01 Febbraio 2024, 14.51
Eco del Perlasca

Il Magnifico impostore

di Giselle Passannante

“E così Giorgio otteneva vite umane in cambio di bugie”


Il 25 gennaio scorso il nostro istituto ha avuto il piacere di ospitare lo spettacolo “Il Magnifico impostore”, messo in scena dalla compagnia Teatro Laboratorio di Brescia e offerto dalla Comunità Montana di Valle Sabbia, a cui hanno partecipato le classi del biennio della sede di Idro del nostro Istituto, alcune classi della sede di Vobarno e della scuola media di Idro.

Immagino che in molti conoscerete l’identità del nostro “impostore”, colui che per 45 lunghissimi giorni si assunse la responsabilità delle vite di migliaia di innocenti: ebbene sì, si tratta di Giorgio Perlasca.

Ma che cosa avrà fatto mai di così straordinario?
Perché potremmo definirlo “un impostore”? La pièce teatrale, scritta ed interpretata dall’attrice e scrittrice teatrale Alessandra Domeneghini, lo spiega magistralmente.

Giorgio Perlasca nacque a Como
il 31 gennaio del 1910 e, in un primo momento, aderì al Partito Fascista, di cui condivideva la visione nazionalista, per poi allontanarvisi dopo la promulgazione delle Leggi razziali del 1938.

Quando scoppia la seconda Guerra mondiale,
Perlasca deve recarsi spesso nei paesi dell’est Europa per acquistare carne per l’esercito italiano e, quando l’8 settembre del 1943 venne proclamato l’armistizio, si trovava a Budapest, che un anno dopo venne conquistata dai nazisti e posta sotto il controllo delle Croci Frecciate: governo filonazista ungherese a cui Perlasca non aderì mai.

Mentre sta per essere trasferito in Germania
, Perlasca riuscì a fuggire, per poi recarsi all’Ambasciata spagnola dove, grazie ad una lettera datagli dal generale Franco, dopo che egli ebbe combattuto come volontario nella guerra civile spagnola, in cui gli si assicurava aiuto incondizionato da parte della Spagna, riuscì ad ottenere una nuova cittadinanza e un nuovo nome.

A questo punto, Giorgio Perlasca, sulla carta Jorge, cittadino spagnolo, era libero di andare, avrebbe trovato rifugio in Spagna, dove sarebbe stato al sicuro per tutta la vita. Eppure, non partì.
Possiamo immaginarci Giorgio Perlasca come un uomo tutto d’un pezzo, che non accettava di buon grado i compromessi: un carattere ad hoc, potremmo dire, per la situazione in cui si infilò.

Perlasca viene a conoscenza del fatto che il Governo spagnolo stava rilasciando lettere di protezione per impedire che gli ebrei ungheresi di origine sefardita (di antica origine spagnola) venissero deportati e decise di collaborare con il console Sanz Briz.
Quest’ultimo, tuttavia, dovette fuggire poiché non aveva riconosciuto il Governo vigente, che approfittò di questa fuga per far chiudere le case protette dirette dal consolato spagnolo e deportarne i protetti.

E qui entra in gioco il nostro impostore: Giorgio Perlasca non aveva alcuna intenzione di mandare al macello centinaia di persone innocenti, a maggior ragione se ciò avveniva soltanto perché il console non era presente, così si spacciò egli stesso per il sostituto di Sanz Briz, raccontando che quest’ultimo si era dovuto recare a Berna per comunicare con Madrid, dato che le linee di Budapest erano interrotte.

Così cominciarono i 45 lunghissimi giorni del console Jorge Perlasca, durante i quali egli firmò lettere di protezione per chiunque le richiedesse e mantenne stretti contatti con le autorità filonaziste ungheresi, trattando con loro: taluni erano facili alla corruzione, mentre altri desideravano protezione alla fine della guerra e, pur di ottenere ciò che volevano, erano disposti a chiudere un occhio… ma anche tutti e due.

Perlasca non fece altro che raccontare una valanga di frottole e, così facendo, riuscì a salvare 5218 ebrei dalla deportazione e dalla tragedia della “soluzione finale”, rimanendo sempre perfettamente consapevole che sarebbe potuto essere smascherato da un momento all’altro, perdendo non solo la sua vita, ma anche tutte quelle di coloro che si erano affidati a lui.
Quando i fatti appena narrati avvennero, Giorgio Perlasca era un giovane uomo di 33-35 anni, munito di una sola arma: un coraggio fuori dal comune.

Nel maggio del 1945 Giorgio Perlasca tornò in Italia,
a casa sua, senza raccontare a nessuno ciò che aveva fatto.
I suoi atti eroici vennero alla luce solo dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989, quando molti salvati si recarono a Padova per ringraziarlo e, nello stesso anno, venne proclamato “Giusto tra le Nazioni”.

Ebbene, questa è la storia del nostro “magnifico impostore
”, che aveva letteralmente tutte le carte in mano per mettersi in salvo e, nonostante ciò, scelse in modo del tutto disinteressato di mettere a rischio la propria vita per salvarne altre.
Moralità innata, senso di sacrificio incondizionato, restare fedele ai propri valori a qualsiasi costo: sono queste le cose che ci sorprendono. Quando venne chiesto a Perlasca perché avesse fatto quello che fece, la risposta fu la più genuina e, allo stesso tempo, sconcertante: “Che cosa avrebbe fatto lei al posto mio?”.

E noi, cosa faremmo?
Speriamo di non trovarci mai in condizione da dovercelo chiedere ma, guardando al di fuori dei nostri confini, non possiamo permetterci di dare per scontato che vicende tragiche come queste appartengano al passato.

L’umanità ha fatto grandi progressi dalla Seconda Guerra mondiale, ma una parte di noi riesce ancora a imbracciare le armi in nome dell’interesse, credendo che il sangue sparso, di cui la terra viene intrisa da quando l’uomo è al mondo, valga poco se paragonato al profitto. In una società sfiduciata, dove l’idea più diffusa è che il sistema Mondo stia andando alla deriva e lo sconforto, insieme all’arrendevolezza che ne consegue, prevalgono, tutto appare perduto e sembra che quella moralità innata, incondizionata sia spirata insieme a coloro che hanno avuto il coraggio di farne uso. Sembra.

Sono innumerevoli le notizie di attivisti, giornalisti, oppositori politici e persone comuni, che combattono ogni giorno per la libertà, propria e di altri popoli, che vengono arrestati e detenuti in condizioni disumane, che perdono la vita in nome di ciò che credono giusto.
Anche il nostro tempo ha i suoi eroi, persone mosse da forti ideali e valori, a cui tutti noi, nel nostro piccolo, dovremmo ispirarci, perché è compito di tutti noi, finché saremo al mondo, fare qualcosa per lasciarlo meglio di come l’abbiamo trovato.

Ringraziamo Alessandra Domeneghini e Walter Forzani, tecnico di regia, per la loro performance e per averci donato questo grande spunto di riflessione.

“Voi dovete capire che in tutta la mia vita quello che conta per me è di essere sempre coerente a me stessa, è la mia figura morale: tutto il resto – se volete anche la vita – viene dopo”.
Fernanda Wittgens

Giselle Passannante Grimaldi, 4ª A Liceo scientifico




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