17 Ottobre 2013, 07.00
Terza pagina

«Intorno al senso del nulla»

di Dru

La potenza l'impossibile (contraddittorio) proprio per chi ne ha edificato l'essenza nel nichilismo e la sua coerenza del pensiero occidentale


Questa parte, che andrò virgolettando, spiega, in modo coerente e interno al nichilismo, l'incoerenza di questo pensiero e cioè, al pensiero che vuole realizzare, trasformando il mondo, il divenire altro di ogni cosa.
Il pensiero occidentale, mostra, anche se implicitamente, l'impossibilità di questo agire, cioè l'impossibilità di ciò che parta e proceda come conseguenza di un agire (potenza appunto) per divenire l'altro di quella cosa.
 
Si è discusso a più riprese qui sul significato di Determinismo e Indeterminismo e degli strumenti a loro disposizione quali la matematica nel caso della sua applicazione ai fatti, o a quello che saranno...
E' il "caso" di mostrare cosa sta alla base di questi concetti e perché si inscrivono tutti all'interno di questa impossibilità di una previsione che parta dalla scienza, se la previsione è appunto la "potenza" di un ente di decidere su di un altro ente, trasformandolo, così per il futuro e così per la storia, come così è per ogni ente.

Da "intorno al senso del nulla" di Emanuele Severino (dai capitoli IV al VII).

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"Il diventar altro, da parte di un ente, è la produzione di una sintesi tra tale ente e l'altro che esso diventa.
Le scienze della natura parlano di «interazione» tra forze (enti); e l'interazione è la sintesi di certi enti che preesistono ad essa, e pertanto è la produzione di un certo effetto (ente) che è diverso da tali enti.
 
Se A e B sono due enti («reagenti») che escono dalla loro separatezza ed entrano in sintesi, A modifica B e B modifica A. Altrimenti si produrrebbe un semplice accostamento o giustapposizione di A a B — che non sarebbe nemmeno giustapposizione e accostamento spaziali di A a B, giacché anche in questo caso A e B si modificherebbero reciprocamente. (Anche il semplice cambiamento di luogo, secondo la filosofia e la scienza, modifica il corpo in movimento e i luoghi da esso via via occupati).
 
Con aB si indichi B in quanto modificato da A e con bA A in quanto modificato da B. E' necessario (nel senso più forte che la necessità può avere nel pensiero della terra isolata) che aB e bA differiscano, altrimenti uno dei due elementi della sintesi entrerebbe in sintesi con l'altro (appunto modificandolo), ma insieme non entrerebbe in sintesi con l'altro perché, non modificato dall'altro, resterebbe identico a come era prima di entrare in sintesi.
 
La reciproca modificazione di A e B è la loro sintesi (interazione). Ma né A né B, singolarmente presi — considerati cioè nel loro esser distinti l'uno dall'altro —, sono «in potenza» la loro sintesi (hanno cioè la capacità di produrla) .
Infatti A non ha la capacità di produrla, perché per tale produzione è richiesto anche B; e lo stesso si dica di B. Ma nemmeno aB e bA, sia pur singolarmente presi - cioè in quanto distinti l'uno dall'altro —, sono in potenza la sintesi di A e B: non hanno la capacità di produrla, perché, quando aB e bA incominciano ad esistere sono elementi della sintesi «in atto» di A e B, sono cioè componenti della realizzazione della potenza: non sono «in potenza» la sintesi, ma le appartengono — e considerati nella loro unità sono la sintesi realizzata.
(A è invece «in potenza» il proprio essere elemento della sintesi: il proprio esser modificato da B: il proprio esser bA; e B è «in potenza» aB).
 
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Tutto ciò significa che qualcosa come l'essere in potenza la sintesi di A e B può essere soltanto (dal punto di vista del pensiero della terra isolata) quella sintesi tra A e B che sia diversa dalla sintesi rispetto a cui essi sono «in potenza», diversa e preesistente rispetto a quest'ultima.
Può sembrare che la cosa non presenti particolari difficoltà: prima della loro interazione, A e B coesistono e la coesistenza è appunto una forma di sintesi che è diversa e che precede la sintesi rispetto a cui essi sono in potenza.
 
L'idrogeno e l'ossigeno coesistono e preesistono alla loro interazione in cui viene prodotta l'acqua; lo spermatozoo e l'ovulo coesistono e preesistono alla loro interazione in cui viene prodotto l'embrione; due protoni coesistono e preesistono alla loro interazione, cioè alla collisione in cui uno dei due si annulla e viene sostituito da un pione positivo e da un neutrone; ecc.
 
Sarebbero dunque queste coesistenze preesistenti all'interazione a costituire quelle sintesi che, diverse e preesistenti rispetto all'interazione di certi elementi (A, B), sono l'esser «in potenza» l'interazione.
Si chiamino «sintesi semplici» le sintesi che sono costituite da quelle coesistenze preesistenti.
 
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Sennonché il fondamento dell'affermazione: «La sintesi semplice di A e B — ad esempio dell'idrogeno e dell'ossigeno - è "in potenza" la loro sintesi-interazione» è l' «osservazione», nella quale appare che la loro interazione è (o «produce») «costantemente» acqua (o che l'accoppiamento di cani produce «costantemente» cani — come sostiene Aristotele e la biologia preevoluzionista — e non altri animali o altre forme di realtà) .
 
Propriamente, all'interno della terra isolata si crede nell'esistenza di quell'«osservazione» — ma si crede anche, con l'evoluzionismo ad esempio, che la costanza di certe interazioni sia relativa; sebbene anche in questo caso si creda che, sia pure indirettamente, il carattere relativo di tale costanza sia «osservabile».
 
Presupponendo l'osservabilità del «fatto» che l'interazione di A e B (e non di A e di un qualsiasi altro ente) è la produzione di un certo effetto E, ciò che è osservato (si crede che lo sia) è una regolarità empirica dove ciò che ha i caratteri di A (ossia è «un A»), interagendo con ciò che ha i caratteri di B (ossia è «un B»), produce un E.
Ma già a partire dal pensiero greco si conosce l'impossibilità di assumere come legge universale la semplice regolarità dell'accadere.
L' «osservazione», in quanto tale, non può infatti mostrare la «necessità» dell'accadere (e quindi del perpetuarsi delle regolarità osservate). La «necessità» va dimostrata, non mostrata (anche se il dimostrare si mostra) .
 
Non potendo essere una legge universale, la regolarità osservata è casuale, ed è casuale il «verificarsi» di ogni suo elemento, ossia della serie in cui essa consiste.
Infatti ogni elemento siffatto accade, ma invece di esso sarebbe potuto accadere qualsiasi altro evento; e la regolarità nel suo insieme accade, ma, anche qui, invece di essa sarebbe potuto accadere qualsiasi altro insieme di eventi più o meno regolari.
 
Nella prospettiva di tipo aristotelico, invece di ciò che si realizza quando l'ente «in potenza» diventa ente «in atto», si sarebbe potuto realizzare il «contrario» di ciò che di fatto si realizza (sì che lo stesso ente è in potenza i «contrari» — cfr. Fondamento della contraddizione, Parte prima); ma poiché l'«osservazione», come tale, non esclude che si sarebbe potuto realizzare non solo il «contrario», ma qualsiasi altro evento, allora, sul fondamento dell'«osservazione», il fatto che accada un certo evento invece di altri non può essere inteso come l'effètto di una potenza che (con o senza il concorso di una «causa agente») sia capace — essa e non altro — di produrlo, ma non è l'effetto di alcunché, è l'effetto di nulla, non è un «effetto », non ha una «ragione sufficiente», una, appunto, è un caso.
Lo stesso insieme globale delle regolarità osservate è caso.
 
Che poi la dimensione finita della regolarità osservata «tenda» all'universalità può essere affermato, all'interno del presunto campo dell'osservabile, solo in base alla «frequenza» osservabile dell'interazione degli A e dei B. Nel calcolo della probabilità la maggiore o minore frequenza è intesa come un indice rispettivamente più alto o più basso di probabilità.
 
Ma è un presupposto di tale calcolo che l'incremento della frequenza sia incremento della probabilità. È infatti possibile l'opposto: le interazioni possibili e non ancora osservate tra A e B possono costituire esse stesse un insieme finito (un «fondo» limitato) e quindi tale che la scala di probabilità sia una parabola al cui culmine l'incremento della «frequenza» non incrementi ma riduca la probabilità che con l'interazione di A e B resti confermata la regolarità osservata.
 
Se, dunque, l'«osservazione» di una regolarità empirica è osservazione del caso, e se osservare che E è prodotto quando accade l'interazione tra A e B è osservare (un elemento di) una regolarità empirica, allora E è prodotto dal caso — ossia da nulla —, non dalla capacità della «sintesi semplice» (cfr. par. 5) di A e B di diventare l'interazione di A e B; ossia E non è prodotto dall'essere, quella sintesi, questa interazione «in potenza».
Proprio perché la sintesi semplice di A e B può essere seguita da qualsiasi evento, essa non può essere la capacità, la potenza di diventare la sintesi consistente nell'integrazione di A e B (ossia la sintesi costituita dall'effetto E che dovrebbe esser prodotto dalla sintesi semplice) .
 
E infine, poiché A e B, singolarmente considerati, non sono «in potenza» la loro interazione in bA, aB — e nemmeno possono esserla bA e aB (cfr. par. 4) —, e poiché nemmeno la sintesi semplice di A e B (diversa e preesistente alla loro interazione) può essere «in potenza» la loro interazione, segue che l'essere «in potenza» (nel senso aristotelico-hegeliano, e in generale non deterministico) tale interazione è impossibile: non può avere un luogo dove esistere.
 
Un luogo essa l'ha soltanto nella concezione deterministica dell'accadere, dove però l'essere «in potenza» non è l'essere «in potenza» entrambi i «contrari», ma solo uno dei due, quello che, appunto, è predeterminato, ossia il cui accadere è necessario.
Ma il tramonto della tradizione epistemico-metafisico-teologica dell'Occidente è, di diritto, anche il tramonto della prospettiva deterministica dell'accadere (peraltro adottata da Aristotele soltanto in relazione a una parte di ciò che accade), e quindi è il tramonto del concetto di «potenza» - sebbene in molte sue forme il nichilismo, tradendo di fatto la propria coerenza, continui ancora ad affermare quel concetto.
 
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Sulla base dell' «osservazione» («esperienza», ecc.) , il costituirsi della regolarità per la quale ogni volta che si produce l'interazione tra A e B si produce un certo effetto E, e non un altro, è un caso perché la regolarità del rapporto tra quell'interazione e E non è una legge universale e necessaria.
Lo stesso pensiero della terra isolata è in grado di rendersene conto.
 
Ora si aggiunga che tuttavia, in questa forma di assestamento della coerenza del nichilismo, si presuppone ciò che invece, innanzitutto nello sguardo del destino, si mostra impossibile: l'apparire dell'interazione in quanIo tale tra A e B (l'apparire che il linguaggio della terra isolata tenta di esprimere con le parole «osservazione», «esperienza», ecc.) ; e tale apparire è impossibile perché impossibile è il suo contenuto stesso, ossia l'inI nrazione in quanto tale, ossia in quanto essa è necessariamente un nesso necessario.
 
Ma, anche qui, la coerenza del nichilismo è in grado di compiere un passo ulteriore e rendersi conto a sua volta dell'impossibilità dell'interazione in quanto tale — e, in questo passo, l'impossibilità dell'interazione appartiene all'impossibilità stessa di ogni epistémé metafisico-teologica. (Fermo restando che, in quanto appare nel pensiero della terra isolata, tale impossibilità differisce da «sé stessa» in quanto appare nel destino: il nichilismo, non potendo rendersi conto di ciò che appare nel destino, non può vedere che il proprio procedere è la coerenza dell'errare. E, questo, anche se il destino, guardando quell'impossibilità, vede che il proprio vederla e il suo esser vista dalla coerenza del nichilismo hanno un tratto comune .
 
Infatti per il pensiero dell'Occidente gli enti, e innanzitutto quelli osservabili, incominciano ad essere e cessano di essere, sono stati nulla e tornano ad esserlo. Quando di fatto vengono a coesistere, è quindi impossibile che tra essi venga a prodursi un qualsiasi nesso necessario: l'essere stati nulla e il tornare ad esserlo li rende assolutamente estranei l'uno all'altro, separati e isolati l'uno dall'altro, cioè non uniti da nessi necessari e innanzitutto dal nesso per il quale l'uno non può esistere senza l'altro.
 
Ciò che, essendo stato nulla, incomincia ad essere non può (incominciare ad) avere alcuna relazione necessaria con quanto già esiste, altrimenti sarebbe necessario che il suo esser stato nulla sia un esser stato pre-disposto a tale relazione, e tale predisposizione — tale disporsi in un modo piuttosto che in un altro — lo trasformerebbe in un ente. È inoltre impossibile che la relazione necessaria incominci ad esistere, perché essa implica l'impossibilità che i termini in relazione siano l'uno senza l'altro, laddove gli enti che coesistono esistono anche se gli enti che incominciano ad esistere erano un nulla.
 
E se il nichilismo non può vedere l'impossibilità che un essente sia nulla, tuttavia può vedere che se tra gli essenti che sono ancora nulla e gli essenti che già esistono esistesse di già un certo nesso necessario (sì che esisterebbe già un nesso necessario anche tra gli stessi essenti che ancora sono nulla), la determinatezza di tale nesso trasformerebbe il nulla in un che di essente — e questa trasformazione sarebbe un altro aspetto di quell'entificazione del niente che è determinata dall'esistenza di qualcosa di immutabile e di eterno. Appunto per questo la coerenza del nichilismo esclude ogni prospettiva deterministica, costretta ad affermare che ciò che è ancora nulla è tuttavia pre-determinato — pre-disposto —, ossia è necessariamente connesso alla propria esistenza futura, e in quanto così connesso non è un nulla ma un ente.

Ma se per il pensiero dell'Occidente non può esistere né venire a prodursi alcun nesso necessario tra gli enti, non può nemmeno esistere né venire a prodursi l'interazione tra A e B, giacché anch'essa è un nesso necessario, ossia è il duplice rapporto di causalità dove A, agendo su B e modificandolo, produce aB e non altro, e B, agendo su A e modificandolo, produce bA e non altro.
 
Infatti, per il pensiero dell'Occidente, l'agire è necessariamente un modificare il mondo: un agire che non modifichi alcunché — che non faccia diventar altro alcunché — non è un agire. Quando un ente agisce su un altro ente è cioè impossibile (per la fede nell'esistenza dell'agire) che quest'altro ente non resti modificato (e modificato in un certo modo e non in un altro); ossia tra l'ente che agisce (causa) e l'ente su cui esso agisce (e la cui modificazione è l'effetto) esiste (per quella fede) un nesso necessario. E nell'interazione tra A e B i I nesso necessario sussiste sia perché A e B agiscono I' uno sull'altro, sia perché l'interazione produce necessariamente un certo effetto (bA, aB) e non un altro.
 
L'impossibilità che esista un qualsiasi nesso necessario è dunque l'impossibilità dell'interazione, e pertanto è l'impossibilità dell'esistenza della capacità di produrla, ossia della «potenza» (dell'essere «in potenza» l'interazione) che il pensiero dell'Occidente continua a mettere in opera anche se la coerenza di questo stesso pensiero ne esige l'esclusione."

 

 



Commenti:
ID37079 - 21/10/2013 10:35:01 - (Leretico) - I piani della discussione

Su che piano hai voluto qui intervenire nella discussione su determinismo e indeterminismo? Propendo che la tua lunga citazione Severiniana abbia voluto essere un intervento sul piano della metafisica mentre la questione è da dibattere anche sul piano della filosofia della natura e sul piano scientifico. Già altri (Aldo Vaglia) voleva significare la questione dei diversi piani di discussione, legati sì da alcuni nessi l'uno con l'altro, m da tenere ben distinti. In realtà il tuo pezzo Dru tende ad un altro scopo: far emergere la contraddizione nel pensiero nichilistico occidentale. Cioè quel credere che l'interazione esista in potenza e si verifichi poi nell'atto, mentre un modo di ragionare di tal fatta implica necessariamente che non essendoci intarazione in potenza non dovrebbe esserci nemmeno in atto, cosa contraddittoria.

ID37080 - 21/10/2013 10:48:12 - (Leretico) - continua

Il vulnus del discorso nichilistico sarebbe sempre quello di ragionare astrattamente e considerare le parti oggetto dell'interazione come separate, astrattamente appunto. Fin qui, però, il discorso si svolge sul piano metafisico, nel quale si discute del "tutto" e del fatto che esista una causalità assoluta per cui ogni evento (apparire) ha una sua causa. Riferendomi ai discorsi di Evandro Agazzi, bisogna aggiungere, invece, il piano della filosofia della natura (epistemologia della fisica) sul quale è incentrato il discorso del determinismo e dell'indeterminismo. Su questo piano si fanno tre considerazioni: 1) ogni causa produce uno e un solo effetto; 2) ogni effetto è prodotto da una e una sola causa; 3) Se sono dati i primi due punti allora esiste la capacità di previsione. Bene, se il terzo punto cadesse dopo aver dimostrato che la previsione non è possibile, non è detto che vengano a mancare i primi due punti e non

ID37081 - 21/10/2013 10:59:41 - (Leretico) - continua

è detto che non si possa continuare a fare il discorso metafisico, di cui tu hai dato prova. Per fare un ulteriore passo, Agazzi aggiunge che la scienza, per essere tale (e qui siamo sul terzo piano del discorso) ha bisogno di unccerto indeterminismo. E qui è stato a suo tempo uno stracciarsi di vesti alla Kaifa da parte dell'ambiente scientifico. Mi spiego: se esistesse un determinismo ferreo l'esperimento scientifico non sarebbe possibile perché, essendo le condizioni di partenza dello stesso sempre diverse, i risultati di questo sarebbero sempre irrimediabilmente diversi. Ne segue che negli esperimenti è necessario considerare alcune cause come trascurabili onde arrivare a conclusioni costanti e descrivibili da leggi. Ora, la scienza, riferendosi ad oggetti specifici, può benissimo dire di essere conoscenza di questi oggetti, ma non di tutto (non è metafisica). Ha bisogno insomma che esista un certo ideterminismo per affermare il proprio

ID37082 - 21/10/2013 11:06:02 - (Leretico) - continua

determinismo. Riallacciandomi alla questione posta da LoStraniero potremmo allora affermare che né la metafisica può ribattere alla scienza di non essere conoscenza vera né viceversa la scienza può farlo con la metafisica perché i piani sono diversi. Se dunque si arriva a dire che sul piano della filosofia della natura e su quello della scienza bisogna accettare l'indeterminismo non si è dei blasfemi perché ciò rientra nella natura dei due piani. Nè la scienza né la filosofia della natura casono irrimediabilmente, anzi ne vengono rafforzate per effetto di una migliore conoscenza dei confini che le definiscono. Tutto questo per sottolineare che la cosa è complessa: le interazioni tra i diversi piani di discussione determinano una complessità notevolissima in cui si presta più l'applicazione del pensiero sistemico che la difesa della scienza o della metefisica.

ID37088 - 21/10/2013 16:25:07 - (Dru) - Severino nel suo scritto

Indica quali sono le coordinate del pensiero scientifico tutto che è nichilista. Per nichilismo si intende quel pensiero che dice dell'essere che è nulla, di ogni essere o ente questo non era, era niente, e non sarà, l'essere è niente e che da questo fondamento determina ogni sua affermazione.Dice Severino che in una delle sue forme più coerenti il nichilismo pensa che la totalità degli enti abbia un inizio. Avere un inizio significa, per la totalità, avere un prima. Se non avesse un "prima", se non fosse nel tempo, sarebbe eterna e non qualcosa che inizia. (O in essa vi sarebbe un eterno da cui ha inizio il resto, concetto questo epistemico-metafisico-teologico). Nella dimensione del nichilismo il possibile, sia esso un ente o il nulla, è la possibilità di realizzarsi e di non realizzarsi, da parte degli enti ( possibilità che viene considerata incontraddittoria in questa dimensione);

ID37090 - 21/10/2013 16:55:28 - (Dru) -

oppure è la possibilità del realizzarsi, ma non unita alla possibilità opposta, e in questo caso è la possibilità implicata dalla "necessità" che qualche cosa di non ancora realizzato si realizzi ( il caso questo che indichi con i tre punti). Ma di entrambi i casi va detto che il possibile non è un nulla, ma una struttura positiva, un ente, si che intendere il nulla come la possibilità del tutto - come il "prima" dell'inizio del tutto - significa affermare che il nulla è un ente. Una contraddizione questa ulteriore. D'altra parte, la possibilità in quanto tale - e per tanto non in quanto la si voglia identificare al nulla, ma in quanto la si intenda come ente possibile - non può ciò nonostante evitare di essere il nulla di ciò di cui essa è la possibilità. La possibilità in quanto tale appartiene cioè al l'essenza del nichilismo.

ID37091 - 21/10/2013 17:14:01 - (Dru) -

La possibilità dell'ente, infatti, come "ente possibile", è un modo di essere diverso dal modo di essere Dell'"ente reale", in cui la possibilità diventa, appunto, "realtà"; ma se il possibile e il reale sono due modi diversi di essere, tuttavia l'ente possibile, in quanto possibile, è il nulla dell'ente reale, in quanto reale- ossia nell'ente possibile, in quanto tale, l'ente reale, in quanto tale, è (ancora) nulla; si che, se ponendo il nulla come la possibilità dell'ente si identifica il nulla all'ente, ora va detto che, affermando l'essere della possibilità in quanto tale, si identifica l'ente (reale) al nulla -al nulla che l'ente reale è, quando esso è ancora possibile.

ID37098 - 21/10/2013 19:46:35 - (Dru) - Allora tu dici bene

Quando affermi che il determinismo ferreo presuppone un effetto per ogni causa diverso e unico, chiaro e distinto, ma questo non sottrae il determinismo al controllo di leggi definite ed incontrovertibili che sono il riflesso del concetto epistemico metafisico teologico di una causa prima, non sottrae il divenire di questi oggetti osservati e che hanno tutti una causa sufficiente alla legislazione che le preordina e prevede definendoli da una struttura che li origina e così anche per l'indeterminismo. " Nel pensiero dell'occidente, il diventar altro, che in esso è vissuto ed appare come l'evidenza originaria, implica non solo la possibilità- intesa come pura incontraddittorietà -che il diveniente divenga altro, ma anche la capacità reale, da parte del diveniente, di diventar altro. Aristotele chiama "potenza" questa capacità; ma il concetto di "potenza" è presente e domina l'intero sviluppo del pensiero occidentale.

ID37099 - 21/10/2013 19:55:06 - (Dru) -

E ciò accade sia che la potenza venga intesa (in campo filosofico scientifico) come una forma di "causa" ( potenza attiva o passiva), che produce (necessariamente o no) l'effetto, sia come connessione statistico-probabilistica, o come onda di probabilità (Heisemberg). Nel Destino (ndr. Non quello nichilista) l'apparire dell'impossibilità del diventar altro è dunque l'impossibilità della potenza." Al dunque ogni interazione che presupponga l'isolamento o astrazione è una volontà di potenza che non realizza che l'impossibile o contraddittorio , cioè la sintesi dei diversi, fino alla sintesi suprema dell'essere al nulla.

ID37115 - 22/10/2013 15:19:53 - (Dru) - Vedi Leretico

Quando cerchiamo di mettere sullo stesso piano la filosofia con la scienza o con altre dimensioni dell'umano sapere, ci dimentichiamo che questo non è possibile o contraddittorio, poichè ogni "cosa" prende il suo significato, oggi come ieri, dal senso che alla "cosa"la filosofia ha dato e in cui ogni altro significato si iscrive. E il senso è appunto quell'oscillare o epanfoterizein che Platone evoca nel Sofista dell'ente che diviene dal non essere all'essere, quel senso più ampio e che ancora oggi ogni altro senso deve rapportarsi e con cui deve fare i conti.

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