08 Dicembre 2012, 15.00
Filosofia

Comunità immanente e presa di posizione politica

di Alberto Cartella

L'approfondimento filosofico di Alberto Cartella si concentra qui sui nostri presidi personalistici in quella che è oggi la 'società delle prestazione', nella quale il visto coincide ingannevolmente con il dato a vedere

 
Nella presa di posizione politica non si tratta di fare progetti, di fare qualcosa a tutti i costi, ma è l’inoperosità ciò che interessa, la componente passiva da lasciar esercitare, la quale rende dei soggetti esitanti, ma non per questo non attori (nel senso dell’agire). È il punto di crisi della dialettica attivo-passivo.
 
Aderendo consapevolmente alla tendenza che contraddistingue la nostra società vorremmo sopportare tutto. Ciò che è della propria realtà si tende a sopportarlo e il suicidio è il gesto di sopportazione finale. Bisogna sopportare tutto, bisogna continuare a fare, a fare sacrifici, a lavorare, non si lavora mai abbastanza. Non si sta però dicendo che allora bisogna smettere di lavorare ed essere dissoluti; non si tratta della dialettica lavorare-non lavorare.
 
Non far esercitare l’inquietudine anche se mi lavora inconsciamente costituisce la paura. Si tratta qui invece di farla esercitare questa inquietudine, la quale è senza contenuto, non è la descrizione di uno stato d’animo e manca il significato. Si sta parlando di una contro-tendenza, di lasciar lavorare determinate immagini che ritornano. Lasciar lavorare qualcosa che tocca qualcosa di profondo della nostra soggettività. Si tratta di lasciar lavorare un aspetto passivo che ci mette in crisi. Il riferimento è a un esercizio per l’automatismo, un esercizio per rimanere spiazzati, per cedere alla propria emozione.
 
Ci troviamo nella società della prestazione, soggetti che sfruttano se stessi. Noi consapevolmente aderiamo a questa società della prestazione: bisogna corrispondere alle prestazioni che ci vengono richieste (i riferimenti sessuali e lavorativi vanno benissimo).
 
Siamo presi dal nostro progettare, dalle nostre realizzazioni. Qui invece si sta facendo riferimento all’essere spiazzati, il quale non è una tragedia, perché questa richiama a una fine, a un giudizio finale, a una soluzione finale; si sta parlando invece di un dramma, ancorato all’inizialità. Ciò non vuol dire percepire e poi chiedersi che cosa fare, ma si sta parlando di un’ottica del punto: c’è qualcosa che ricevo nel mio guardare. Quel punto lì è ciò che è comune, ciò che ci rimanda al nostro essere-insieme, alla comunità.
 
La filosofia (nel modo politico) si interroga su ciò che è comune, che non vuol dire generale. Il comune ha a che vedere appunto con la comunità, la quale non è una somma di individui che si riconoscono intorno a un ideale (società), ma è l'essere-insieme. Il comune è un depotenziamento della soggettività. Si tratta di un punto cieco delle immagini che non va liquidato. La sospensione non è l’incertezza o l’indecisione, ma è la presa di posizione.
 
Credere che l’immagine mentale coincida con la Cosa, che vi sia una corrispondenza totale ha un numero di pensieri impliciti che è incalcolabile nella sua distruttività. Che il visto coincida con il dato a vedere è un inganno.
 
Il campo di concentramento e di sterminio (il campo di concentramento dello sterminio) è volontà di distruggere la comunità. Ma mai, nemmeno nel campo di concentramento, la comunità cessa completamente di resistere a questa volontà. Essa è in un certo senso la resistenza stessa, la resistenza dell'immanenza.
 
Si tratta di non essere presi nel grande postulato dello sguardo clinico. Lo sguardo clinico è un postulato metafisico. Questo postulato consiste nel sostenere che tutto ciò che è visibile è enunciabile e ciò che è enunciabile è visibile. È un postulato e allora ci si chiede: è davvero così?
Questo postulato dà la nascita alla clinica. Se si asseconda questo postulato la filosofia non serve più.
 
La metafisica non fa altro che confermare questo postulato. Esso è un postulato non indifferente ed è complicato metterlo in crisi. Esso segna la fine della filosofia che diventa filologia. Il sapere detta allo sguardo ciò che deve vedere. La filosofia nel modo politico si confronta con la difficoltà di mettere in crisi questo postulato.


Commenti:
ID25711 - 08/12/2012 18:22:19 - (Dru) - Sono d'accordo

E dico di più c'è verità e c'è l'io, due cose distinte come la cosa che si guarda e lo sguardo che la guarda. Ma per ogni vedere occorre la luce.

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