Dru esprime le sue valutazioni sul caso emerso nei giorni scorsi dalle pagine de "L'espresso", che coinvolge direttamente alcuni famigliari di Beppe Grillo
Dice a cosa serve... Serve, serve, eccome che serve...
Caro Dru, la tua fantasiosa ricerca delle contraddizioni, non e' nient'altro che il rovescio della medaglia della stampa che contesti. Grillini costaricani, berlusconi perseguitati, capitalismi di sinistra con scheletri negli armadi, gossip buoni per tutte le stagioni e per pensieri deboli. Mancavano solo i vegani. Sarebbe tutto da ridere se la situazione non fosse drammatica. Certo che lo snobbismo radical chic di Repubblica e l'Espresso ha contribuito a creare una sinistra di rintronati presuntuosi che, come dice Nanni Moretti, non riuscirebbero a vincere le elezioni nemmeno se corressero da soli.
grazie a questi articoli, i pennivendoli al soldo dei partiti sono usciti allo scoperto! speriamo che riescano presto a togliere i contributi all'editoria. Sarebbe un giorno indimenticabile. Potrei anche comprare un quotidiano per vedere i titoli del giorno dopo :-)
...dove il prevalere è la materialità storica, ma ti conosco e so che questo suffisso del vero lo hai adoperato più come timido proscenio al discorso che introduci. Se hai notato il titolo dice di un futuro della democrazia diretta proprio per non confondere questo presente con quel futuro, per ciò che concerne quello che dici posso approvare quasi tutto, infatti io ripeto continuamente su queste pagine che in filosofia moderna, dove Episteme è tramontata ( Episteme ė la verità) solo la fede in qualcuno o qualcosa prevale. Ma questo è il vero e cercare di sconfiggere il vero non è possibile ( contraddittorio). attenzione però che questo non significa che la contraddizione non possa essere essa risolta, anzi, essa, per essere risolta va negata, ma per farlo occorre filosofia.
Ha, purtroppo un carattere debole, e dice bene ma razzola male, infatti ha fatto la campagna elettorale pro Bersani. Ma lo giustifico in quanto lui è ( sembrerebbe almeno a parole) un nostalgico di quel mondo che ormai è tramontato e non ritornerà , almeno così presto come vorrebbe Moretti e la gente come lui. Ma non riconoscere questo substrato, quello che io raccontò, ma che è, non è solo un mio racconto, è e significa essere perdenti. per questo motivo il PD perde ancora, è un motivo diametralmente opposto a quello che pensa Nanni Moretti, infatti il PD, che ora è fedele alleato del Capitale, può timidamente cercare di andare al potere.
Non sono quello che desidero, ma sono quello che verità ( Logos, ragione) mette in luce e che tanti di noi non vedono.
Tu credi davvero che quello che appare sui quotidiani e sulle testate giornalistiche di De Benedetti siano un caso assolutamente svincolato dal potere politico e dalle sue lotte intestine e credi che la dirigenza politica del PD e suoi votanti siano nel complesso una sorta di allegra compagnia di radical chic ? ( e qui entra destino della necessità) credi che quello che avviene avviene in nome di una libero, opulente, mieloso e sdolcinato amore (Empedocle-unione) e può come non può avvenire o per vincoli di necessità e quindi è e così avviene ? Qui sta il punto.
Allora hai ragione a darmi del fantasioso, poiché la contraddizione è tra il positivo e il suo negativo, ma se un positivo può come non può essere allora ogni contraddizione è inesistente e tutto è possibile.
Ma per noi il tutto non è possibile (ottenibile) e allora vedo io in questo, nel tuo credere tutto possibile, anche che si possa e non si possa ( l'amore sdolcinato) contemporaneamente, questo dice il mondo di scienza ipotetico deduttiva ( l'ipotesi è il possibile appunto) , una forte contraddizione.
Tu credi a DeBenedetti che a Fazio dice " io sono diverso dagli altri io non mi occupo di politica ma guardi che io non mi occupo nemmeno delle mi aziende, faccio fare ai miei figli e questo mi consente una visione distaccata" questo a 5 giorni dalle elezioni su Rai 3 come campagna elettorale pro Bersani, se credi alle parole di DeBenedetti allora credi alle favole ma è pur sempre un credere, un vivere nell'errore che esiste come esiste la verità. Credere in qualcuno o qualcosa, questo è quello che succede quando non c'è più verità. Ma l'assurdo è che anche DeBenedetti potrebbe credere alle sue parole che questo non cambierebbe la favola del loro dire.
Eugenio Scalfari: " Potrebbe Movimento5stelle accettare un governo composto da persone affidabili dal suo punto di vista ? Un governo del tipo di quello immaginato da Santoro? Cioè del tutto svincolato dagli impegni europei ? Non credo che il PD lo voterebbe, ma soprattutto non credo che Napolitano lo nominerebbe, non sarebbe nemmeno un salto nel buio, ma un suicidio vero e proprio" Visto come è potente il linguaggio, Scalfari sa che 9milioni di elettori del nuovo PD non vogliono un governo che non sia assolutamente allineato alla Merkel. e come lo sa?Lo sa perché DeBenedetti, il suo editore e la dirigenza del partito non si incontrano mai ma eccome che si sentono. Altrimenti nelle sue analisi strampalate e sempre smentite dai fatti, non si fa guidare dalla ragione, ma dalla passione. ma a questa ipotesi ci credo poco. Invece la verità è che vi sarà uno scontro politico tra Germania e Italia e questo il Capitale non lo vuole
Ma il capitale non è la Democrazia, due forze che si controllano e si combattono , in verità il Capitale è egemone, ecco perché PD emerge ora.Se un capitalista viene in televisione e vi dice che lui lavora per il bene comune, come ha fatto DeBenedetti da Fazio, le verità possibili sono due, la prima che mente e mentendo fa il politico( capitalista nelle vesti del politico) e fa i suoi interessi, la seconda che non mente, ma che, allora, contraddicendosi, fallisce.
caro genpep hai perfettamente ragione ,stesso metodo usato da ogni parte politica quando serve hai anche ragione sul fatto che questa volta anche noi comuni mortali riusciamo a capire cosa scrive dru...
caro satrapo, ero felice di aver capito l'articolo di Dru, però poi per non smentirsi c'ha rimediato con i commenti. Dru non vuol mescolarsi con i mortali
Caro Dru, se non ti esaurivi a leggere Scalfari avresti letto qualche pagina dopo il ben piu' interessante articolo sul filosofo Gennaro Sasso e le sue risposte senza riserva su chi fa filosofia. Alla domanda: non c'e' il rischio che una filosofia totalmente staccata dalla realta' sia inutile, risponde: Non riesco a capire quei pensatori che devono dare un senso al mondo, sento l'esercizio filosofico come un'assoluta sterilita', che pero' non puo' fare a meno di esercitarsi. Chi o cosa lo obbliga? " se si entra nella dimensione del pensiero si e' catturati da questo tiranno che ti impedisce di entrare a contatto con il mondo". La filosofia come un carcere? "essa non ti concede nessuna liberta' al di fuori del suo esercizio". E il mondo i suoi valori le sue trasformazioni come li si affronta? " con altri strumenti. Ci sono le scienze storiche e sociali, c'e' la politica. E quei pensatori che non si sono lasciati risucchiare dal vortice speculativo.
La sua prima allusione non l'avevo intuita poiché sono abituato a ragionare io è non a fare tifo da stadio, ma rileggendola , anche con piacere, ora emerge il suo tifo, ma vede, a me che vinca Berlusconi o che vinca Berlsani ( ho inserito la elle apposta nel nome di Bersani) non fa nulla anzi aumenta il mio prestigio di politologo in quanto il metodo Boffo o il metodo La Repubblica o il metodo l'Espresso non è sorto nel tempo di Berlusconi ma appunto nel tempo in cui i moralizzatori di sinistra alleati con il Capitale cercavano di conseguire il potere fin ai tempi del PCI. Leggere la fortissima antipatia di Sciascia nei confronti dello Scalfari a proposito, che disse..." Non si immagina neppure quello là cosa si possa fare in nome della verità"...
L'uomo che ha gustato una volta i frutti della filosofia, che ha imparato a conoscere i suoi sistemi, e che allora, immancabilmente, li ha ammirati come i beni più alti della cultura, non può più rinunciare alla filosofia e al filosofare.
oggi scopro che sei schierato .ma allora conti balle da anni..
È assolutamente così... Io sono un affamato e ho estrazione scientifica, studio con vigore Einstein e le sue teorie e debbo dirti che mi risultano anche abbastanza facili dato i miei studi e studio l'indeterminismo per quello che posso e moltissime teorie scientifiche con spasmodico appetito, (ma la filosofia ha per me un fascino che supera ogni teoria scientifica) e dovevi vedermi piangere quando ho capito in profondità la relatività di Einstein, ma queste cose a confronto della filosofia sono bazzecole e questo lo avevano capito bene per primi gli scienziati come Einstein.
Come quei critici dilettanti d'arte( noi) che contestassero alla pittura astratta che non sono in grado di dipingere, non sono veri pittori, ecco gli scienziati sono come il Caravaggio nella pittura, mentre l'avanguardia ( che non è vero che non ha gli strumenti per dipingere come Caravaggio) esprime quel qualcosa che ha quelle fondamenta, quegli strumenti, ma vi va oltre per mostrare qualche cosa che la dimostrazione (scienza) non può mostrare (filosofia). Ecco, di non credere che il Kandinsky non sapesse dipingere come il Caravaggio, questo è l'errore pacchiano che possono commettere quelli che fanno del reale una critica superficiale e che non hanno gli strumenti per criticare, e allora dicono del Kandinsky che non sa dipingere. Come per la disputa tra Hegel e il suo servo che lo voleva internare, bel servo pensava Hegel, che comprendeva tutto ciò che il servo comprendeva ma comprendeva anche quel di più che allo sguardo del servo risultava folle.
La filosofia dovrebbe essere il tentativo razionale di dare delle risposte alle domande fondamentali, cioè di darne un fondamento logico-razionale. Questo sforzo costa fatica e ha prodotto un'avventura di pensiero eccezionale. Purtroppo la filosofia è passata anche per mani sbagliate che l'hanno rinchiusa in torri d'avorio e in accademie ammuffite che non hanno fatto altro che renderla antipatica e lontana dalle persone. Invece è molto affascinante. Chi ne capisce dovrebbe condividerla ma ciò è difficile. Solo se si riesce a trasmettere il senso di questo viaggio nel pensiero dell'uomo si può affermare di aver creato un valore per la filosofia. Resta il fatto che solamente lo stimolo al pensiero è già un vantaggio. Anzi direi che quando ci poniamo delle domande e cerchiamo delle risposte, insomma quando esercitiamo la nostra razionalità attraverso il pensiero, stiamo facendo filosofia.
e in questo vi sembrerò presuntuoso, ma pazienza, ne vale la candela come si dice: la filosofia, quella autentica non è un tentativo, poiché se solo lo fosse non potrebbe mai, in quanto tenta, il raggiungere la verità, la filosofia è già in luogo di verità.
Dato il mio continuo appetito, mi interessa davvero sapere il tuo punto di vista nella disputa con il Cartella, può darsi davvero che mi sfugga qualcosa è con la tua perspicacia potresti aiutare il momento speculativo.
Che mette continuamente accenti, o è talmente intelligente il suo sistema operativo che vedendo una "e" me l'accenta in quanto riconosce in me un umile servo dell'essere, cosa da non escludere del tutto, secondo quello che è il principio di realtà di Einstein.
Già dicemmo più di una volta che dietro alla semplicità si nasconde la complessità. Spesso si ha il difetto di confondere la semplicità per semplificazione. C'è anche chi tende a complicare perché non gli riesce né la semplicità né la semplificazione. Parlo dei filosofi ammuffiti delle accademie. Bene, fare filosofia significa complessificare il pensiero per fare in modo che ciò che da essa emerge sia semplice. Compito molto complesso, appunto. Questo compito ha un forte grado di difficoltà perché non pretende di avere in mano la verità, può esserle solo amica, vicina: filosofia appunto. In essa la verità brilla ma non è mai raggiunta, in essa viene indicata la strada ma non si giunge mai alla destinazione. Non sono d'accordo con te Dru, quindi.
perchè come disse J.A. Wheeler (genio assoluto): "La filosofia è una cosa troppo seria per essere lasciata solo ai filosofi!" :-D
Leggo l'iperflusso Dru-Cartella ma voi affrontate troppi argomenti insieme e io mi perdo, o meglio voi non arrivate a dei punti di discussione comune. Al Cartella l'ontologia non interessa. Si avvicina a Bergson, cosa che mi piace, ma non riesco a far collimare le premesse che pone con le conclusioni a cui arriva. Io sono abituato prima a capire gli assiomi per poi valutare le conseguenze del discorso. Con il vostro iper-flusso è difficile orizzontarsi.
Magari si filosofeggiasse un po' di più e in maggior numero. Sarebbe una cosa eccezionale. Purtroppo usare o augurare di usare il cervello sembra un'offesa. Qualcuno lo parcheggia la sera prima di andare a dormire e per settimane si dimentica di riaccenderlo. Qualcuno non ha nemmeno la patente per guidarlo e qualcun altro non ha bisogno nemmeno del parcheggio. Il mio augurio sarebbe di eliminare i parcheggi per lasciare i cervelli sempre in funzione. Qualcuno urlerà condanne e improperi come sempre accade verso chi chiede al prossimo di pensare.
uno degli antichi vizi della chiesa era di mettere in bocca alla gente cose (i peccati) che manco si sognava di pensare (pensa agli accusati di stregoneria). questo antico vizio fu poi ripreso dalla sinistra per accusare di fascismo o peggio di non capire chi non gli dava sempre ragione. io, come tu ben sai cerco di usare la mia testolina magari un pò (molto?) bacata per pensare con il mio cervello. non pretendo di avere sempre la ragione dalla mia, ma a volte si, ed è per questo che ali schierati sembro contraddittorio, ma non è colpa mia se trovo buoni sia alcuni argomenti della destra sia alcuni della sinistra. anche se ora come ora sono convinto delle ragioni del M5S, e sono convinto che se rimaniamo il più possibile con un governo provvisorio avremmo meno danni che con un governo come quelli degli ultimi vent'anni e oltre. sono anche convinto che per far ripartire la nostra patria dovremmo cancellare le leggi degli ultimi 40 anni
99.9% dei lettori di VSN, me compreso, non sia in grado di sostenere argomentazioni filosofiche con lo spessore del Dru o del Cartella. Credo che tutti però, nel momento in cui mostriamo interesse per un argomento, esprimano Amore per la Sapienza. Ognuno con il proprio spessore.. :-D
Sia Platone che Gramsci dicevano che siamo tutti un po' filosofi. La bravura di chi vuol diffondere filosofia sta nel farsi capire. Non un linguaggio specialistico, ma declinato in base agli strumenti che l'attualita' offre, portato alla semplicita' richiesta alla comprensione di un vasto pubblico. Semplificare non vuol dire banalizzare. Provateci che gia' Eintein vi consigliava. Comunicare significa mettere in comune e' diverso da insegnare che significa fornire nozioni. Se si vuol insegnare si possono usare codici specialistici, se si vuol comunicare e' necessario l'uso di un codice accessibile.
Nella storia della nostra civiltà, nella storia dell'Occidente, la verità ha avito il compito di essere un "rimedio". Platone diceva ai giovani che bisogna cominciare a fare filosofia intorno ai trent'anni. Perché? Perché i giovani devono ancora imparare a vivere e a soffrire. Il giovane è l'essere umano che soffre poco. Ci rendiamo quindi conto che il dolore è il dato in relazione al quale prendiamo ogni decisione.Porre, come ha fatto l'Occidente, la verità in relazione al dolore, non è riduttivo. Che la verità abbia avuto il compito di salvare dal dolore non è affatto riduttivo! Però il senso che la verità può avere non si deve ridurre al senso che la verità ha avuto nella cultura occidentale.
La domanda è bella perché bisognerebbe innanzi tutto che ci mettessimo d'accordo sul significato di questa parola: "verità". Penso che parliamo a vanvera se, innanzi tutto, non ci intendiamo sul significato della parola "verità". Penso che l'accertamento del significato di questa parola costituisca l'avventura più straordinaria che l'uomo abbia compiuto. Che cosa intendo dire? Prima di conquistare i pianeti, prima di conquistare il centro della terra, prima di dominare le civiltà, è necessaria quell'avventura che consiste nel poter sapere qualcosa che non possa essere assolutamente negata. Quindi, innanzi tutto, pensiamo all'evocazione compiuta dai Greci: la verità come l'assolutamente innegabile, ma innegabile in modo tale che né cambiamento di epoche, né mutazione di cultura, né uomini, né Dei la possono cambiare. Neanche un Dio onnipotente può cambiare il contenuto della verità. Questo
è ciò che i Greci pensano. Lo sviluppo della nostra conversazione deve riferirsi a questo nucleo, a questo ombelico, che permane lungo tutta la nostra storia.Anche quando non si crederà più che esista una verità, ci si riferirà a quel senso che la verità possiede all'inizio, cioè come assoluta innegabilità, incontrovertibilità.
C'è un modo di pensare la verità che non potrà mai condurre alla verità. Si dice che l'uomo cerca la verità: si pensa che la verità sia altrove, perché se la cerchiamo non è qui con noi. Allora ci mettiamo in cammino per cercarla. Questa è l'immagine che lei ha enunciato chiaramente: questa è l'immagine di tutta la tradizione occidentale, anche scientifica. Laggiù c'è la verità, e noi ci diamo da fare per raggiungerla. Magari possiamo, a questo proposito, usare una metafora evangelica, molto bella: ci mettiamo a "bussare alla porta della verità".Proviamo a riflettere su ciò che implica questa immagine del cammino che si deve percorrere per raggiungere la verità. Se io domando: questo cammino, che deve arrivare alla casa della verità, questo cammino è compiuto nella verità?
Può esser compiuto questo cammino nella verità, se ci mettiamo, se partiamo dal principio che la verità sia laggiù, chiusa in una casa? Se la verità è chiusa là, il cammino percorso è nella non verità. Allora se bussiamo alla porta non ci sarà aperto. Questo che cosa vuol dire? Che se noi ci mettiamo nella prospettiva dominante, in cui la verità è qualche cosa che va ricercato, accostato, a cui ci si debba avvicinare, noi non la troveremo mai. L'alternativa è incominciare a pensare alla verità come ciò in cui noi tutti, già da sempre, siamo. Nell'altro modo il discorso è chiuso, e non arriveremo mai ad una verità lontana.
che è una risposta apparentemente semplice nasconde dietro una complessità infinita che va ricercata anche proprio negli ultimi post che ho scritto a Cartella sul dominio della contraddizione e sulla contraddizione quando viene dominata. Quindi rispondo ad Aldo che cita Platone, è vero la comprensione nella comunicazione per chi non ha gli strumenti dietro è fondamentalmente riduzione, come fa sopra magistralmente Severino con degli allievi, ma riguarda la sfera della fascinazione, cioè a Severino, quegli studenti, debbono credere o non credere... c'è qualche cosa, dietro quelle parole, che è immensamente più grande, ma bisogna fare uno sofrzo, provare prima un dolore come dice Platone, per andare in logos di quelle parole e non esserne solo affascinati.
Il processo tecnologico può implicare il raggiungimento di una verità assoluta? Severino-Avevamo accennato al fatto che la tradizione, non soltanto il pensiero dell'Occidente, è destinata a tramontare. Oggi, soprattutto dopo il crollo del socialismo reale, restano in piedi ancora grandi forze della tradizione occidentale. Le indicavamo prima. Lo stesso capitalismo, che è un grande modo di pensare, il comunismo, che è un altro grande modo di pensare, il cristianesimo, la democrazia, ecc. Avevo accennato prima al fatto che ognuna di queste forze oggi in campo crede di servirsi della tecnica per realizzare il proprio mondo di valori. Il cristiano vuol servirsi della tecnica per realizzare il mondo cristiano. Questa è l'illusione, perché la tecnica ha un proprio scopo: quello di incrementare all'infinito la capacità dell'uomo di trasformare il mondo.
Questa è la verità dominante all'interno dell'Occidente, è la verità che depotenzia tutte le altre forme di verità all'interno della storia dell'Occidente. Il problema di tutti i problemi è proprio qui. Ma il senso che la verità possiede all'interno della storia dell'Occidente, e per il quale siamo destinati alla civiltà della tecnica, questo senso della verità è l'unico possibile? La mia risposta è un "no" grande come un cielo.
La verità non è mai stata trovata perché la possediamo già da sempre. Non è che sia, ripeto, quella casa laggiù in cui si debba entrare. A costo di scandalizzarvi, ricordo che a Gesù, quando è sulla croce, il ladrone dice: "Signore oggi ricordati di me". Gesù gli risponde: "Quest'oggi tu sarai con me in Paradiso". Ciò a cui questo discorso - che tento di portare alla luce, al di là della storia dell'Occidente - porta è l'affermazione: "Badate, voi, noi, tutti, siamo già da sempre in Paradiso".La radice greca di Paradiso vuol dire "esser presso gli Dei", "essere presso il divino". Quindi io sono lontanissimo dal dire: la verità non è mai stata trovata. Non è mai stata trovata perché l'abbiamo sempre. E' forse il linguaggio - qui verrebbe fuori il tema del linguaggio - che la occulta?Per tornare al cielo, questa volta non stellato, la verità è come il
cielo. Se un cacciatore pensa agli uccelli e spara agli uccelli, non vede il cielo. Ma il cielo splende sempre al di sopra della sua testa. Lui crede di non vedere altro che i volatili, le migrazioni degli uccelli e magari pensa a un cielo e "Chissà mai quando mai lo vedrò! Chissà mai se lo troverò".No, il cielo è qui da noi. Noi siamo nel cielo.
lo stesso Aristotele di Parmenide, e un poco anche Platone, rifiuta il suo pensiero e comincia il velo sulla verità, verità che anche Parmenide indica (intuisce) ma non segue, preferendo infine la caccia, ma quella (il cielo) è comunque presente lungo l'arco della storia dell'uomo.
è quel cacciatore quando mi pone la domanda, "Davvero per lei vi é coincidenza fra le nostre definizioni e ciò che pretendiamo di definire?" poichè lui non osserva il cielo ma gli uccelli in movimento (che ne fanno parte) e si incazza con me che gli parlo del cielo, confondendolo con gli uccelli che gli sfuggono in continuazione; mi dà, dal suo punto di vista ( il punto di vista del nichilista, come il tuo del resto sulla verità) del folle, ma dovrebbe ricercare la radice del termine follia.
la stragrande maggioranza di voi , anzi voi tutti siete in grado come me di sostenerle, bisogna però, in fine, volerlo.
Dru, se l'essere è definito come parmenidamente fa Severino, la sua risposta riguardo alla verità è logica. Infatti se la verità dell'essere corrisponde a dire che il nulla non esiste, cioè tutto è essere, allora non esiste un "raggiungere" la verità perché ci siamo immersi dentro (ossia siamo nell'essere). Questa logica non è contestabile nelle conseguenze ma lo è nell'impostazione delle premesse. Ossia nell'uso del principio di non contraddizione (strumento della logica) e nella sua trasposizione sic et simpliciter nell'ontologia. Mi spiego: se faccio operazioni con la logica, solo se credo che tra essa e l'essere ci sia identità perfetta posso pensare di arrivare alle conclusioni di Severino. La logica, invece, è uno strumento del pensiero umano, non identico alla realtà che vuole descrivere. Qui è il punto su cui dobbiamo assolutamente discutere.
Se le cose stanno come dice Severino allora esiste solo la necessità. Cioè tutto è necessario che accada (destino). L'uomo non è libero! La storia non esiste. Non esiste perché non esiste un movimento verso il futuro che accade in maniera imprevedibile. Tutto è già scritto. Poi Severino introduce il concetto di "apparire" per salvare il fatto che comunque nella realtà l'uomo esperisce la morte, il cambiamento, la fine. E dice che l'essere non cambia mai, ma appare e scompare. Morire non è andare nel nulla ma è smettere di apparire. Tutti i momenti di una vita sono e rimangono eterni (cioè nell'essere) anche se escono dalla sfera dell'apparire. Ci rendiamo conto però che tutto questo è solo conseguenza dell'applicazione del Principio di non Contraddizione alla realtà fisica, la quale invece funziona in un altro modo? O meglio funziona in un modo che non è detto possa essere
"ridotto" come viene fatto quando ad esso si applica il principio di non contraddizione. Qui sta il punto. E' qui che capisco cosa intende Cartella, o meglio credo di avere un collegamento con quello che dice Cartella. Capisco anche perché i severiniani non ne vogliano discutere. Se lo facessero potrebbero vedere tremare le fondamenta del loro castello fermissimo della necessità e dell'essere. Dovrebbero mettere in discussione la loro rigidità e impermeabilità. Ma qui comincia un'altra storia.
questa volta vedo molta confusione nei termini in uso... tu dici e fai parlare Severino di cose che non ha mai detto e dici ..." Mi spiego: se faccio operazioni con la logica, solo se credo che tra essa e l'essere ci sia identità perfetta posso pensare di arrivare alle conclusioni di Severino. La logica, invece, è uno strumento del pensiero umano, non identico alla realtà che vuole descrivere. Qui è il punto su cui dobbiamo assolutamente discutere." Severino..."Il Contenuto ( la verità) di cui sto parlando è la manifestazione del senso e della necessità del differire dei differenti. È il punto infinitamente più stabile di quello che ad Archimede sarebbe bastato per sollevare la terra. Ben vengano dunque, daccapo, le obbiezioni, purché intendano essere davvero tali, ossia intendano differire da ciò contro cui obbiettano e tengano quindi in gran conto la differenza dei differenti e l' impossibilità di
negarla."
Caro Dru, mi sembra, che pur sfuggendo quanto sostengo, il linguaggio cominci a diventare piu' accessibile anche ai non cultori del pensiero severiniano. Ancora uno sforzo e i comuni mortali troveranno anch'essi interesse alla comunicazione. Non credo cambiera' il significato servendosi di un significante piu' piacevole. A meno che non si sia convinti che filosofare sia oltre che pensare "noia", sara' necessario uscire dall'arcaico concetto della lingua degli eletti e delle classi dirigenti. Oltre alla democrazia politica internet richiedera' anche una democrazia del linguaggio.
Dru, non sfuggire all'obiezione. Io pongo alcune questioni: è o non è appartenente alla logica il principio di non contraddizione? Secondo: la logica è o non è una costruzione umana? Terzo: è giusto pensare che esso possa essere applicato all'essere sic et simpliciter (cioè presupponendo che esso sia applicabile senza fondare questa sua applicazione alla realtà)? Quarto: Logica umana e l'essere sono coincidenti? I severiniani danno per scontato che la risposta a tutte queste domande sia "sì". Io non sono così certo.
Per me: la logica è una costruzione umana che applica principi tra cui quello di non contraddizione; non è giusto pensare che esista una corrispondenza perfetta tra logica e essere, la logica non è pervasiva, non può dire tutto né descrivere tutto; quindi logica umana e essere non coincidono.
io non sfuggo, ma leggi bene,la verità è proprio il contrario di quanto tu metti in bocca a Severino, la verità sono le differenze ma che non partono dall’astratto o concetto astratto dell'astratto per giungere al concreto (impossibile, contraddittorio) ma partono dal concreto, quindi anche la differenza tra logica e essere o la differenza tra significato e significante: la dottrina di Severino ( se vogliamo proprio parlare di una sua dottrina) è una teoria semantica dell'olismo delle differenze, presentata sulla base della dialettica hegeliana ma questa rovesciandola in Struttura Originaria. vedi Aldo che per forza di cose poi bisogna andare nel concreto (semplice). Ti invito a leggere questo per intuire di cosa parlo: Dal divenire all’oltrepassare di Andrea dall'Sasso lo trovi in internet in .PDF, il suo primo capitolo.Poi ragioniamo.
Se il contenuto è tale prevede un contenitore: la nostra mente. La nostra mente quando parliamo di verità determina un contenuto. Domanda: questo contenuto è la verità? Se rispondiamo sì, ipotizziamo che ci sia identità tra certezza (contenuto della mente) e verità (mondo reale). Comunque la si pensi la certezza e la verità sono differenti. Tu Dru pensi che ci sia identità? Io ho dei dubbi che le cose stiano così.
che ti rende impossibile quell'identità, è il tuo procedere appunto nell'errore, ma questo non è un errore banale , questo è l'errore.
«La Necessità è tale, perché la negazione della Necessità è di necessità autonegazione».
non è la schiavitù che esiste come eterno come il suo negativo o l'angoscia, che esiste come eterno come il suo negativo, o la relazione che esiste come eterno come il suo negativo, non è qualche cosa che è altro da sé e il suo non esser altro dell'altro proprio perché con l'altro si configura (concretizza).
da sempre il concreto.
Non astraggo, il contenuto della mente è fatto da scariche elettriche e neuroni che comunicano tra di loro formando un contenuto nella mente. Chimica e elettromagnetismo molto concreti. Queste scariche elettriche stanno per qualcosa d'altro. Sono simboli di qualcosa d'altro. Sono parole che corrispondono a pezzi del mondo reale. Non sono il mondo reale. Se si pensa che questi simboli siano la realtà si è nell'errore. Questa è la discussione che dobbiamo fare. Se invece vogliamo bypassare questo problema continueremo sempre a illuderci di parlare di cose comuni invece ragioneremo su piani diversi. Il contenuto della mente è la verità? Come si può essere così sicuri che lo sia. La scienza ha già rinunciato a questa identità definendosi ipotetica. Perché è stata costretta? Lo è stata per la ragione che ti ho appena indicato. L'impossibilità di far coincidere contenuto della mente con la
realtà.
come fai a non comprendere che qui astrai.
come tu e scienza fate, capisci che tutto è qualcosa d'altro dal tutto.
tutto è niente.
Il vero problema del movimento 5 Stelle e' il vecchio anarchico genovese.
Il vostro cercatevolo voi. Tenendo sempre presente che nulla e' piu' pericoloso che avere un'idea sola.
Non cerchiamo di concludere, andiamo alla sostanza di questo discorso. Rispondi Dru alle mie questioni: il principio di non contraddizione è il perno di tutto il pensiero severiniano sull'essere? Io critico il fondamento del suo pensiero. Non voglio per adesso parlare delle conclusioni a cui arriva lui, a cui arrivi tu o a cui potrei arrivare io o Cartella. Voglio discutere di questo fondamento. Allora rispondimi se sei convinto che tutto il pensiero severiniano si regge sul principio di non contraddizione. Quella dell'anarchico genovese non la colgo al momento.
è il principio di contraddizione che si regge sul pensiero " di Severino" ( di Severino è ancora nell'errore ), e non è l'unica astrazione di cui si alimenta...
..."Tenendo sempre presente che nulla e' piu' pericoloso che avere un'idea sola." ...appunto, del "tutto" il "nulla" è al fondo, anche sotto un'idea sola.
L'anarchico per ora è coerente.. non potrebbe essere altrimenti. Pena: la scomparsa del Movimento. Avanti così..
tu vuoi giungere alla Struttura Originaria per confutarla, allora devi leggerla, non ti basta il richiamo della scienza che fonda le sue tesi su dimostrazioni che partono da premesse, premesse che sono prese come vere ma non si possono dimostrare come tali... con la filosofia non si "dimostra" come per il procedimento scientifico ma si "mostra", si mostra ciò che è in luce da sempre, è quindi disciplina sommamente più potente.
questa semplice affermazione (giudizio) che all'apparenza sembra banale parte da un presupposto scientifico e è una frase sintetica a posteriori (Kant) o empirica, ma la filosofia non pone questi giudizi per dimostrare con il predicato ciò che il soggetto non dice del tutto, è, in questo, più vicina ai giudizi analitici a priori, infatti è proprio vero che chi ammazza è più potente o prepotente di chi viene ammazzato o non è il caso di dire che invece è vero il contrario ? Vedi,Leretico, che con giudizi empirici non si trova la verità, ma questo non significa che non vi sia. i giudizi sintetici non trovano la verità perché pretendono di dire, chi nelle veci del predicato e chi in quelle del soggetto, ciò che da principio è assolutamente tenuto come astratto o astratto dell'astratto.
...è già un giudizio più vicino a filosofia, ma solo perché vediamo che dentro il soggetto , quello necessariamente porta in grembo ciò che dice il predicato, ma Severino dice che anche se noi siamo sempre più vicini al giudizio sintetico a posteriori esposto sopra, questo non significa che ci allontaniamo da verità, dal concreto del nostro dire..
Per un attimo non avevo capito chi fosse il genovese anarchico. Avevo inteso però il richiamo alla pericolosità dell'idea unica. O meglio l'assenza del dubbio. Come quando si dice che la filosofia deve fondare razionalmente le sue risposte e credere poi che tale fondamento sia solo un mostrare e non anche un cercare di dimostrare. Si dovrebbe allora specificare cosa si intende per fondamento razionale senza il quale non solo non c'è la scienza ma neanche la filosofia. Ho usato la parola "tentativo" per specificare il punto di partenza dubitativo sulla risposta a cui si arriva. Proprio per confermare che alla verità ci si può avvicinare, la si può cogliere in alcuni aspetti ma mai si può raggiungere. Essa esiste allora? Esiste, ma non possiamo mai essere sicuri di conoscerla definitivamente. Perché? Perché siamo costretti ad usare strumenti come il linguaggio per avvicinarci, o altri come la scienza che ce ne fanno cogliere
"Andare per la tangente" significa allontanarsi da un punto comune e, per esempio nel discorso, deviare per una divagazione che non ha nulla a che vedere con cio' di cui si sta parlando. Piu' semplicemente significa essere fuori tema. Il tema di discussione e' la "democrazia e il capitalismo" che va affrontato con gli strumenti propri, che sono la politica e non la filosofia.
solo parti limitate. Cosa accade quando vogliamo definire l'essere? Ci accade che siamo così attratti dal fatto di poter mostrare che l'essere è l'unica verità, ci innamoriamo così grandemente di questa definitiva conclusione teleologicamente entusiasmante che ci dimentichiamo che l'abbiamo fondata su un principio logico, una prepotenza linguistica, un adattamento della volontà che sceglie attraverso il linguaggio cosa sia e cosa non sia. Troppo riduttivo per essere esaustivo, non credi?
hai anche colto la mia risposta alla pericolosità dell'idea unica ?
La tangente tocca solo in un punto e poi si allontana. Quindi siamo fuori tema. È vero. Però non siamo andati così lontano dall'argomento questa volta. La politica infatti prevede un'impostazione, se vuoi, filosofica che guida i suoi passi pragmatici nel mondo. Non è un male discutere di questa impostazione perché da essa può derivare un cambiamento nella prassi, appunto.
...assolutamente si , ancora fai l'errore di far pensare a Severino o verità ciò che pensiero alienante pensa e allora si che è troppo riduttivo, è talmente riduttivo che è nulla l'essere, come in effetti, nel nostro subconscio, ognuno di noi pensa.
Non ho colto Dru la tua risposta.
... rispetto all'argomento originario Id29762
L'avevo letto e ho capito che il linguaggio coglie l'essere ma non può coglierne l'essenza. Lo può rivelare ma non lo può esaustivamente descrivere né esaustivamente conoscere. Mi sembra di aver comunque risposto.
Divagare va bene, "se non si viene catturati da quel tiranno del proprio pensiero che ti impedisce il contatto con il mondo". Rientrare nel tema diventa poi operazione piuttosto complicata.
anche la tua ultima si inscrive in pensiero alienato, in quanto pensare che il pensiero si chiuda in sé stesso e questa chiusura impedisca il contatto con un mondo a lui estraneo significa astrarre l'astratto, compiuta tale operazione poi diventa impossibile pensare che vi possa essere una riconciliazione dei due termini: pensiero e mondo.
voleva Roberto rispondere su questo Blog direttamente, ma ha avuto problemi tecnici. Roberto fiaschi è un esperto della teoresi di Severino (mi scuserà dell'esperto ma non ho trovato altro aggettivo) e lo trovate in questo interessantissimo blog dove lui mette la sua esperienza per confutare il confutante:http://emanueleseverinorisposteaisuoicritici.blogspot.it/, ho postato io le domande di Leretico personalmente a lui e lui mi ha prontamente e gentilmente risposto, mi piacerebbe che Ubaldo risolvesse le difficoltà di Roberto nel suo tentativo di iscrizione non riuscita.
Buonasera a tutti. Leggendo i Vs interessanti discorsi, desideravo precisare alcuni punti circa il pensiero severiniano, pertanto mi rivolgo a LERETICO.In ID29745 egli domanda: 1) “Io pongo alcune questioni: è o non è appartenente alla logica il principio di non contraddizione?”.Com’è noto, Severino mette in questione anche la logica formale. In essa, quel è chiamato “principio di non contraddizione” (= PDNC) concerne i noemi (= i significati) posti come originariamente separati tra loro, cioè astrattamente. In tal caso, il PDNC della logica è contraddittorio, e quindi NON è il principio esplicitato da Severino. Il PDNC è dialettico, cioè comporta l’unità o la sintesi CONCRETA dell’essente (= sia A) con tutto ciò che non è quel dato essente (= non-A).
2) “la logica è o non è una costruzione umana?”.No. Precisiamo. Anche qui, il concetto severiniano di “logica” è ben lontano rispetto a quello ritenuto esser comunemente “una costruzione umana”. In Severino, “logica”, o meglio “l’immediatezza logica”, è l’apparire, il mostrarsi dell’intelligibilità di tutto ciò che si mostra. Esser intelligibile, significa esser un “ciò”, ossia significa esser identico a sé e diverso dal proprio altro da sé. In tal senso, la “logica” NON è una costruzione umana, ma anche ammettendo che lo sia, questo non inficia affatto l’identità con sé dell’essente, giacché la logica intesa nell’accezione di un “prodotto umano” è pur sempre un essente (= un significato) identico a sé e diverso dal proprio altro, ossia da tutto
ciò che non è siffatta logica. Se così non fosse, la logica non sarebbe “la logica”, ma altro. Pertanto ANCHE la logica presuppone, per potersi costituire in quanto logica, l’innegabile ed imprescindibile validità universale del PDNC.
3) “è giusto pensare che esso possa essere applicato all'essere sic et simpliciter (cioè presupponendo che esso sia applicabile senza fondare questa sua applicazione alla realtà)?” Roberto:Il PDNC non è “applicato” all’essere. Il PDNC altro non è che l’essere stesso nella sua formulazione esplicita; è l’incontraddittorietà della significanza di qualsiasi significato (= eccetto il nulla). Non è cioè qualcosa che stia oltre o al di fuori dell’essere che poi sopraggiunga in un secondo momento, giacché se così fosse, l’essere (e qualsiasi altro significato o essente) separato dal PDNC sarebbe un significato contraddittorio, ossia sarebbe NULLA, non sarebbe ‘simpliciter’, così come il PDNC separato dal suo non essere un nulla (= poiché appunto il PDNC è un “ciò”, un essente, un’articolazione di
significati) sarebbe un nulla come principio, cioè un principio di nulla. L’affermazione (o la domanda) “presupponendo che esso [= il PDNC] sia applicabile senza fondare questa sua applicazione alla realtà” non si accorge di avere già in sé la risposta, risposta però che smentisce la possibilità che il PDNC possa e debba “fondare questa sua applicazione alla realtà”, giacché ciò che chiamiamo “realtà” è già un significato identico a sé e diverso dal proprio altro (= è già il PDNC in atto); ossia, “realtà” non significa “irrealtà”, “fantasia”, “allucinazione” e nessun altro significato che non sia appunto “realtà”, pertanto supporre che il PDNC debba fondare la sua validità per la realtà significa presupporre il ricorso ad un ulteriore principio
più originario del PDNC stesso, il che è impossibile, giacché anche quest’altro supposto principio sarebbe a sua volta identico a sé e diverso dal proprio altro (= ossia sottostarebbe al PDNC), altrimenti non sarebbe QUEL principio invocato come ulteriore al PDNC per fondarne l’applicabilità alla realtà.
4) “Logica umana e l'essere sono coincidenti? I severiniani danno per scontato che la risposta a tutte queste domande sia "sì". Io non sono così certo”. Roberto:Allorché si capisce il significato severiniano di “essere” o di “essente”, tale domanda perde ogni ragione di essere posta. Infatti, “essente” è tutto ciò che non è un nulla; la “logica umana” è forse un nulla? NO, poiché è appunto LA logica umana, non uno scaldabagno né un qualsiasi altro significato o essente. Come tale, la logica (= nell’accezione severiniana) è l’apparire dell’intelligibilità di ogni non-nulla, cioè di ogni essente, “logica umana” inclusa, ovviamente, quindi anch'essa coincide necessariamente con l'essere poiché non è un nulla…Grazie, saluti a tutti.
"Com’è noto, Severino mette in questione anche la logica formale. In essa, quel è chiamato “principio di non contraddizione” (= PDNC) concerne i noemi (= i significati) posti come originariamente separati tra loro, cioè astrattamente. In tal caso, il PDNC della logica è contraddittorio, e quindi NON è il principio esplicitato da Severino." e gli chiedo di non solo enunciarla questa contraddizione, di questo caso, del caso in cui il PDNC concerne i noemi(= i significati) posti come originariamente separati ma di esplicitarla. Concerne forse il fatto che se nelle differenze prese come l'astratto dell'astratto, prese come originariamente la logica formale fa, non presupponendo il loro concreto, l'identità, questa non-identità non supposta originariamente renderebbe impossibile il costituirsi delle differenze stesse ?
differenze che sono tali appunto perchè se si nega l'identità, se cioè si afferma che il noema è il puro differenziarsi del noema, sì che esistono soltanto le differenze senza alcuna identità, si afferma l'identità, perchè si afferma che le differenze sono identiche appunto nel loro essere differenze?: in quanto differenza, ogni differenza è identica ad ogni altra differenza?
Sì, non solo l’isolamento del noema rende contraddittorio il singolo noema stesso (= giacché senza esser originariamente unito al proprio altro da sé esso non riesce ad esser nemmeno se stesso), ma rende altresì impossibile l’identità che si ha nella predicazione (sia essa A=A oppure A=B), perché in questo caso il dianoema (= la sintesi di soggetto e predicato) diventa il RISULTATO di un divenire, ossia della contraddizione consistente nel divenire _ da parte di A isolato da A o da B _ quell’altro da sé che è A oppure B.
...ma Roberto. altrimenti pongo un divenire impossibile del medesimo ma voluto e in quanto voluto esistente.
DRU: "in quanto differenza, ogni differenza è identica ad ogni altra differenza?"Roberto: ciò che una differenza (= un essente) ha in comune con ogni altra è il fatto d'esser una differenza. L'identità delle differenze consiste nell'esser, tutte, delle differenze...
Roberto.
Grazie! :-)
non si accontenterà delle tue risposte, pur essendo esaustive, conoscendone la tempra e l'intelligenza.
E' giusto, mai accontentarsi di ciò che qualcuno dice, meglio sottoporre sempre tutto a critica ...
Detto così " il PDNC è dialettico cioè comporta l'unità o sintesi concreta..." va ulteriormente problematizzato, altrimenti rischia di essere un'affermazione sterile, sai esplicare questo concetto comprensibilmente per tutti ? E ci daresti una definizione di concreto ed astratto ?
Grazie per le sue risposte, che hanno generato altre domande. Faccio una premessa: non sono un conoscitore profondo di Severino, quindi le mie obiezioni nascono da un approfondimento personale di alcuni temi a cui, forse, Severino ha già risposto in testi che non conosco. Chiedo venia per questo. Vorrei però porre una questione che mi sembra non chiara e che sta alla base dei nostri discorsi. Perché ci sia il PDNC si deve o non si deve supporre una coscienza che lo pone? Dalle sue risposte deduco che non c'è per lei dualità tra essere e coscienza che "usa" (scusi l'improprietà del termine) il PDNC. Lei afferma che il PDNC è l'essere stesso e da qui concordo che ne derivino le conseguenze molteplici che enuncia. Ma il punto è se si crede o no che cia sia differenza tra essere e coscienza. In qualunque modo lei ponga la questione credo che non si possa prescindere da questa situazione di fatto.
In più punti lei afferma l'immediatezza e l'intelligibilità dell'essere e quindi suppone che ci sia una coscienza che sia in grado di intelligere immediatamente (cioè senza mediazione), ma poi la vuole negare dicendo che il PDNC è l'essere stesso. Insomma questa coscienza esiste o non esiste? Se esiste, essa pone o non pone un principio per intelligere l'essere?
La questione potremmo anche metterla così: immaginiamo che sulla terra non ci sia nemmeno un essere umano. Il PDNC esisterebbe? Non credo. Se allora non esisterebbe allora esso è posto dalla coscienza dal momento in cui essa appare nella storia dell'universo, non prima. Non nego che ci sia l'essere ma non credo che siano sufficienti i mezzi della coscienza per comprenderlo.
L'essere fa la sua strada ed è indipendente dalla coscienza che cerca di conoscerlo. Anche il concetto di identità, così necessario per mostrare che il molteplice, le differenti determinazioni hanno in comune la differenza che le rende identiche all'essere, dimostra il bisogno di mettere insieme due cose che non sono la stessa cosa. Abbiamo bisogno di uno sforzo dimostrativo perché dobbiamo superare un ostacolo: la differenza tra l'essere e ciò che la coscienza pensa che l'essere sia. L'immediatezza, per esempio, come concetto è necessario solo perché vogliamo significare che qualcosa non è mediato. Peccato che nel dire che è immediato usiamo una parola, la quale è un medium. Questa situazione è irrisolvibile perché non possiamo fare altrimenti. La nostra coscienza è costretta a porre una parola (un mezzo) per affermare il non mediato. Cosa che comporta che l'immediatezza non esiste. È
una costruzione umana come il PDNC.
...che mi coinvolge emotivamente, ma preferisco attendere che queste interessantissime obiezioni a l'immediato come costruzione (=mediato) da parte del linguaggio da parte di di una coscienza (=infelice?) sia il logico e il fenomenologico estrinsecato da Severino per primo ma da qualcuno come Roberto capito nella loro cooriginarietà.
Quanto alla prima domanda di LERETICO che riporto per chiarezza: “Perché ci sia il PDNC si deve o non si deve supporre una coscienza che lo pone? Dalle sue risposte deduco che non c'è per lei dualità tra essere e coscienza che "usa" (scusi l'improprietà del termine) il PDNC. Lei afferma che il PDNC è l'essere stesso e da qui concordo che ne derivino le conseguenze molteplici che enuncia. Ma il punto è se si crede o no che ci sia differenza tra essere e coscienza. In qualunque modo lei ponga la questione credo che non si possa prescindere da questa situazione di fatto. Certamente “essere” e “coscienza” sono significati distinti, ma il secondo appartiene o è incluso nell’orizzonte del primo, poiché se l’essere denota tutto ciò che non è un nulla, allora anche la coscienza è u
Certamente “essere” e “coscienza” sono significati distinti, ma il secondo appartiene o è incluso nell’orizzonte del primo, poiché se l’essere denota tutto ciò che non è un nulla, allora anche la coscienza è un non-nulla, poiché l’essere è appunto ciò che non ha nulla al di fuori di sé.
L’essere è immediatamente noto perché se fosse noto mediante “altro”, questo altro sarebbe inevitabilmente un non-nulla, cioè, daccapo, essere, pertanto che l’essere non sia immediatamente noto è IMMEDIATAMENTE autocontraddittorio. Inoltre, non “suppongo” che vi sia una coscienza; è innegabile che vi sia, giacché appare; se negassi l’apparire (= l’esserci) della coscienza, formulerei affermazione autocontraddittoria, giacché anche quella negazione dovrebbe apparire, per esser tenuta ferma come negazione della coscienza.Dicendo che il PDNC è l’essere stesso intendo dire che l’essere (= l’identità con sé e la diversità da
3) “La questione potremmo anche metterla così: immaginiamo che sulla terra non ci sia nemmeno un essere umano. Il PDNC esisterebbe? Non credo. Se allora non esisterebbe allora esso è posto dalla coscienza dal momento in cui essa appare nella storia dell'universo, non prima. Non nego che ci sia l'essere ma non credo che siano sufficienti i mezzi della coscienza per comprenderlo”.CONTINUA
Se non c’è coscienza per affermare il PDNC, allora non c’è neanche per negarlo. Ma non è qui il punto che intendo evidenziare. Ammettiamo che l’uomo non esista sulla terra (= ammissione impossibile, perché presuppone come pacifico ciò che la filosofia di Severino nega, ossia che qualcosa possa non essere, ma non importa ora); ebbene, ha poc’anzi parlato in relazione alla possibilità che “sulla terra non ci sia nemmeno un essere umano”. Ciò nonostante ha ammesso l’esistenza della terra priva di esseri umani. Domando: la terra che eventualmente esistesse senza esseri umani, è la terra, ossia significa come “terra” qual noi la conosciamo oppure no? Se sì, allora il PDNC vale ancora, giacché “terra” non significa “luna” o “sole” o “stella”, cioè è un essente identico a sé e significante come tale.
"L'essere fa la sua strada ed è indipendente dalla coscienza che cerca di conoscerlo". Devo chiarire il concetto di “essere”: con esso, intendo ogni e qualsiasi essente, ogni e qualsiasi non-nulla. Detto ciò, proseguo....
“L'immediatezza, per esempio, come concetto è necessario solo perché vogliamo significare che qualcosa non è mediato. Peccato che nel dire che è immediato usiamo una parola, la quale è un medium. Questa situazione è irrisolvibile perché non possiamo fare altrimenti. La nostra coscienza è costretta a porre una parola (un mezzo) per affermare il non mediato. Cosa che comporta che l'immediatezza non esiste". La “parola” appare, ed in quanto appare è un essente, non è un nulla, è essere; pertanto che la parola appaia è un immediato. Se e poiché l'essere è TUTTO ciò che è, allora anche la parola non può fare eccezione a ciò, poiché anch'essa è. L'essere è un immediato.
"Cosa che comporta che l'immediatezza non esiste. È una costruzione umana come il PDNC”.Ammettiamo, per agevolarla, che sia così come dice. Bene. Se il PDNC è una “costruzione umana”, esso allora avrà bisogno del cervello umano e quindi di venir “costruito” . Ma allora, che il cervello umano sia il costruttore del PDNC, impone che l’essere umano sia identico a sé e diverso da qualsiasi altro significato, lo stesso dicasi del “costruire”, il quale non significa “lavarsi”, “camminare” o “distruggere”, etc., pertanto in tutti questi significati il PDNC è già all’opera, è già ammesso proprio nel momento in cui si crede di averlo liquidato… Non so se sono stato chiaro…
"L'essere fa la sua strada ed è indipendente dalla coscienza che cerca di conoscerlo". Per definire l'essere "indipendente dalla coscienza umana" significa averlo già conosciuto, ossia significa conoscerlo come "indipendente", col che cessa di esser "indipendente" nel momento in cui lo si afferma conosciuto in tal ed in tal'altro modo, giacché il conoscere è una forma di non-indipendenza...
Mi spiego meglio su quest'ultimo punto: ciò che si crede esser "indipendente" dalla coscienza, è in realtà già interno alla coscienza, e dunque non può esserci una indipendenza dalla coscienza che non sia nella coscienza, altrimenti non potremmo sapere (= avere coscienza) della supposta "indipendenza" ... Se dico: X è indipendente dalla coscienza, ho già inserito X nella coscienza, e quindi non ne è più indipendente...
Buona notte a tutti :-)Ciao, Roby
riformulo quanto ti ho chiesto nell'ID29919 che , infervorato e sempre precisissimo come sei nel confutare il confutante, hai dimenticato di rispondere, mi piacerebbe che lo facessi; con un avvertimento, attento alle ultime 80/100 parole che scrivi in quanto il blog te le mozza per un problema tecnico.Controlla sempre se il tuo ultimo pensiero scritto è in realta completo o troncato, in definitiva fai sempre un reload ad ogni post che invii, ciao...
le risposte che hai dato sono tutte pertinenti e puntuali, ma vorrei che ad un certo punto Roberto Fiaschi cercasse di confutare Severino, hai qualche cosa da dire in proposito ? se si magari fai un cenno solo di assenso, poiché cercherei prima, con l'aiuto de Leretico e magari con il richiamo a Cartella di difenderla questa filosofia e magari solo dopo su un piano diverso, con maggiore consapevolezza da parte di tutti, di confutarla.
...sappia che non è possibile il farlo , poiché il farlo , cioè il confutarla, alimenterebbe solo il suo contenuto e servirebbe per mostrarla come qualcosa che ora può sembrare discorso implicito, ma che al dunque è verità.
Per ID29919: La concretezza del PDNC consiste nell’originaria unità degli opposti, non nel presupporli isolati l’uno rispetto all’altro, perché soltanto così il singolo noema può esser identico a sé e quindi diverso dal proprio altro. Ad esempio, se affermo “morte” astrattamente, ossia isolatamente, senza cioè porlo in unità dialettica con “vita” (= la cui unità è invece il concreto), non posso conoscere i confini o l'identità del significato “morte”, perché non essendo concretamente unito a non-morte (= vita), “morte” è un contraddirsi, ossia è un negarsi come identità che è opposta a vita, appunto perché non essendo diverso da quell’altro da sé che è “vita”, non sarà nemmeno identico a sé.
DRU, se ho capito bene, mi chiedi di confutare la filosofia severiniana? In breve, consistendo, questa, nel rilevamento dell’identità con sé dell’essente e nel suo esser diverso (= altro) dal proprio altro, e quindi nell’eternità dell’essente (giacché pensare che esso sia stato e torni nulla o sia stato e torni ad esser altro da sé, significa pensare la non-identità con sé dell’essente e la non-diversità dell’altro da sé, ossia significa ritenere reale l’assurdo, il triangolo quadrato), allora ogni e qualsiasi confutazione è impossibile in quanto autoconfutatoria; ogni negazione di quanto appena accennato presuppone ciò che vorrebbe negare (= presuppone cioè che la negazione sia identica a sé e diversa dal proprio altro), quindi ogni negazione della struttura originaria severiniana nega se stessa…
Caro Roberto, lei fa questa affermazione "Certamente “essere” e “coscienza” sono significati distinti, ma il secondo appartiene o è incluso nell’orizzonte del primo, poiché se l’essere denota tutto ciò che non è un nulla, allora anche la coscienza...". Io non contesto questo fatto, cioè che la coscienza appartenga all'essere, ma faccio conseguire alla sua distinzione dall'essere delle considerazioni fondamentali. La sua risposta quindi devia dalla questione che io pongo semplicemente perché mi parla di conseguenze che non derivano dalla "distinzione" tra essere e coscienza ma dalla identità tra essere e coscienza. Tale identità però ha bisogno di dimostrazione che viene negata proprio dalla "distinzione" di cui lei mi parla, e che io raccolgo di buon grado. Aggiungerei anche un altro fatto a questo punto fondamentale: seguendo il concetto severiniano di apparire, dovrei affermare che la
Perché Leretico si sta avvicinando, direi fuochino, ma la risposta di Roberto sarà indefettibile, spero che arrivi al più presto in modo da fare un ulteriore passo avanti.
coscienza in un certo momento entra nella sfera dell'apparire, ma essa esiste da sempre. Peccato però che determina i suoi effetti, cioè la comprensione dell'essere, solo dal momento in cui appare, mentre quando è nel non-apparire non li dispiega. Cioè non è in grado di dare un nome all'essere, di definirlo. Ma l'essere è da sempre, non solo non ha bisogno che compaia una coscienza che voglia (con la violenza) definirlo, ma non corrisponde certo a tale definizione, o meglio non del tutto. Quando poi faccio l'esempio della terra è logico che mi riferisco alla terra che conosciamo ma non affermo di sapere che la terra corrisponde esattamente al concetto con cui la conosciamo. Intendo invece proprio dire che quel concetto esiste solo perché è la coscienza dell'uomo che lo ha determinato. Se non ci fosse più un uomo sulla faccia della terra non esisterebbe più il concetto di terra anche se l'essere continuerebbe
a esistere per quello che è. Insomma proprio quel concetto di terra che lei dice che appartiene all'essere, esso sì vi appartiene ma esiste come creazione della coscienza, prodotto attraverso la forgiatura del PDNC e non solo, per dare un senso alla realtà. Anche sulla parola "immediatezza" lei non vuole cogliere l'aspetto contraddittorio che essa include. Non ho affermato che come parola non sia un essente, dico che essendo una parola è uno strumento posto dalla coscienza che sta per qualcosa d'altro. Questo stare per qualcosa d'altro significa che non può essere l'immediatezza il suo significato appunto perché la parola è sempre una mediazione.
Quindi, e cerco di concludere, lei rispondendo come ha fatto, elude la questione a cui vorrei invece riportarla. Se l'essere così come lo definiamo è una costruzione della coscienza, tale costruzione non coincide con ciò che l'essere è. Molti sono stati i tentativi nella storia della filosofia di conciliare questi elementi, tra i quali anche la definizione di identità di Severino. Ma la questione rimane se crediamo o no che la distinzione tra essere e coscienza esiste e trarne il giusto segno.
“La sua risposta quindi devia dalla questione che io pongo semplicemente perché mi parla di conseguenze che non derivano dalla "distinzione" tra essere e coscienza ma dalla identità tra essere e coscienza" ______ Mi spiego meglio. Allorché mi parla di “identità tra essere e coscienza”, temo che lei intenda con “essere” qualcosa di diverso da quanto dico, cioè come un qualcosa che sia DIVERSO o AL DI FUORI dalla coscienza. Ma come avevo già accennato, con “essere” intendo significare tutto ciò che non è un nulla. Pertanto le chiedo: la coscienza è forse un nulla? Oppure è un “ciò”, un essente, un non-nulla? Bene, se sì, allora la coscienza è essere, come lo è un tavolo ed una nuvola. Un “essere” come mi pare sia inteso da lei non lo conosco, non so cosa sia… Pertanto, la dimostrazione che mi chiede è
“Aggiungerei anche un altro fatto a questo punto fondamentale: seguendo il concetto severiniano di apparire, dovrei affermare che la coscienza in un certo momento entra nella sfera dell'apparire, ma essa esiste da sempre. Peccato però che determina i suoi effetti, cioè la comprensione dell'essere, solo dal momento in cui appare, mentre quando è nel non-apparire non li dispiega. Cioè non è in grado di dare un nome all'essere, di definirlo. Ma l'essere è da sempre, non solo non ha bisogno che compaia una coscienza che voglia (con la violenza) definirlo ..." La coscienza è coscienza di ciò che appare, non determina nulla, se con “determina” si intende “crea”. Non solo, ma la coscienza è lo stesso apparire. La coscienza (= o apparire), non è un prodotto “mio”, “tuo”, “suo” o di un “dio”, ma è ciò che da sempre illumina tutto
La coscienza è coscienza di ciò che appare, non determina nulla, se con “determina” si intende “crea”. Non solo, ma la coscienza è lo stesso apparire. La coscienza (= o apparire), non è un prodotto “mio”, “tuo”, “suo” o di un “dio”, ma è ciò che da sempre illumina tutto ciò che si mostra in essa. “io”, Roberto, sono una delle tante determinazioni empiriche che vi appaiono al suo interno, e come già dicevano i neoplatonici, non sono “io” che ho una coscienza, bensì è la coscienza che ha me, ossia io appaio in essa, non essa in me come mio prodotto bio-chimico.
“Quando poi faccio l'esempio della terra è logico che mi riferisco alla terra che conosciamo ma non affermo di sapere che la terra corrisponde esattamente al concetto con cui la conosciamo. Intendo invece proprio dire che quel concetto esiste solo perché è la coscienza dell'uomo che lo ha determinato. Se non ci fosse più un uomo sulla faccia della terra non esisterebbe più il concetto di terra anche se l'essere continuerebbe a esistere per quello che è”. Ma per determinare il significato di “terra”, questa deve apparire, mostrarsi come ciò a cui conviene quel significato. Dunque “la faccia della terra” appare, così come appare “uomo”, “coscienza dell’uomo”, “determinare”, “concetto di terra”, etc. Chiamando in causa questi significati che dovrebbero concorrere alla creazione mentale del PDNC, questo è in realtà già
questo è in realtà già presente ed operante, altrimenti non ci sarebbe né l’uomo né la terra né alcunché. E poi nella persuasione che l’uomo avrebbe potuto non esserci, fa capolino la concezione nichilista che un essente possa non essere. E’ questo che va argomentato.
“Insomma proprio quel concetto di terra che lei dice che appartiene all'essere, esso sì vi appartiene ma esiste come creazione della coscienza, prodotto attraverso la forgiatura del PDNC e non solo, per dare un senso alla realtà”. ------------Devo ribadire che affermare che il PDNC sia una “creazione della coscienza” è affermazione autocontraddittoria, perché la coscienza che dovrebbe crearlo è appunto la coscienza e non uno scaldabagno, cioè è identica a sé e diversa da tutto ciò che non è coscienza.
Non solo, ma poiché affermando che il PDNC è creazione della coscienza e con questo si crede di squalificarlo, allora faccio notare che anche questa sua critica che vorrebbe relativizzare il detto principio è a sua volta una creazione della coscienza (= assumendo il suo punto di vista, è chiaro), pertanto la sua critica non può avere un valore maggiore o più veridico del PDNC, stante gli stessi presupposti.
“Anche sulla parola "immediatezza" lei non vuole cogliere l'aspetto contraddittorio che essa include. Non ho affermato che come parola non sia un essente, dico che essendo una parola è uno strumento posto dalla coscienza che sta per qualcosa d'altro”. ----------Allora, poiché la parola è un essente come lei riconosce, e poiché io ho affermato l’immediatezza dell’essere, non di X o Y, l’essere è un immediato perché qualcosa appare, fosse anche una sola parola, quindi qualsiasi “cosa” appaia, appare l’essere, appare cioè un non-nulla, e la negazione di tale immediatezza è, daccapo, autocontraddittoria, giacché almeno tale negazione deve apparire immediatamente.
La filosofia di Hegel è la critica più potente rivolta dall'episteme al pensiero isolante ( ndr.in questo momento il tuo Leretico); ma proprio là dove lo "speculativo o positivo razionale" intende realizzarsi (ndr. il nostro insieme come momento dialettico) come risultato positivo del divenire (ndr. L'altro del qualche-cosa), cioè come la negazione più radicale dell'isolamento (ndr. Come affermazione della loro identità quindi, del qualche-cosa e dell'altro del qualche-cosa, della coscienza e del suo essere e non essere il non-essere), proprio là il pensiero di Hegel(ndr. Leretico) è radicalmente dominato dall'isolamento ( ndr. astratto dell'astratto, ma a tal punto che è l'altro dell'altro che non è sé e quindi contraddizione) che separa il risultato del divenire dal qualcosa (ndr. Separa l'essere dalla coscienza), che diviene altro, e che nasconde l'identità impossibile del,qualcosa è del suo
...del qualcosa e del suo altro. Pag. 55 ed. Adelphi.
Badi altresì che io non ho affermato che, stando a Firenze, Roma mi appare immediatamente. In questo caso la concretezza di Roma appare sì mediatamente, sebbene il suo concetto (= significato) sia un immediato. Ho invece detto che ad apparire immediatamente è l’essere, giacché non appare il nulla, bensì appare sempre “qualcosa”, e tale qualcosa, fosse anche la parola che media per qualcos’altro, come già detto, è essere, cioè è un essente, pertanto che l’essere sia un immediato è immediatamente innegabile.
"Quindi, e cerco di concludere, lei rispondendo come ha fatto, elude la questione a cui vorrei invece riportarla". ------No, mi perdoni, io non ho eluso alcunché. Le ho argomentato come sia impossibile che l’essere (nella mia accezione) sia un costruzione della coscienza, e le ho mostrato come ritenere ciò sia autocontraddittorio. A lei quindi l’onere di confutare quanto ho scritto. Oltretutto, non mi ha dato una definizione di “essere”, la quale però non coincide comunque con la mia. E’ qui allora che dobbiamo intenderci, altrimenti parliamo di significati diversi. Nella mia accezione, è impossibile che sussista alterità ontologica tra essere e coscienza, giacché questa non è un nulla, bensì è un essente, cioè è essere. Le chiedo gentilmente di discutere questo tenendo conto del significato che ho conferito al concetto di “essere”.
La critica più radicale che Episteme faccia (=metafisica) al pensiero isolante non riesce a cogliere la contraddizione autentica di quel pensare, ma vede solo il suo guscio, questa critica si inscrive ancora in terra isolata e in ragione alienante e non riesce a cogliere la contraddizione autentica poiché ritiene il divenire come l'ente che prima di incominciare ad essere e dopo essersi annientato è nulla l'ente è nulla e quindi pone il qualcosa insieme come identificazione dell'altro da sé e come diversificazione dell'esser qualcosa dall'altro da sé, infine così facendo isola e non isola l'ente dal nulla. Non lo isola perché per affermare il divenire deve pensare l'ente come divenuto nulla, il diventare altro da sé, quindi la nullità dell'ente, la relazione appunto, tra ente e nulla. Ma insieme lo isola l'ente dal nulla perché solo attraverso questa astrazione l'identità dell'ente e del nulla
rimane nascosta e il concetto del non essere ancora e del non essere più, da parte dell'ente, non si presenta come ciò che esso è, ossia come la forma più radicale della contraddizione e dunque del l'impossibile e del necessariamente non esistente-la forma più radicale dell'alienazione della verità.
Desideravo considerare quest’ ultimo aspetto di ciò che ha scritto LERETICO. Egli afferma: “Ma la questione rimane se crediamo o no che la distinzione tra essere e coscienza esiste e trarne il giusto segno”. Come già accennato più volte sopra, la “distinzione” c’è, ovviamente, ma questo non implica nessuna alterità ontologica. L’alterità dall’essere è SOLTANTO il nulla, il non-essere, NON la coscienza. Ogni essente (= ogni significante) è distinto dall’altro, ma tutti sono ricompresi all’interno dell’orizzonte intrascendibile cui consiste l’essere, infatti SIA la coscienza CHE ciò di cui essa è cosciente hanno questo in comune, di esser appunto degli essenti (= essere), dei non-nulla, pertanto è chiarissimo che non vi può essere alcuna estraneità né alterità tra essere e coscienza, giacché il primo
giacché il primo termine è ciò che accomuna ogni e qualsiasi essente, inclusa la coscienza, ovviamente.
Grazie per questa disputa arricchente. Innanzi tutto vorrei scusarmi della mia mancanza di termini tecnici, dovuto alle mie carenze che già ho spiegato. Cerco comunque di argomentare il mio pensiero: la coscienza fa parte dell'essere cioè è inclusa in esso ma, come lei ha scritto è distinta. Ora essere parte dell'essere non significa che ci sia identità perfetta tra essere e coscienza. Inoltre non significa che essere e "essere pensato dalla coscienza" siano la stessa cosa. Ripeto il fatto di appartenere all'essere non implica che la coscienza sia l'essere. Insomma la coscienza pensa l'essere e pur facendo parte dell'essere il concetto che determina non è l'essere per come l'essere è: ciò che pensa è un essente che fa parte anch'esso dell'essere, ma riesce ad essere solo una sua ulteriore determinazione non identica all'essere.
Anche la parola identità meriterebbe un'approfondimento, non qui e adesso però. Basti dire che è un termine che è stato inventato per superare il concetto di differenza e che invece non lo supera perché in esso, nel concetto di identità, è presupposto il concetto di due essenti che si vuol dire identici ma che rimangono due e per questo diversi proprio per il fatto di essere due e non uno.
Il problema si pone per il fatto che si afferma che la coscienza esiste da sempre (intendo con la sua capacità di illuminare il tutto). Essa sarebbe in grado di elaborare un pensiero su sé stessa e sull'essere che la contiene da sempre. In questo modo si nega l'evoluzione della coscienza stessa e si dice che tutte le conquiste del pensiero sono sempre esistite. Anche quelle che ancora devono apparire già esistono. Questa concezione sembra come quel locatore che acquisisce le migliorie che vengono apportate al suo bene dal locatario, affermando che sono sempre appartenute al suo bene anche in passato: esse sono solo apparse in un certo momento ma c'erano da sempre quindi sono sue già da prima e non le deve scontare dal prezzo della locazione. Mentre invece nella storia dell'universo la coscienza appare quando certe condizioni contemporaneamente vengono a verificarsi. Cioè quando la coscienza appare a se stessa, non prima.
Lei afferma: "Ma per determinare il significato di “terra”, questa deve apparire, mostrarsi come ciò a cui conviene quel significato." Appunto. Se la coscienza non è ancora apparsa non appare nemmeno il significato di "terra". In questo senso la coscienza pone il significato che le conviene, che vuole. Ma se è così allora non c'è coincidenza tra ciò che appare e ciò che in realtà è, perché ciò che appare è posto dalla coscienza che illumina questo essente. Rimanendo nella metafora dell'apparire, è come se la luce della coscienza che illumina l'essente avesse anche la forza di deformarlo cioé come se la luce riflessa dall'essente ritornando alla coscienza ne desse un'immagine deformata, non corrispondente esattamente a ciò che l'essente è.
Un'altra cosa su cui non concordo è che la coscienza non sia mia. Ho fatto l'esempio della terra senza l'uomo per dire che senza la coscienza dell'uomo (o senza la mia se preferisce) non si illuminerebbe/determinerebbe l'essente/parola che la coscienza ha chiamato "terra". L'essere esisterebbe comunque e la determinazione/essente che la coscienza ha chiamato "terra", e che per lei significa "terra", non essendoci la coscienza appunto, non apparirebbe, rimarrebbe nel non-apparire. Mi perdoni, insisto non perché voglio in modo arrogante ignorare le sue argomentazioni, ma perché il punto importante per me è qui. Lei dice: la coscienza da sempre illumina tutto, io dico non è vero, non da sempre. Solo da quando essa appare a se stessa, non prima.
Voglio ancora precisare che il PDNC è lo strumento che la coscienza usa per determinare/illuminare, dare senso alle parole, esso divide e permette di definire il mondo attraverso il linguaggio, attraverso la logica. Ancora una volta il PDNC è un essente non è un nulla però appare solo quando appare la coscienza che lo pone e lo usa. Senza la coscienza esso non apparirebbe ecc. e quindi non è vero che è "già presente e operante" come afferma lei, non appare e non è operante fino a che la coscienza non è apparsa a se stessa. Da quanto sopra è chiaro che anche se un qualcosa appare, questo qualcosa non è immediatamente, ma è un qualcosa mediato dalla coscienza. Negare questa immediatezza non significa negare l'essere perché esso, come poco sopra ho affermato, non appare, con la coscienza e nella coscienza, l'essere per come è.
Quando poi dice che "ad apparire immediatamente è l’essere, giacché non appare il nulla, bensì appare sempre “qualcosa”, e tale qualcosa, fosse anche la parola che media per qualcos’altro, come già detto, è essere, cioè è un essente" devo contestare l'identità tra essente che appare e l'essere, per le argomentazioni che ho sopra evidenziato. L'essente che appare è funzione della coscienza, è illuminato dalla luce deformante della coscienza, non corrisponde esattamente all'essere.Quindi mi scusi se l'ho accusata di eludere la domanda, è solo che il puntum è questo e non tutte le sue derivazioni. Se quanto detto è vero allora è la coscienza che pone l'essere, che illumina l'essere ma, dato che la coscienza non è esattamente l'essere, il suo illuminare non restituisce il vero essere, solo determinazioni. Porre l'essere significa pensarlo. Il contenuto del
del pensiero non è l'essere, o meglio non è esattamente l'essere.
ma lascio volentieri la disputa a Roberto e Leretico punti su punti... dice Leretico ad un certo punto e in un certo passaggio "Mi perdoni, insisto non perché voglio in modo arrogante ignorare le sue argomentazioni, ma perché il punto importante per me è qui. Lei dice: la coscienza da sempre illumina tutto, io dico non è vero, non da sempre. Solo da quando essa appare a se stessa, non prima.". Questo passaggio è determinante per capire la posizione nichilista attuale ( che spero di modificare) di Leretico e la posizione di Verità di Roberto. detto in parole povere Leretico si dà del mortale mentre Roberto no.Ma faccio riflettere solo da un punto di vista della fisica moderna, è proprio vero che la coscienxza come ogni essere ha un tempo finito? o non è invece vero, oltre un'evidenza mortale che non v'è un inizio e non v'è una fine ma v'è un apparire come inizio e v'è un apparire come fine ? i
i corpi tutti non hanno un tempo dice la fisica moderna ed Einstein, che non era proprio uno sprovveduto e contro l'evidenza del suo tempo e quella di oggi che inquina profondamente il nostro pensare anche filosofico ha definito un tempo proprio che non coincide per tutti : questo non potrebbe essere un parallelo con l'apparire di Severino? faccio riflettere Roberto: ad una velocità prossima alla luce il tempo si ferma, eternità per chi lo ferma il tempo, ma eternità anche se il tempo non lo fermi (quindi discorso che da esplicito si fa implicito), ma che se non lo fermi non ti appare (appunto implicito), ma che se non ti appare non significa che non esista (appunto verità), che in soldoni ridurrei così, anche il mondo empirico esiste da sempre ( dice così Severino) nell'apparire e anche la morte,che è un eterno come tutti gli eterni, come la "nascita", come l'"angoscia", come il "libero arbitrio" o la "libertà" dell'uomo;
quello che noi vediamo dell'apparire o siamo , caro Leretico non lo dovresti confondere con le evidenze, cioè non dovresti confondere "empirico" con “verità" due termini che sono infinitamente diversi nell'identità di essere se stessi e non il loro altro. Riflettiamo assieme su questo punto che, giustamente secondo me Leretico dice essere per lui il punto importante, riflettiamo e andiamo a fondo su questo.
di esplicare a Leretico che la "necessità" o "destino della necessità" non significa in Severino la fine del libero arbitrio degli uomini sulle cose...
dovevo essere più preciso..." di esplicare a Leretico che la "necessità" o "destino della necessità" non significa in Verità la fine del libero arbitrio degli uomini sulle cose...
quando Leretico parla di perfetta coincidenza e parte, di esplicargli il termine del noema e della predicazione anche tecnicamente, perché, secondo me, lui ancora non ha chiaro questo concetto dell'"astratto dell'astratto" e del "concreto", e il permanente o permanere, che lui chiama come identità o coincidenza, gli sfugge, in quanto la parte esplicata da lui il modo nichilista, giustamente contraddice il tutto, è contraddizione del tutto,giustamente dal mito fin in Episteme che non si avvede della contraddizione autentica.
"Anche la parola identità meriterebbe un'approfondimento, non qui e adesso però. Basti dire che è un termine che è stato inventato per superare il concetto di differenza e che invece non lo supera perché in esso, nel concetto di identità, è presupposto il concetto di due essenti che si vuol dire identici ma che rimangono due e per questo diversi proprio per il fatto di essere due e non uno." assolutamente merita l'approfondimento , ma ti chiedo Leretico quel "essere due" è un due o è un uno ? ecco il permanere o permanente che però il tuo sistema nichilista rifiuta partendo dall'astratto dell'astratto.Se ragioni in Verità non c'è contraddizione che tenga se ragioni in nichilismo la contraddizione esplode con tutta la sua violenza, e l'identità può solo diventare sintesi dei diversi ( contraddizione appunto): come dici giustamente tu, ma come infine da nichilista non concepisci.
Leretico"Senza la coscienza esso (PDNC) non apparirebbe ecc. e quindi non è vero che è "già presente e operante" come afferma lei, non appare e non è operante fino a che la coscienza non è apparsa a se stessa." Roberto " è impossibile che sussista alterità ontologica tra essere e coscienza, giacché questa non è un nulla, bensì è un essente, cioè è essere. Le chiedo gentilmente di discutere questo tenendo conto del significato che ho conferito al concetto di “essere”. in sintesi , a Leretico, essere come permanente, come orizzonte, come ciò che non può essere identico solo al suo altro il "nihil absolutum" ( che è qui posto contraddittoriamente) che respinge con tutto il proprio essere appunto come esistere, la sua essenza.
tu poni il prima, il dopo e il durante nichilisticamente, e ponendolo non ti liberi tu della contraddizione che il porlo porta in grembo, io ti ho suggerito la strada scientifica poiché ti può aiutare, nelle sue dimostrazioni, a intuire ma quella strada non è così potente come quella filosofica, che non solo ti aiuta a comprendere ma ti mostra il già da sempre compreso.
questo che all'apparenza sembra un discorso sciocco in merito alla teoresi complessa e completa di Severino all'apparire può aiutarti: in youtube a=b prima e a b poi, Emanuele Severino.sono più felice se Roberto resetta tutte le mie considerazioni e risponde solo a Leretico in quanto diventerebbe altrimenti complesso il dialogo...
Caro LERETICO, temo di non spiegarmi bene. L’essere (= attendo ancora una sua connotazione del termine) non è una COSA qualsiasi che si possa opporre o mettere accanto alla coscienza o ad una stella. Come detto ormai molte volte, è il trascendentale la cui concretezza è costituita dagli essenti, tra i quali vi è la coscienza. Ammesso ciò, come lei ammette, NON può pertanto opporli come quando scrive “il fatto di appartenere all'essere non implica che la coscienza sia l'essere”. Se si è capito il significato di “essere” da me inteso, allora si sarà capito che l’essere è ANCHE la coscienza, è IDENTICO alla coscienza pur distinguendosi quanto a significato ma NON in senso ontologico, giacché non è qualcosa al di fuori dell’essere, ma è PARTE dell’essere, come lo è una stella o un atomo, ed essendone parte, è cioè essere a pieno
è cioè essere a pieno titolo, essendo l’essere tutto ciò che non è un nulla. Se vuole porre una opposizione, la dovrà porre all’interno dell’essere, cioè potrà opporre la coscienza ad una stella o ad un atomo, MA NON ALL’ESSERE; QUESTO LO PUÒ OPPORRE SOLTANTO AL NON-ESSERE, AL NULLA. Potrei ipotizzare che il suo concetto di essere sia quello heideggeriano, ma se così, temo di doverle dire che è un concetto insostenibile, giacché la presunta differenza ontologica tra “essere” ed “ente” non può sussistere, proprio per la ragione che vado cercando di mostrarle, giacché “essere” ed “ente” hanno questo in comune che li unifica, cioè il fatto di non essere dei nulla. Così, la presunta differenza ontologica non può costituirsi.
“Anche la parola identità meriterebbe un'approfondimento, non qui e adesso però. Basti dire che è un termine che è stato inventato per superare il concetto di differenza e che invece non lo supera perché in esso, nel concetto di identità, è presupposto il concetto di due essenti che si vuol dire identici ma che rimangono due e per questo diversi proprio per il fatto di essere due e non uno”.Infatti questo aspetto in Severino (ed in Hegel) è del tutto esplicito e denunziato (e RISOLTO), giacché è proprio un carattere tipico del nichilismo, ossia quello secondo cui _ uso le sue parole _ “nel concetto di identità, è presupposto il concetto di due essenti che si vuol dire identici ma che rimangono due e per questo diversi proprio per il fatto di essere due e non uno”. Per la risoluzione di ciò, rimandiamo a data da lei preferita.
“Il problema si pone per il fatto che si afferma che la coscienza esiste da sempre (intendo con la sua capacità di illuminare il tutto). Essa sarebbe in grado di elaborare un pensiero su sé stessa e sull'essere che la contiene da sempre. In questo modo si nega l'evoluzione della coscienza stessa e si dice che tutte le conquiste del pensiero sono sempre esistite”.Come detto nel mio primo intervento, il pensiero severiniano mette TUTTO in discussione _ la filosofia, le scienze, la matematica, la logica, la fede, le religioni, la storia, l’antropologia, il senso comune, quindi anche la fede nella cosiddetta “evoluzione della coscienza”, giacché di fede si tratta, seppur creduta supportata da “evidenze” empiriche.
Scusi, tento di mostrarle ora la contraddittorietà di questa sua obiezione: “la coscienza pone il significato che le conviene, che vuole”. Innanzitutto, se così fosse, tale obiezione le si rivolta contro, perché sarebbe anch’essa frutto della sua coscienza che “pone il significato che le conviene, che vuole”, e come tale non può aver più valore di ciò a cui obietta; entrambe le affermazioni (= la mia e la sua) sarebbero (secondo le SUE premesse) significati posti come è convenuto porre alla coscienza. Ma il punto è un altro. (segue subito sotto).
Con la mia espressione “per determinare il significato di ‘terra’, questa deve apparire, mostrarsi come ciò a cui conviene quel significato", voglio farle notare che lei NON ha detto “Se la coscienza non è ancora apparsa non appare nemmeno il significato di Plutone” o di “monte Everest” o di “torre Eiffel”: NO, lei ha precisamente affermato “Se la coscienza non è ancora apparsa non appare nemmeno il significato di ‘terra’. Cosa intendo dire? Intendo dire che anche per lei “terra” è un significato preciso, determinato, con un referente altrettanto preciso, la terra appunto. ANCHE NELL’IPOTESI CHE LA COSCIENZA NON FOSSE ANCORA APPARSA, non per questo la terra cessa d’esser terra per divenire Plutone o il monte Everest. La terra è tale anche prima che appaia la coscienza, altrimenti non potrebbe asserire che PRIMA CHE LA COSCIENZA APPARISSE la terra era priva
La terra è tale anche prima che appaia la coscienza, altrimenti non potrebbe asserire che PRIMA CHE LA COSCIENZA APPARISSE la terra era priva di questo e di quell’altro.
Pertanto, cosa voglio evidenziare? Evidenzio che l’affermazione secondo cui il PDNC è una costruzione della coscienza, NON comporta CHE PRIMA DELL’APPARIRE DELLA COSCIENZA la terra non fosse la terra ma fosse la torre di Pisa, perché nella sua critica il PDNC è all’opera (= cioè lo presuppone già operante) sin dal momento stesso in cui lei sostiene che la coscienza una volta non c’era sulla terra, e che quindi il detto principio sarebbe una costruzione della coscienza.
In pratica, questa sua obiezione è autocontraddittoria, in quanto presuppone ciò che intende negare, col risultato che NON riesce a negare... Proseguiamo.
“Rimanendo nella metafora dell'apparire, è come se la luce della coscienza che illumina l'essente avesse anche la forza di deformarlo cioé come se la luce riflessa dall'essente ritornando alla coscienza ne desse un'immagine deformata, non corrispondente esattamente a ciò che l'essente è”.Ma per poter asserire che la coscienza dia una immagine “deformata” dell’essente, lei deve già aver chiaro (= le deve cioè apparire) come sia l’essente non-deformato, altrimenti come potrebbe concludere che l’essente “x” appare deformato? Questa sua considerazione è frutto del presupposto gnoseologistico kantiano, presupposto infondato però, perché anch’esso autocontraddittorio.
Inoltre, se come pensa lei, la coscienza “avesse anche la forza di deformare” l’essente, come potrebbe esser sicuro che QUESTA MEDESIMA SUA CONVINZIONE sulla realtà dell’essente deformato (= nel suo rapporto tra essere e coscienza) non sia a sua volta una convinzione DEFORMATA dalla coscienza e quindi falsa? Giacché ha sostenuto che detta coscienza possa deformare l’essente ... In base alle sue stesse premesse, sono autorizzato a concludere che _ se la coscienza può deformare l’essente _, allora quell’essente in cui consiste la sua stessa convinzione è un essente deformato (= una convinzione deformata, non veridica) dalla cosceinza…
Quando afferma “Lei dice: la coscienza da sempre illumina tutto, io dico non è vero, non da sempre. Solo da quando essa appare a se stessa, non prima”, pensa alla coscienza come un qualcosa che sia scaturita ad un certo punto nella testa di qualcuno. Tuttavia questa è una fede (mal)-fondata sul presupposto naturalistico secondo il quale io sono qui, ed il mondo è là. Ogni lontananza, ogni passato remoto ed ogni futuro appaiono all’interno della coscienza, la quale non è un prodotto “mio” o “tuo”; “io” sono il punto (empirico) grazie al quale la coscienza stabilisce ogni vicinanza ed ogni lontananza da sé. All’interno della coscienza, “io” (= empirico, Roberto), appaio insieme a tutto ciò che appare, le case, le strade, le epoche remote.
La convinzione che la coscienza sia “mia”, cioè che sia un prodotto del mio cervello, deriva SIA dall’inconsapevole sovrapposizione di certezza e verità, SIA dalla fede nichilistica che un essente sia il PRODOTTO (= ossia la creazione) di un DIVENIRE, cioè di un altro essente che lo produce (= nel caso in esame, del cervello). Se non si discutono questi aspetti, si rimane all’interno del senso comune e del nichilismo. RIDUZIONISMO. Parola chiave. Ridurre la coscienza agli elementi del cervello, significa riproporre un DIVENIRE al contrario.
Ma se nell’analisi severiniana del DIVENIRE come è inteso comunemente, questo mostra la sua impossibilità, allora anche il RIDUZIONISMO, in qualsiasi sua forma, è una forma impossibile di divenire. Ritenere che la coscienza sia il prodotto del cervello significa ritenere l’impossibile divenire altro da sé dell’essente. Questo bisognerebbe mettere in discussione. L’ontologia fonda tutto, ossia tutto poggia sulle fondamenta ontologiche: se queste sono traballanti, prima o poi crollerà tutto, anche se questo “tutto” ritiene di aver ottime dimostrazioni scientifiche.
Afferma che il PDNC “Senza la coscienza esso non apparirebbe ecc. e quindi non è vero che è ‘già presente e operante’ come afferma lei, non appare e non è operante fino a che la coscienza non è apparsa a se stessa”. Se un qualsiasi ente non è identico a sé e non è altro dal proprio altro da sé, non può costituirsi, neanche la coscienza, poiché anch’essa è un essente identico a sé ed altro dall’altro da sé. Forse non è ancora chiaro, ma il PDNC è la possibilità stessa dell’esistere. Se non si è identici a sé ed altro dal proprio altro, non si è ‘simpliciter’, si è nulla, punto. %
Un ‘triangolo-quadrato’ è contraddittorio, impossibile che esista perché il predicato nega il soggetto, lo toglie, ne rende impossibile l’esistenza, e viceversa. Questo è PDNC. Se lei sostiene che esso “non è operante fino a che la coscienza non è apparsa a se stessa”, sostiene che l’essente è contraddittorio, cioè che è impossibile, ma se così, allora questa sua osservazione ancora una volta nega se stessa, perché se l’essente è impossibile sarà impossibile ANCHE che la terra o chi per essa esista PRIMA che appaia la coscienza …
Dice: “devo contestare l'identità tra essente che appare e l'essere, per le argomentazioni che ho sopra evidenziato”. Ha infine aggiunto: “è la coscienza che pone l'essere, che illumina l'essere”. Temo di doverle ricordare che non mi ha ancora definito l’essere, o a cosa intende riferirsi con la parola “essere”. Senza di ciò, è difficile proseguire e capirsi. Io le ho più volte mostrato che l’essnte che appare è appunto l’essere DI CIÒ che appare, altrimenti non apparirebbe nulla. Inoltre, la coscienza NON PONE l’essere (= MA COSA SIGNIFICA “PONE” l’essere?), bensì LO MOSTRA. “Mostrare” significa “trasparenza”, come insegna Aristotele nel suo De Anima.
Nonostante Aristotele, lei però asserisce CONTRADDITTORIAMENTE (mi perdoni le maiuscole) che la coscienza “illumina l'essere ma, dato che la coscienza non è esattamente l'essere, il suo illuminare non restituisce il vero essere, solo determinazioni”, ossia afferma che la coscienza illumina e non “illumina ‘sub eodem’. Non solo, ma dà per scontato _ senza dimostrarlo _ che esista un “vero essere”. E da cosa lo deduce ? Chi glielo ha comunicato? Tale presunto “vero essere” è soltanto l’essere che si mostra negli essenti, nelle determinazioni, giacché queste non sono nulla, sono appunto essenti, participio presente del verbo ESSERE.
Pertanto le chiedo: dov'è e cos’è questo “vero essere”? Me ne offra gentilmente una fondazione incontrovertibile, oltre che l’attesa sua definizione dello stesso.
ripercorre con ulteriore lucidità quanto opponevo a Cartella nella mia interminabile disputa con lui.
Anche qui, la sua affermazione secondo la quale “Il contenuto del pensiero non è l'essere, o meglio non è esattamente l'essere”, attende d’esser CHIARITA. Se non è “esattamente l’essere”, CHE COS’È allora il contenuto del pensiero? S’è detto che all’infuori dell’essere vi è soltanto il NULLA, ossia NON VI È NULLA. Quindi, se l’essere (= gli essenti) non è il contenuto del pensiero, in base alle sue premesse, si dovrà necessariamente (quanto assurdamente) concludere che detto contenuto di pensiero sia soltanto il NULLA. Ma come vedrà ben da sé, tale conclusione è insostenibile perché si auto-nega, in quanto la sua stessa affermazione “Il contenuto del pensiero non è l'essere, o meglio non è esattamente l'essere” non è un nulla, appare, cioè è un essente, un non-nulla: ESSERE.
debbo però cominciare a dire che sono un poco invidioso di questo tet a tet fra Leretico e Roberto... scherzo :-) avanti che da questa spirale possiamo solo uscirne cresciuti.
Caro DRU, il tuo entusiasmo e la tua competenza mi piacciono moltissimo e mi contagiano positivamente, però penso di aver messo _ per ora _ abbastanza (troppa!!!) carne al fuoco. Per non sovraccaricare ulteriormente la discussione, lascerei ora la parola a voi tutti...
se descrivi (mostri) il "tutto" poi lasci senza parole chi "deve" contrapporsi a questo. in questo la misura Aristotelica "il giusto mezzo" ha da dire la sua... ;-)
Sì, hai ragione :-)
sta nel tuo dire " per non sovraccaricare troppo la discussione, lascerei la parola a voi tutti...Hegel avrebbe detto "per sovraccaricare la discussione lascio a voi la parola" Kant invece " benché abbia sovraccaricato la discussione lascio la parola a voi", mentre Severino non avrebbe detto nulla e avrebbe lasciato il posto al dire della Verità " la discussione non è la parola che lascio a voi o che non lascio a voi"... :-)
Veramente i temi sono tanti e io non ho le armi adatte. Mi trovo in mano un coltello spuntato e cerco di combattere contro sciabole affilatissime. Premetto allora che scegliero solo alcuni punti, e non me ne voglia Roberto, per giustificare la mia posizione. Premetto anche che nonostante la parola nichilismo e nichilista sia usato quasi come sinonimo di cieco, ossia di chi non vede o non sa vedere la verità, propendo per la posizione di chi dubita. È un fatto che mi è naturale come quello di avere una coscienza. Per quanto riguarda la definizione di essere, mi sembra molto chiara dalle mie parole, ma forse non mi so spiegare. So però che dire essente (participio presente del verbi essere) significa dire che l'essere che è in esso continua ad essere. Ma mio caro Roberto, in tutti i suoi interventi lei fa un'equiparazione tra essere degli essenti (io, pdnc, torre di pisa e terra) e essere perché presuppone proprio quello che per me è da
mettere in discussione. Lei usa i termini del linguaggio, dell'ontologia, della logica che sono nichilistici per definizione proprio perché la presuppongono. Il linguaggio che lei usa qui è costretto a usare le forme che indicano che l'essere è il nulla proprio per dire il contrario. A me sembra che ci vorrebbe un po' di prudenza allora a dire cosa è l'essere, visto che ho affermato che la coscienza ne pone uno suo senza essere sicura che esso sia il vero essere. Quindi, su questa base e posizione, non sono contraddittorio. Ho voluto usare, maldestramente, alcuni termini a lei cari per cercare di fare intuire alcune posizioni traballanti, che per lei saranno invece saldissime come le sue maiuscole. Quando poi ho usato il termine deformare ho voluto certo affermare che anche quello che ho pensato potrebbe non essere la verità. Insomma ho usato una metafora, forse sbagliata, per esprimere una incertezza che lei non ha.
In pratica, l'elemento discriminante è il tentativo di liberarsi della negazione dell'essere usando strumenti basati proprio su quella negazione. Allora il PDNC diventa un PDNC speciale, come la fenomenologia diventa una fenomenologia speciale e il linguaggio che è nichilista per antonomasia diventa qualcosa che dovrebbe dire ciò che non si riesce a dire. Dove sta la questione? Se le determinazioni sono separate e isolate o sono essere. Se prenderle singolarmente significa che tutto l'essere è coinvolto o no. Siccome dire che l'essente è e non è altro da sé significa cercare di superare la negazione dell'essere che si erge con la stessa forza della sua affermazione, il dirlo è utilizzare il linguaggio che invece per il suo fondo nichilista non lo può dire. Allora bisogna porre il principio dell'apparire in cui anche il tornare nel nulla degli essenti appare e dovrebbe essere vero e invece non lo è. Ma perché
Che suona retorica, in quanto le sciabole di Roberto hanno a che fare con i cannoni di Leretico, il suo seguito è veramente alternativo a molte confutazioni che ho letto e sarei in difficoltà a rispondere, cosa che lascio volentieri a Roberto. Tranne che per quel "dubbio" posto come contrapposto a "verità",e sta proprio qui, Leretico, il problema o nodo che devi sciogliere: il "dubbio è verità" è la verità che dice del "dubbio" come eterno. Quindi se sei "Severiniano" e non "nichilista" puoi dire e scrivere che "il dubbio è verità" in quanto i due significati non sono infinitamente opposti e sciolti nel loro essere diversi nella infinita loro astrazione, impossibile per "Severino" (=la verità) e invece possibile per il nichilista che non si avvede così della " contraddizione autentica" di questo dire.
accade ciò? Perché si usa il linguaggio che è strumento nichilista. Or dunque, se si procede con il ragionamento si arriva direttamente alle mie conclusioni, mentre le sue obiezioni, molte e circostanziate, cadono proprio per quanto appena detto. Se io fossi convinto che la struttura originaria funziona e si regge come lei invece crede, non sarei arrivato a derivazioni così diverse dalle sue. L'esempio del mondo senza uomo è importante per capire la mia posizione mentre lei non risponde, o meglio pensa di averlo fatto ma in realtà elude. Quando lei dice: " ANCHE NELL’IPOTESI CHE LA COSCIENZA NON FOSSE ANCORA APPARSA, non per questo la terra cessa d’esser terra per divenire Plutone o il monte Everest", chiama terra qualcosa che invece non si potrebbe chiamare terra proprio perché non ci sarebbe la coscienza che la nomina. E siccome non appare non so nemmeno se c'è e come è. Lei invece è sicurissimo che
...é che, se il "dubbio è verità" scritto da nichilismo, allora il soggetto e il predicato, essendo infinitamente opposti l'uno dall'altro, come che il soggetto(=dubbio)possa divenire l'altro ( il predicato) senza passare dal nulla (=contraddizione autentica) ? Il divenire altro, che è della "verità" il risultato del "dubbio", risulta al dunque impossibile, contraddittorio appunto. Severino al dunque invece ci dice che la verità e l'apparire dell'esser sé dell'essente ["dubbio"(=differenza)e "verità"(=differenza) e "apparire"(=identità)], e del suo non esser l'altro(identità delle differenze) cioè del non esser l'apparire del non-esser sé dell'essente ( che sarebbe appunto contraddittorio poiché il non-esser sé dell'essente è il nulla come assolutamente negativo che non può essere posto che come qui positivo e quindi auto contraddittorio) e del suo non esser l'altro ( e
che ci sia perché dice che se c'è dopo l'apparire della coscienza ci doveva essere anche prima. Io non nego che prima la terra ci sia ma nego che prima dell'apparire della coscienza si può essere sicuri che la determinazione "terra" sia esistita. Questo nega quindi che ci sia identità precisa tra essere prima dell'apparire e dopo. Se pensa di confutare questa cosa dicendo che così si arriva a dire che l'essere è nulla rispondo che questo è il risultato dell'illusione di usare il linguaggio per cercare di dire quello che non si può dire.
quindi sintesi impossibile) ma devo però correggere le ultime parole del post precedente nell'ultima riga scritta...) e del suo esser l'altro ( quindi sintesi impossibile).
I concetti chiave sono quelli di identità e di immediatezza. Ma per le mie opinioni su questi ci rimando a quanto detto e comunque a domani.
..., lo avrei prima o poi puntualizzato anche a Roberto, è usato, in verità, impropriamente, poiché esiste prima e dopo per le determinazioni che appaiono nell'orizzonte dell'apparire ( e queste vengono così testimoniate nel loro apparire e scomparire) ma queste determinazioni sono eterne e in quanto eterne non hanno un prima e un dopo: noi siamo dotati di libero arbitrio ed infatti possiamo voler la vedere la verità come negarla, cioè possiamo rivolgere il nostro sguardo verso l'orizzonte(=la verità o l'essere, la concreta verità, il concreto essere) o quell'orizzonte negarlo(l'astratto dell'astratto come suo contrario)
...buona notte Roberto.
...che tutti noi "non" siamo immersi nella casa della Verità, questo significa che vi siamo già da sempre immersi, ecco anche questo dice la filosofia che sta e che non si fa travolgere, questo Severino caro Leretico afferma e questo non significa interpretarla che per quello che è e non per quello che "vorremmo" che fosse: i significati, per come li espone Severino e li tiene uniti nel loro essere, significano di un mondoche viene testimoniato per come è"(=Severino) e per come "vorrebbe essere"(=nichilismo), due significati diversi ma che significano, come tutti gli essenti che appaiono, come "libertà" che dici non esistere in Severino, eccome che esiste, esistono tutti... veila così, come è in effetti, Severino non è qui per negare il mondo come lo vediamo, anzi, è qui per togliere ogni negazione che non può esistere, ogni significato con davanti "non esiste": "non esiste la casa", "non esiste Leretico","non
esiste la libertà","non esiste l'unicorno", non esiste l'olimpo", non esiste l'olompo", "non esiste l'olumpo" non esiste l'olempo", cioè non esiste ciò che esiste, ed esistendo esiste già da sempre, e apparendo, viene testimoniato e che non "diviene altro"questo è l'impossibile il divenir altro da sé, ma noi lo facciamo (pretenderemmo) in ogni contraddizione che esponiamo e che quindi appare con il nostro dire perché noi pretenderemmo scioccamente di dire che "non esiste la casa" e questa è verità ma nel senso che non appare la verità di quel dire, il suo contenuto, non nel senso che è diventata nulla la casa di
quel dire, quel nulla o quella non-casa che il nichilismo sintetizza con il niente assoluto (contraddizione) prima fenomenologica e poi logica, queste le due evidenze che si intrecciano, due evidenze, il logico e il fenomenologico, che si intrecciano in un discorso complesso e che trovi esaurientemente espresso in Struttura Originaria che, prima di leggere, consiglio di leggere altri più abbordabili ed essoterici testi.
Roberto sui punti esposti nuovamente da Leretico...
che erroneamente qualcuno dice essere argomento che non c'entra con il nostro dire ora, mi dai una tua spiegazione Roberto (e Leretico) del perché invece eccome che il titolo non potrebbe sussistere senza quello per cui stiamo dicendo ?
“Premetto anche che nonostante la parola nichilismo e nichilista sia usato quasi come sinonimo di cieco, ossia di chi non vede o non sa vedere la verità, propendo per la posizione di chi dubita”.No no LERETICO, lungi da me utilizzare “nichilista” come sinonimo di “cieco”: è semplicemente un termine “tecnico” per connotare la concezione ontologica _ appunto nichilista _ che caratterizza il pensiero occidentale di contro a quello severiniano, tutto qua, nessunissimo riferimento personale …
Lei si spiega molto bene, ma la sua definizione di “essere” continua a latitare. Dove l’ha formulata? Comunque, riguardo a “l’essere che è in esso”, cioè nell’essente; riemerge la concezione secondo la quale l’essere è IN qualcos’altro diverso da esso, cioè nell’essente. Ma l’essente è l’essere, non un qualcosa che abbia IN sé l’essere, altrimenti, qualora non l’avesse più o non l’abbia ancora, l’essente sarebbe nulla. Ma proseguiamo.
“Ma mio caro Roberto, in tutti i suoi interventi lei fa un'equiparazione tra essere degli essenti (io, pdnc, torre di pisa e terra) e essere perché presuppone proprio quello che per me è da mettere in discussione”.Scusi, ma se lei non spiega cosa intende con “essere”, come fa a dire che io presuppongo ciò che lei vorrebbe mettere in discussione? Se lei non mi mostra in cosa consista la DIFFERENZA (ontologica?) tra essere ed essenti, rischiamo solo di non capirci…
“Lei usa i termini del linguaggio, dell'ontologia, della logica che sono nichilistici per definizione proprio perché la presuppongono". Anche qui, mi mostrerebbe gentilmente IN CHE MODO “i termini del linguaggio, dell'ontologia, della logica che sono nichilistici per definizione” ?
“Il linguaggio che lei usa qui è costretto a usare le forme che indicano che l'essere è il nulla proprio per dire il contrario”. Il linguaggio che indica “che l’essere è il nulla” è proprio il linguaggio ontologico dell’Occidente, non quello che Severino mette in discussione; egli indica proprio in questa identificazione il cuore del nichilismo…
“A me sembra che ci vorrebbe un po' di prudenza allora a dire cosa è l'essere, visto che ho affermato che la coscienza ne pone uno suo senza essere sicura che esso sia il vero essere”. Lei può invitarmi ad esser prudente solo perché si è lasciato sfuggire il significato che avevo conferito al termine “essere”, infatti continua a dire che non sappiamo cosa sia il “vero essere”. Comunque, se non sappiamo cosa sia tale presunto “vero essere”, perché ne parla come se esistesse? Questo glielo avevo già domandato. Dove lo rintraccia, lei, tale “vero essere”? Non lo sa? Ma allora perché ne parla?
vedo che fai post corti, lo fai per evitare la legge del taglione qui, ma basta che tu scriva fino a quando ti rimangono più o meno 120 caratteri magari copiando le ultime due righe del testo che se la legge taglia tu incolli subito dopo... a proposito della tecnica, ciao.
Quanto al suo invito alla prudenza: mi mostri dove stia l’imprudenza. Se affermo che l’essere è tutto ciò che si mostra (dal momento che QUALCOSA si mostra anziché NULLA), DOV’è L’IMPRUDENZA ALLORA? Se qualcosa si mostra, e questo “qualcosa” non è il nulla, allora ciò vorrà dire che sarà un non-nulla, ossia sarà “essere”, o no?
Lo faccio soprattutto per rendere la lettura più sciolta ed agevole...
l'avevo già intuito e messo come seconda possibilità... ah questo intuito, altro grande significato da problematizzare... scusa se ti ho interrotto, buon proseguimento allora.
“Quando poi ho usato il termine deformare ho voluto certo affermare che anche quello che ho pensato potrebbe non essere la verità. Insomma ho usato una metafora, forse sbagliata, per esprimere una incertezza che lei non ha”. Non avere incertezza non è una colpa, perché nel nostro caso in discussione ciò è conseguenza di quel procedimento elenchico che Aristotele aveva mostrato esemplarmente. Se la negazione di un qualcosa implica il riutilizzo di quel qualcosa, cosicché il negatore si auto-contraddice, beh, non è colpa della volontà di aver certezze; l’incertezza pertiene a tutto ciò che è negabile. Se lei affermasse che un triangolo non può esser quadrato, come la considererebbe la mia affermazione che così affermando lei non mostra di avere incertezze?
“Allora il PDNC diventa un PDNC speciale, come la fenomenologia diventa una fenomenologia speciale e il linguaggio che è nichilista per antonomasia diventa qualcosa che dovrebbe dire ciò che non si riesce a dire”. Il linguaggio è nichilista certamente, ma NON per “antonomasia”, ma solo perché ci è noto nella sua connotazione nichilista, ossia perché identifica i non-identici. Il dire della struttura originaria è il rilevamento di ciò, pertanto conduce al di fuori del nichilismo cui consiste il linguaggio dell’Occidente.
“In pratica, l'elemento discriminante è il tentativo di liberarsi della negazione dell'essere usando strumenti basati proprio su quella negazione”.Ci si libera dalla negazione dell’essere perché questo è l’orizzonte intrascendibile, oltre il quale vi è solo il nulla, cioè NON vi è nulla. Stante la definizione di “essere” offerta nei precedenti post, è chiaro che la negazione dell’essere ne sarà una sua riaffermazione. Questo perché l’innegabile non si lascia negare. Se lei però conosce altri “strumenti”, provi ad utilizzarli. Li renda noti a tutti…
“Dove sta la questione? Se le determinazioni sono separate e isolate o sono essere. Se prenderle singolarmente significa che tutto l'essere è coinvolto o no”. Le determinazioni sono separate soltanto all’interno della concezione nichilista, certamente. Quanto al fatto che siano essere, beh, secondo lei esse sono forse un nulla? Ha scritto infatti “Se le determinazioni sono separate e isolate o sono essere”, non ha scritto “Se IL NULLA è separato e isolato o è essere”… Dunque, poiché le determinazioni non sono il nulla, esse sono essere.
“Siccome dire che l'essente è e non è altro da sé significa cercare di superare la negazione dell'essere che si erge con la stessa forza della sua affermazione, il dirlo è utilizzare il linguaggio che invece per il suo fondo nichilista non lo può dire”. No: dire che “che l'essente è e non è altro da sé” significa esplicitare quel minimo secondo il quale un essente non è un nulla. Per non essere un nulla, un essente dev’essere incontraddittorio, ossia identico a sé e altro dal proprio altro da sé. Se fosse contraddittorio, ossia se il suo predicato negasse il soggetto (= il triangolo è quadrato), allora non potrebbe darsi alcunché, ‘simpliciter’. L’essente è incontraddittorio, ma il linguaggio nichilista non lo è.
“Allora bisogna porre il principio dell'apparire in cui anche il tornare nel nulla degli essenti appare e dovrebbe essere vero e invece non lo è. Ma perché accade ciò? Perché si usa il linguaggio che è strumento nichilista”. La prima parte di questa frase mi è oscura. “Il principio dell’apparire”? Ma l’apparire non è un “principio”, bensì un’evidenza fenomenologica. Forse che a lei le cose non appaiono ma sono date tutte insieme? Non le è apparso, ora, questo post? Quindi, siccome è innegabile che le cose appaiano e scompaiano, si tratta di capire se il loro non apparire ancora ed il loro non apparire più siano da leggere in chiave nichilistica o meno…
“Or dunque, se si procede con il ragionamento si arriva direttamente alle mie conclusioni, mentre le sue obiezioni, molte e circostanziate, cadono proprio per quanto appena detto”.Mi mostri in che modo le mie obiezioni cadano: lei si limita ad asseverare ma non argomenta, mi scusi. Le ho abbondantemente mostrato che le sue osservazioni patiscono tutte (TUTTE) quel procedimento elenchico sopra ricordato, mentre lei non mi ha ancora dato una sua connotazione di "essere", nonostante i moltissimi inviti a farlo. Pertanto le domando gentilmente di mostrarmi in modo altrettanto circostanziato i modi grazie ai quali ciò che ho scritto cadrebbe.
“Se io fossi convinto che la struttura originaria funziona e si regge come lei invece crede, non sarei arrivato a derivazioni così diverse dalle sue”.Purtroppo, penso con una buona approssimazione che “La struttura originaria” non l’abbia mai letta, scusi, non si offenda. Glielo dico perché lo si capisce dal modo in cui ne parla. Se l’avesse letta, non avrei dovuto ripetermi mille volta circa il significato di “essere” e di “immediatezza”, perché lo avrebbe avuto già chiaro, appunto avendo letto il libro lo avrebbe capito al volo. Poi, la struttura originaria non è un qualcosa a cui si “crede” (ulteriore riprova del fatto che non l’ha letta), giacché anche lei, qui ed ora ed a sua insaputa, la sta utilizzando, ne è immerso fino ai capelli. Ma non avendola letta (e non è una colpa), non può esserne al corrente…
“L'esempio del mondo senza uomo è importante per capire la mia posizione mentre lei non risponde, o meglio pensa di averlo fatto ma in realtà elude”.Lei continua a dire che io “eludo”, la stessa cosa che diceva anche a DRU: nonostante le abbondanti argomentazioni, lei continua a limitarsi a dire che “eludo”, credendo così di trarsi d’impaccio. Eppure le ho risposto, mentre lei non ha nemmeno risposto alla mia semplice domanda sull’essere, postale molte volte. Allora, sono io che eludo oppure sarà lei? A questo punto ho il dubbio che non legga i miei post. Non che essi siano importanti, per carità! Ma se si vuol discutere bisogna farlo in due; se lei ignora quanto le scrivo, sta parlandosi addosso…
“Quando lei dice: " ANCHE NELL’IPOTESI CHE LA COSCIENZA NON FOSSE ANCORA APPARSA, non per questo la terra cessa d’esser terra per divenire Plutone o il monte Everest", chiama terra qualcosa che invece non si potrebbe chiamare terra proprio perché non ci sarebbe la coscienza che la nomina. E siccome non appare non so nemmeno se c'è e come è”. Lei immagina scenari inesistenti, perché di fatto la coscienza c’è, esiste; questo è un comodo espediente ma fantasioso, e con la fantasia si scrivono i romanzi, non la filosofia. La coscienza è lo stesso apparire _ come le ho già più volte detto _ , pertanto è risibile che l’apparire ad un certo punto della storia appaia! L’apparire trascendentale (= la coscienza) non incomincia ad apparire né può scompare, Suvvia! Altrimenti bisognerebbe porre un altro apparire, un’altra coscienza cui l’apparire appaia e
e scompaia, e così un altro terzo apparire cui il secondo apparire appaia e scompaia, ‘et sic in indefinitum’, col risultato che NON vi sarebbe apparire alcuno…
Comunque, tento per l’ultima volta di spiegarle cosa intendevo dire, dopodiché ci rinuncio. Anche ammettendo la sua ipotesi (la sto agevolando, mi metto dalla sua parte), la sua supposizione della terra prima che la coscienza appaia, non può costituire una critica al PDNC perché: punto 1), anche nel caso non ci fosse una coscienza ad assegnare significati, questa sua ipotesi presuppone come esistente almeno la terra e la galassia e l’universo; essi esistevano oppure no? Lei qui sopra dichiara che “siccome non appare non so nemmeno se c'è e come è”, perché le sfugge il fatto che la coscienza, di fatto, c’è, il mondo appare, mentre il contenuto della sua ipotesi non appare, o meglio, appare “l’assenza della coscienza sulla terra” ed in quanto appare, tale presunta assenza appare anch’essa all’interno della coscienza! Queste son le aporie che conseguono all’uso della
fantasia anziché a quello della filosofia...
Punto 2): “prima che la coscienza comparisse” presuppone un PRIMA, lo ha detto lei stesso, nevvero? Questo PRIMA è tale, oppure no? Cioè, esso significa esattamente PRIMA, non dopo né altro da ciò che vuol così significare. Pertanto, questo PRIMA che apparisse la coscienza, è un essente identico a sé (giacché PRIMA non significa il NULLA), e come tale è già PDNC anche senza una coscienza che li nomini, altrimenti non vi sarebbe stato alcun PRIMA, a la sua ipotesi cade immediatamente. Come vede, lei presuppone ciò che inutilmente tenta di negare.
Punto 3): “prima che la coscienza comparisse”. Se lei utilizza questo espediente ipotetico per invalidare il PDNC, allora deve consequenzialmente invalidare anche il suo medesimo espediente secondo il quale “prima che la coscienza comparisse etc., etc.”, giacché se il PDNC ha validità soltanto a patto che sia posto dalla coscienza, allora anche il suo rilievo critico ha validità soltanto a patto che sia similmente posto, ma se così, non si capisce allora perché esso debba pretendere MAGGIOR valore del PDNC, vista la PARITÀ di presupposti. Con la differenza capitale, che senza il PDNC lei non potrebbe nemmeno concepire l’ipotesi della terra senza la coscienza. Mentre io posso agevolmente e senza contraddizione pensare l’impossibiltà che vi sia stato un tempo senza coscienza.
Punto 4): afferma che io chiamerei “terra qualcosa che invece non si potrebbe chiamare terra proprio perché non ci sarebbe la coscienza che la nomina. E siccome non appare non so nemmeno se c'è e come è”. Bene. Lei dichiara COME ESISTENTE un momento nel tempo e nella storia in cui la coscienza era assente. Questo le dà diritto di asserire che in tal caso non si potrebbe sapere se la terra ci fosse; è un’affermazione molto ingenua, infatti, anche qui ,e per l’ennesima volta, scatta la sua autocontraddizione. Non si accorge che ammettendo COME REALE ED ESISTENTE un momento in cui la coscienza non vi fosse, AMMETTE COME REALE ED ESISTENTE quell’essente, quel non-nulla in cui consiste quel momento reale ed esistente di un mondo senza coscienza. Come vede, ritorna il PDNC anche nell’ipotesi di un mondo senza coscienza.
Se concede che vi fosse un mondo senza coscienza _ e lo ha concesso, giacché lei stesso lo ha proposto in chiave critica _, allora ciò presuppone che quel momento ESISTESSE, altrimenti, se nega ciò, nega la sua stessa ipotesi e quindi bisognerebbe concludere che quel momento senza coscienza non esisteva. Siccome lei lo ammette come reale o almeno come possibile, allora deve parimenti e consequenzialmente ammettere e concedere che quel momento non era un nulla, cioè esisteva, era reale, quindi, ancora una volta, PDNC. Se non ammette ciò _ ripeto _ allora non può ammettere nemmeno la sua ipotesi della terra senza coscienza…
“Io non nego che prima la terra ci sia ma nego che prima dell'apparire della coscienza si può essere sicuri che la determinazione "terra" sia esistita. Questo nega quindi che ci sia identità precisa tra essere prima dell'apparire e dopo”. Lei non nega “che prima la terra ci sia”, ma nega però che “prima dell'apparire della coscienza si può essere sicuri che la determinazione "terra" sia esistita”. Qui deve decidersi: è esistita “la determinazione terra” oppure no? Prima dice di non negare che la terra sia esistita, immediatamente dopo però, non ne è sicuro. Secondo lei, questo dovrebbe dirimere la faccenda? Che con questa sua indecisione lei neghi “quindi che ci sia identità precisa tra essere prima dell'apparire e dopo” è assolutamente inammissibile, perché non può fondare un asserto ontologico su una SUA INDECISIONE. Le indecisioni personali non
non entrano in filosofia, se non appunto, come INDECISIONI PERSONALI.
“Se pensa di confutare questa cosa dicendo che così si arriva a dire che l'essere è nulla rispondo che questo è il risultato dell'illusione di usare il linguaggio per cercare di dire quello che non si può dire”.Ma lei come fa a dire che vi è qualcosa che “non si possa dire”? Se non si può dire, per dire che “non si può dire” lei deve averlo conosciuto COME CIÒ CHE non è dicibile. Attendo anche qui un chiarimento. Sembra che lei attribuisca alla sua incertezza un fondamento ontologico o che la confonda con l’indicibilità ‘tout court’.
Badi bene: non sto affermando che la terra o qualsiasi altro essente sia sempre stato lo stesso, uguale, immutabile da allora ad oggi. No. Dico che l’ipotizzare un PRIMA che la coscienza apparisse, cioè un MOMENTO nel quale essa non era presente, NON significa _ da parte mia _ fare un’affermazione geologica o astrofisica, perché il mio discorso è totalmente ed esclusivamente sul piano ontologico, non astrofisico o simili; quindi, in base a ciò, quel che dico è che ipotizzare un PRIMA significa necessariamente ammettere quel non-nulla (= quell’essente) in cui consiste quel PRIMA, cioè significa implicare e presuppone il PDNC, anche qualora non se ne sa consapevoli...
Domani, domenica 17, sarò fuori tutto il giorno. Dovremmo risentirci _ da parte mia _ lunedì, grazie. Ciao e buon week-end a tutti...Roberto
Poiché LERETICO mi ha più volte accusato di eludere la sua osservazione concernente il ritenere un momento nel quale la coscienza fosse assente, e ciò dovrebbe costituire per lui una critica al PDNC, allora voglio qui ulteriormente venirgli incontro, nel modo seguente. Dal momento che egli sostiene un “prima” nel quale tale coscienza era assente, i casi sono i seguenti:
1): se PRIMA del sorgere della coscienza non vi era nulla di nulla, allora essa sorge insieme al non-nulla, al qualcosa, cioè al mondo; pertanto, se fosse così, non è vero che vi sia stato un momento nel quale la coscienza fosse assente dal mondo, perché nel caso ora preso in esame essa sarebbe sorta INSIEME al mondo. In tal caso il PDNC sarebbe sempre stato presente alla coscienza, quindi tale critica è autofagocitantesi, non può funzionare.
2): invece, qualora si tenesse ferma l’esistenza del mondo PRIMA che apparisse la coscienza, allora quel mondo così tenuto fermo come esistente, come un non-nulla,implica che esso sia un “qualcosa”, un non-nulla, appunto perché lo si ritiene esser un mondo esistente, ed esistente PRIMA del sorgere della coscienza. Ma anche in questa seconda alternativa, CIÒ CHE VI ERA PRIMA del sorgere della coscienza non era un nulla, era pur sempre un qualcosa, un essente (= essere), chiamiamolo “terra” oppure “scarabicchiolo” o come si vuole, la sostanza ontologica non cambia. Pertanto, anche in questo caso, il PDNC è necessariamente presupposto e funzionante, altrimenti quel mondo primevo non avrebbe potuto esistere affatto, ed anche qui, la critica di LERETICO è autofagocitantesi, non può funzionare. Ora chiedo a LERETICO: come pensa di risolvere e quindi di uscire da questi due punti?Grazie.
Attendiamo il nostro guerriero antagonista e speriamo (preghiamo per questo) che riesca a trovare il modo di fessurare questa rigidità questa incontrovertibilità che esprimi in maniera anche così "spregiudicata", in quanto, come dice Severino, senza questa volontà di rendere flessibile l'inflessibile, non riusciremmo nemmeno a respirare.
Così inizia un testo illuminante(=ndr.):La storia della filosofia occidentale è la vicenda dell'alterazione e quindi della dimenticanza del senso dell'essere, inizialmente intravisto dal più antico pensiero dei Greci. E in questa vicenda la storia della metafisica è il luogo ove l'alterazione e la dimenticanza si fanno più difficili a scoprirsi
: proprio perché la metafisica si propone esplicitamente di svelare l'autentico senso dell'essere, e quindi richiama ed esaurisce l'attenzione sulle plausibilità con cui il senso alterato si impone...
Dice il Cartella" davvero per lei la cosa coincide con la coscienza?", ecco qui sta il discorso sulla coscienza fatto da Roberto a Leretico.
Ho in serbo una forte teoria scientifica che collide con la teoresi di Severino, volevo tirarla fuori quando i disputanti fossero tutti preparati e cattivi, e così farò.
Eccomi qua, piove e son rientrato in anticipo :-)
"Davvero per lei la cosa coincide con la coscienza?". Supponiamo che non vi coincida. Se così, allora nemmeno l'osservazione secondo la quale la coscienza non coincide con la cosa è un'osservazione che non coincide con la cosa (essendo qui, la cosa il mondo fuori dalla coscienza), pertanto si risolve in un giudizio che si auto-elide. Mi spiego? Si auto-elide, perché se NESSUNA cosa coincide con la coscienza, la domanda in oggetto, presupponendo la non-coincidenza tra cosa e coscienza, intende esser una presupposizione che dica come stia la reale situazione della realtà, cioè la realtà (= la cosa) esterna alla coscienza, ed in quanto tale è una presupposizione che si auto-nega.
(Dru) Ma io Ho in serbo una forte teoria scientifica che collide con la teoresi di Severino, volevo tirarla fuori quando i disputanti fossero tutti preparati e cattivi, e così farò".Esponila pure ...
Tieni presente,DRU, che la Scienza presuppone sempre ed inevitabilmente un'ontologia; l'ontologia, invece, per sua natura, non presuppone alcuna scienza... Lo so che tali parole faranno arrabbiare chiunque, ma tant'è...
Ma il fulcro del discorso non è quello se la cosa coincida o meno con la coscienza. L'ontologia non si riferisce alla cosa in quanto essa è albero, casa, stella, atomo e simili: si riferisce all'essente, che non è la cosa 'tout court', giacché l'essente è anche un evento, un'azione, una situazione, una fantasia, un errore, un miraggio, un'allucinazione... Non vi è alcun bisogno di sapere (per l'ontologia, sia chiaro) se la terra (o qualsiasi altro essente) sia realmente così oppure se sia una ricostruzione della mente: anche una ricostruzione è un essente, e deve soddisfare (per poter essere ed essere tale) i requisiti dell'esser identico a sé e diverso dal proprio altro.
Caro Roberto, avendo anche io chiaro quello che dici intendo che la teoria collida non con l'ontologia che presenta Severino, ma non è di Severino, ma sulla parte che riguarda l'apparire. Ti rivelo che sono convinto che con la tua mani, quella del Leretico e della teoresi di Severino, supereremo anche questa problematicitå... per quanto riguarda Cartella , anche io ho provato a porre questa ovvietà, in seno al problema ontologico, ma non ho avuto risposta adeguata che mi ha fatto capire una forte carenza del "filosofo" a riguardo...
Nell' ID30199 ho sbagliato a scrivere: anziché leggere "Se così, allora nemmeno l'osservazione secondo la quale la coscienza non coincide con la cosa è un'osservazione che NON coincide con la cosa", si legga: "Se così, allora nemmeno l'osservazione secondo la quale la coscienza non coincide con la cosa è un'osservazione che coincide con la cosa" ... Chiedo scusa.
Hai fatto bene a togliere quel"non" altrimenti mi avevi distrutto l'ontologia con quel "non" :-) dando dunque ragione al dire contraddittorio del Cartelle, ma al dunque avresti dovuto poi mostrare al nulla, cosa impossibile.
Sto scrivendo con il cellulare
Ammetto di non aver letto né approfondito la struttura originaria. Non mi sono mai sognato nemmeno di criticare Severino però, so e ho premesso di non conoscere tutti i suoi scritti. Le mie sono obiezioni che potremmo definire dello studente che non ha ancora approfondito. Mi piacerebbe molto rispondere alle sue domande e affermazioni ma confesso che il mio coltello spuntato si è rivelato tale. Ho bisogno di tempo per studiarmi la cosa e non risultare illogico. Posso però affermare che la definizione di essere, da cui tutto parte insieme alla questione del PDNC dell'identità e dell'immediatezza sono i punti su cui discutere. Per il momento posso dire che ho "intuito" che qualcosa non va e ho cercato di esprimerlo. Noto che ho bisogno di conoscere meglio Severino prima di esplicitare questa intuizione. Lei Roberto mi ha insegnato a non sottovalutare e apprezzo molto il suo procedere che vorrei fosse anche il mio.
Leretico scopre un poco il nervo che lo nuoceva, ma scopre un altro aspetto del suo procedere, mai (dico mai) incentrato alla difesa personale, sempre indirizzato a chiarire gli aspetti concettuali e mai a tentare di nasconderne le carenze, e in questo debbo dire che mi ritrovo pienamente e con lui sono in pieno accordo, diversamente che con il Cartella che ad oggi ancora non capisco pur comprendendolo.
Caro amico, è giusto che critichi Severino; egli DEVE esser criticato. Siccome, nei confronti della struttura originaria aveva parlato di "crederci", allora avevo supposto che non l'avesse letta, ecco tutto. Comunque, le sue armi sono nobilissime ed il suo argomentare di alto livello, mi creda, ho discusso decine di volte nel mio blog http://emanueleseverinorisposteaisuoicritici.blogspot.it/ con non poche persone, e posso dire ciò con tranquillità consapevole. E poi comunque, anche se non ci si trova d'accordo, non sarà un gran male; amici come prima no? :-)Roberto
Il suo argomentare appare sotto il nome di Clausius...
E cosa dice ?
è il caso dell'entropia in termodinamica e un apparire di determinazioni che vanno tutte a scomparire che mondo è ?
Come sai, nella filosofia severiniana, il divenire, la trasformazione, il cambiamento, è negato SOLTANTO se implica l'annullamento e la creazione dell'ente. Ora, poiché l'intero pensiero occidentale è intriso di questa persuasione (scienza compresa), allora è chiaro che OGNI forma di divenire-trasformazione che riproponga il senso nichilistico dell'ente ricada sotto la medesima critica, poco importa che sia la scienza o il senso comune ad esplicitare quel senso, così come poco importa che a "morire" sia la persona o un mondo. Si tratta di capire cosa si intende con "morire".
infatti, dove Einstein è consono e convergente a Severino , e ci dice che non esiste un tempo e una direzione del tempo mi sento ancora più sicuro nel già sicuro di Severino, e questo dipende più da una mia distorsione nichilista e per giunta di matrice scientifica, ma che vuoi farci Roberto non tutti siamo perfetti :-) ,ma Clausius terrorizza con l'entropia dice che stiamo morendo come morituro è il mondo e il processo è irreversibile, concepisco che questo è una distorsione nichilista del divenir altro da sé , ma è una distorsione che è bene confutare al più preso nel dettaglio e non solo come base ontologica imprecisa.
"Ma è una distorsione che è bene confutare al più preso nel dettaglio e non solo come base ontologica imprecisa". DRU, il rilevamento dell'incontraddittorietà dell'ente concerne l'ente in quanto tale (tutto l'ente, ogni e qualsiasi ente, sempre e ovunque), pertanto né Clasius né l'entropia possono aggiungere o togliere alcunché.
e con questo ti saluto e alla prossima, ti seguo con avidità e invidio il tuo potere semplificante che denota un'assoluta padronanza del discorso sulla "verità". Spero solo , per un piacere personale, di diventare (?) anche io così puntuale. Ciao! non chiudo qui questa su Clausius , ma cercherò di sviluppare un 'articolo in modo da creare una piattaforma condivisibile o almeno condivisa dove trattare l'argomento con Leretico e altri magari...
OK, grazie, un saluto a tutti.
Caro Roberto i miei ringraziamenti non erano solo formali ma anche "sine cera" sentiti. Quindi grazie ancora per i suoi apprezzamenti. Sono già certo di voler continuare il nostro ricchissimo confronto qui o sul suo blog. Innanzi tutto perché è raro trovare qualcuno che risponda con le capacità dialettiche che ha lei, secondariamente perché questo confronto è l'unico modo per imparare e quindi per migliorare. Accetto quindi la possibilità di poter criticare Severino così come ritengo sano e interessante che noi non siamo d'accordo. In questo modo lei darà risposta, come ha fatto, a dubbi e domande che non avrei altro modo di porre né di sperare in una risposta competente. Quindi ci incroceremo presto e non dubiti: amici, certo e sempre.
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(8)La giornata giusta per ricordarla era stata programmata per settembre, in occasione della visita del ministro Kyenge nel Bresciano, che poi non avvenuta. Si far questo luned
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ID29630 - 10/03/2013 12:09:14 - (genpep) -
il famoso "metodo Boffo" funziona sempre, dà solo fastidio quando lo usano gli altri. bravo Dru che quando vuole riesce a farsi leggere anche dai comuni mortali. Aggiungo, a cosa serve un processo (con i soldi del contribuente) sapendo già che il reato andrà in prescrizione prima dell'attuazione della pena?