12 Marzo 2015, 07.10
Terza pagina

L'Essere nulla 2.2

di Dru

L'essere non è non essere...


Principio di non contraddizione.

Ogni significato si esprime come sintesi tra la sua determinazione e il suo essere, ogni significato è la positività (essere) determinata. Nel significato “nulla”, la determinazione della positività contraddice, in quanto negatività assoluta, il positivo significare della determinazione. (dalla Struttura Originaria)

L’aporia dell’essere del nulla è risolta col rilevare che il principio di non contraddizione non afferma la non esistenza del significato autocontraddittorio ma afferma che “nulla” non significa “essere”, ossia esige l’inesistenza della contradizione interna al significato “nulla” che vale come momento del significato autocontraddittorio. (dalla Struttura Originaria)

Il non essere, che nella formulazione del principio di non contraddizione compare come negazione dell’essere, è appunto il non essere che vale come momento del non essere, inteso come significato autocontraddittorio. (dalla Struttura Originaria)

Le aporie formulate così:

a)      proprio perché si esclude che l’essere sia nulla, proprio affinché questa esclusione sussita, il nulla è posto, presente, e pertanto è. C’è un discorso sul nulla e questo discorso attesta l’essere del nulla.

b)      Se il non essere non è, non si può nemmeno affermare che l’essere non è non essere, perché il non essere, in questa affermazione, in qualche modo è. (sempre dalla Struttura Originaria)

sono prodotte dall’assunzione astratta (l’isolamento che nei paragrafi precedenti abbiamo significato) dei momenti dell’autocontraddittorietà.

Facciamo un esempio concreto:

da Oltrepassare Pagg. 94-95 con il parallelo della legna che diventa cenere.

Affermare che, sino a quando non si entra nella verità, il cammino che dovrebbe condurvi rimane nella non-verità e non può essere quindi ciò per cui si può entrare nella verità (ossia non può essere il fondamento dell’aprirsi della verità al viandante) significa affermare l’impossibilità (ndr. cioè  affermare il nulla appunto) che la non-verità abbia a diventare quell’altro da sé che è la verità (abbia cioè a identificarsi alla verità).

Il diventare B (ad esempio la non-verità o una qualsiasi determinazione) da parte di A (ad esempio la verità o una qualsiasi altra determinazione), il diventare cenere da parte della legna, è identificazione di A e B.

Se, diventando B, A rimane A, se diventando cenere, la legna rimane legna, A non diventa B, la legna non diventa cenere. Per diventare B, è necessario allora che A non rimanga A, e che quindi ciò che diventa B sia un non-A. Per diventare cenere, è necessario allora che la legna non rimanga legna, e che quindi ciò che diventa cenere sia un non-legna.

Affinché A divenga B, affinché la legna divenga cenere, è necessario cioè che non-A divenga B, ossia che A non divenga B, è necessario cioè che la non-legna divenga cenere, ossia che la legna non divenga cenere.

Altrimenti, si ripeta, è in quanto A è A che A diventa B, è in quanto  legna è  legna che  legna diventa cenere, ossia è in quanto A è A che A si identifica a non-A, ossia è in quanto  legna è  legna che  legna si identifica a non-legna. (si che in ogni caso il divenir altro è qualcosa di contraddittorio).

Ciò che osserviamo quando la “legna diventa cenere non è la legna a diventare cenere ma come deduzione è solo presupposto divenire altro di un essente (in un altro) e come tale è un presupposto che significa “nulla”, mentre filosofia è un porre e non presupporre, in questo filosofia trasforma il mondo.

Come posto bisogna ancora che l’uomo sappia cosa questa presupposizione incontri, questo nulla appunto cosa significhi, questo è il risolvimento dell’aporia, questa presupposizione del divenire altro incontra il muro della teoria (ricordate l’articolo de Leretico sulla teoria e sulla prassi?) appunto, della teoria della Verità di ogni essente.

Certo in esso (nella verità) ci muoviamo e operiamo, ma che ci muoviamo e che operiamo è solo un presupposto muoversi e un presupposto operare fin tanto che non sappiamo cosa significhino.

Fin tanto che non sappiamo cosa significhi ciò che ha significato (l’essere) e ciò che non ne ha, o ne ha di contraddittorio, (il nulla), in ea vivemus, movemur et sumus, nella follia che per noi è la suprema evidenza.

Altrimenti, sapere cosa significano significa avere il mondo per le mani, significa trasformarlo il mondo e non presupporlo.



Commenti:
ID56303 - 12/03/2015 13:29:12 - (Dru) - Da Alberto Cartella che non ricordavo attento al pensiero di Severino

"Il potere nasce dal non voler far morire ciò che ami quando sta concludendosi."... nell'articolo qui sotto esposto "Il problema della Verità"

ID56306 - 12/03/2015 16:06:29 - (Dru) - Ora dice Kant, nella seconda prefazione alla sua "critica della ragion pura"

Se si vuol parlare di conoscenze, si presuppone certo una logica per giudicarle (la logica è l'insieme delle regole formali di ogni pensiero), ma la loro acquisizione deve essere ricercata nelle scienze che si dicono tali e propriamente. Orbene, se nelle scienze deve intervenire la ragione, è allora necessario che in esse qualcosa sia conosciuto a priori ( la ragione non ha da occuparsi semplicemente di sé stessa, bensì anche di oggetti) e la conoscenza della ragione può essere riferita in un duplice modo al suo oggetto, o semplicemente per determinare questo e il suo concetto (che dev'essere dato in altra maniera), oppure per renderlo anche reale. La prima è conoscenza teoretica della ragione, l'altra pratica. Matematica e Fisica sono le due conoscenze teoretiche della ragione che debbono determinare a priori i loro oggetti ( questo in proposito è per Leretico che non mi commenta più e mi sento tanto solo, sigh. ;-))

ID56314 - 12/03/2015 22:39:49 - (Dru) - Amore e Sesso

in parole povere e digeribili, qui la "pratica", come partecipazione dell'oggetto razionale posto nella realtà, è la riduzione della ragione al solo oggetto "reale". Se volessimo essere davvero e solo pratici, e fedeli a questo, sulla base di questo concetto di pratico, concetto d'altronde espresso da Kant non da Carnap, ridurremmo appunto la ragione, limitandola ad una dimensione empirica, a posteriori, e, come dice Kant, questo uomo solo pratico si accosterebbe alla natura per essere ammaestrato come uno scolaretto, dove invece una ragione non solo pratica vi si accosta come il giudice investito della sua carica, che costringe i testimoni (la natura appunto) a rispondere alle domande che egli propone loro.

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