L'integrazione come soluzione ai nazionalismi

Tuttavia a settant’anni di distanza, complici anche i recenti avvenimenti terroristici e le migrazioni umane verso il nostro continente, l’ideologia nazionalista sembra un’araba fenice che sta rinascendo dalle ceneri della storia.

Perché se prima era la crisi economica a favorire la tendenza a risolvere i problemi da soli, facendo emergere una soluzione nazionale e deviando la protesta sociale verso utili capri espiatori come “gli stranieri”, “l’Europa”, “la Germania”, dopo la strage di Parigi il nazionalismo torna alla ribalta sotto differenti spoglie. 

In Francia fra i giovani cresce l’interesse ad arruolarsi.
Secondo fonti dell’esercito il numero di candidati si sono moltiplicati per dieci e anche i posti da coprire per far fronte all’emergenza sono aumentati.
Lo stato francese quest’anno assumerà 15000 giovani nelle forze armate. L’anno scorso erano 10000.

Ogni stato agisce in modo differente, e l’appello lanciato dalla Francia per creare un fronte comune contro l’Isis non ha convinto molti.

Tanto sostegno morale ma di concreto poco o nulla.
In Europa e nel mondo le agende politiche degli stati sono molto diverse, contraddistinte da obiettivi spesso contrastanti, che di fatto impediscono un’alleanza se non mondiale almeno europea contro il terrorismo.

Forse qualcuno pensava che 130 morti fossero sufficienti a creare un sussulto di unità all’interno dell’Unione?

A tal proposito abbiamo letto nei giorni scorsi come i rapporti fra apparati d’intelligence dei diversi stati europei fossero poco improntati alla collaborazione. Tuttavia come disse Jean Monnet, uno dei padri fondatori dell’Unione, l’Europa si fa attraverso la crisi.
Nelle democrazie spesso è necessaria una crisi per capire che il sistema di governo nazionale non è più in grado di affrontare determinati problemi, e che per far fronte a essi è necessaria una cessione o condivisione di sovranità a livello europeo.

E se in campo economico nessun paese membro può fronteggiare da solo le nuove sfide della globalizzazione, così in materia difensiva e d’intelligence sembra sia giunto il momento di discutere se cedere queste competenze a un’istituzione sovranazionale, una vera forza d’intervento europea.
D’altronde che senso ha mantenere sovranità se questa è impotente di fronte a fatti di dimensioni globali? Gli Usa ci impiegarono cento anni per creare il “Federal Bureau of Investigation”, complice la riluttanza di alcuni stati ostili al progetto.

Non che in Europa il progetto non abbia dei precedenti.
Nel 1958 ci fu un progetto di collaborazione militare sostenuto (e poi affossato) dalla Francia: la Comunità europea di difesa, ma non se ne fece nulla.
E perché non introdurre, come suggerito dal politologo Alberto Martinelli, un servizio civile obbligatorio di breve durata per i giovani europei di ambo i sessi, da svolgere in un altro Paese membro? Rafforzerebbe l’Europa e gli europei, oltre ad essere un utile strumento di riconosciuto valore sociale e culturale. Rafforzerebbe l’integrazione e oggi più che mai urge un ripensamento e un nuovo slancio in ottica futura.