Dal libro di Aldo Cazzullo, giornalista del Corriere della Sera, uno sguardo da liberale piemontese sulla nostra storia patria.
Nell’avvicinarsi delle celebrazioni per i 150 anni dell’unità d’Italia sono in uscita nelle librerie diverse pubblicazioni che affrontano l’argomento della storia e dell’identità nazionale. Fra queste, una che merita attenzione è sicuramente “Viva l’Italia”, di Aldo Cazzullo, autorevole giornalista del Corriere della Sera (150 pagine, ed. Mondadori).
Già il sottotitolo dà il senso dell’opera: “Risorgimento e Resistenza: perché dobbiamo essere orgogliosi della nostra nazione”.
“Viva l’Italia”, il titolo del libro, sono le ultime parole pronunciate sia dagli uomini del Risorgimento sia da molti condannati a morte della Resistenza, un grido che esprime l’ideale per il quale queste persone erano pronte a morire. Le stesse sono anche il titolo di una famosa canzone di Francesco De Gregori, al quale è stata affidata la prefazione, e il cui testo è posto a conclusione del volume.
Cazzullo si sofferma su tre momenti storici che hanno inciso in modo particolare sulla nostra storia patria: il Risorgimento, la Prima guerra mondiale e la Resistenza, riportando alla luce episodi, anche minori, di uomini e donne che diedero la vita per l’Italia, quando per l’ideale di patria si era disposti a morire.
Il Risorgimento come grande movimento che coinvolse anche il popolo, non una “cosa da liberali”, come quando nel 1848 l’Italia intera si sollevò.
La Resistenza che non è una “cosa di sinistra”, come certa retorica vuol far passare, ma, come ben sa chi conosce la storia, una guerra di liberazione che vide coinvolti anche sacerdoti, donne, monarchici e i tanti militari che preferirono l’internamento nei campi di lavoro in Germania piuttosto che aderire alla Repubblica Sociale.
Cazzullo prende anche posizione sulla questione dei “vinti”, che hanno avuto larga eco nel dibattito pubblico (revisionismo?) degli ultimi anni, che – precisa l’autore – è giusto venga portata alla luce, ma inquadrandola nel momento in cui queste ritorsioni si compirono, dopo vent’anni di dittatura e di soprusi. E ciò, scrive Cazzullo «Nell’interesse di chi ha combattuto la guerra di liberazione in modo disinteressato e coraggioso, per la salvezza personale e comune, per costruire un paese in cui i loro figli e nipoti, cioè noi, potessimo vivere in pace, democrazia e prosperità».
Infine, nell’ultimo capitolo intitolato “Né Lega né Belpaese”, il giornalista del Corriere ritiene che «gli italiani siano attaccati alla loro nazione in modo più profondo di quanto non indichino i localismi leghisti e la banalizzare del Belpaese», e i simboli dell’unità nazionale sono tornati ad essere un patrimonio collettivo: l’inno, il tricolore, il Vittoriano.
Un altro simbolo che ha riacquistato valore agli occhi degli italiani sono le nostre Forze Armate, e lo spiega così: «… il motivo è semplice, per quanto difficile da dire: i soldati italiani hanno ripreso a morire. Non soltanto sono considerati i migliori nelle operazioni di peace-keeping, i più bravi a entrare in contatto con le popolazioni civili. I nostri militari all’estero hanno dimostrato, come ai tempi di Garibaldi, che gli italiani al momento cruciale sono capaci di battersi e anche di sacrificare la vita, certo per amore della loro famiglia, ma anche per amor di patria».
Uno sguardo sulla nostra storia da “liberale piemontese” che ci può aiutare a riflettere sul nostro passato, superare le miserie della contingenza presente e sperare in un futuro dove poter dire ancora con orgoglio “Viva l’Italia”.
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