in via generale, quali siano i limiti di velocità da rispettare sui vari tipi di strada "ai fini della sicurezza della circolazione e della tutela della vita umana", dando la possibilità agli Enti proprietari di modificarli al ribasso sempre nel rispetto delle proprie direttive.

Ora il problema parrebbe essere: ci sono state queste direttive? e se sì, il Comune di Bologna le ha applicate correttamente?
Per quanto ne abbia conoscenza la mia risposta è affermativa per ambedue le domande.

Ma la questione si complica ulteriormente e diventa ancora più "politicamente illogica" se si considera la recente approvazione della proposta di "Autonomia Differenziata" del Ministro Calderoli, recentemente approvata dal Parlamento, che prevede, in sintesi, che ogni Regione a Statuto Ordinario possa "concordare" con lo Stato un più ampio ambito di autonomia in tutte le materie di legislazione concorrente Stato-Regione e in alcune materie di competenza esclusiva dello Stato.

Tra le materie del primo gruppo c'è anche l'Urbanistica (che con la riforma del Titolo V della Cost. è stata chiamata "Governo del Territorio"), e siccome quando un Comune decide di istituire una cosiddetta "Zona 30" fa proprio un'operazione urbanistica coerente con il proprio Piano Urbano del Traffico, ne discende il sacrosanto diritto dei comuni, ribadito proprio dall'Autonomia Differenziata, di governare il proprio territorio come ritengono più opportuno purché questa regolamentazione non vada in conflitto con i principi generali del Codice della Strada, cioè la sicurezza della circolazione e la tutela della vita che, riducendo i limiti di velocità, intendono chiaramente perseguire.

Una domanda sicuramente retorica e un po' provocatoria: ma Salvini (in questo caso centralista) e Calderoli (in questo caso autonomista) non fanno parte dello stesso Partito e... dello stesso Governo?

Rimane in ogni caso un enorme problema di portata più generale: tutti sono uguali davanti alla legge (art. 3 Cost.), ma, se la legge cambia di Regione in Regione a causa dell'autonomia, come fanno gli italiani a sentirsi uguali?




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