15 Agosto 2020, 06.43
Blog - Circolo Scrittori Instabili

In viaggio

di Elda Cortinovis

Il treno era partito ormai da qualche ora. Elsa distolse lo sguardo dal finestrino e frugò nella borsa in cerca del biglietto...


... insieme estrasse una fotografia che portava sempre con sé, l‘unica che ritraesse lei con Luigi e Pierre. Due giovanotti sorridenti con al centro una ragazzina smilza, occhi neri e profondi puntati dritti nell’obiettivo. La mano di Pierre appoggiata sulla sua spalla.
Era stato molto tempo prima, nel giardino di casa; una bella polaroid, ricevuta per il suo compleanno, aveva immortalato quell’attimo. Luigi aveva conosciuto Pierre a Ginevra e lo aveva invitato a fermarsi qualche giorno da loro. Lo aveva presentato alla famiglia e Pierre con la sua esuberanza aveva conquistato subito tutti.
Tutti, tranne il padre sempre diffidente e ostile alle novità. Per Elsa fu un’infatuazione e ripensare a ciò che quella mano posata sulla sua spalla aveva scatenato in lei, ora, la faceva sorridere. Un’intera notte sveglia a fantasticare. Lei e Pierre insieme, Pierre che la cingeva a sé, Pierre che la portava via da quel paesino in Val Maggia, che già allora dodicenne le stava stretto.

Elsa guardò nuovamente fuori dal finestrino. I filari di alberi scorrevano veloci; sullo sfondo, le cascine sparse nella campagna le ricordavano la sua casa d’infanzia. Entrava sempre dalla cucina che dava sul cortile, dove il grande camino era il punto di raccolta di tutta la famiglia nelle sere d’inverno. Il salotto non le piaceva, sua madre si ritrovava qualche volta con alcune amiche a prendere lì il tè. Tutti i suppellettili in ordine, i centrini a uncinetto a ricoprire i mobili, le tende inamidate sembravano attendere sempre un ospite e a lei pareva un luogo privo d’intimità.
Non era lo stesso per le camere da letto al piano di sopra, collegate da un lungo corridoio che tante volte era diventato la pista per le gare di scivolata con i suoi fratelli. Ma la stanza che ancora oggi, a ripensarci, la turbava come allora era la mansarda, una volta un sottotetto pieno di ciarpame, poi diventata la stanza “segreta” di suo fratello Luigi.

L’Artista, come lo chiamavano in famiglia, si rifugiava in quello spazio impenetrabile e lì, stregato dalla pittura, perdeva la cognizione del tempo. Elsa lo ammirava, qualsiasi cosa raccontasse ne era affascinata e lo ascoltava in religioso silenzio. Luigi si beava di essere così adorato dalla sorella, ma ciò nonostante il divieto di entrare nella sua stanza valeva anche per lei.
Era gelosissimo di quello spazio, si doveva concentrare e nessuno poteva disturbarlo. Così Elsa dapprima cercò, con un po’ di fantasia, di immaginare quale segreto egli celasse e fantasticò su grandi tele colorate che coprivano porte segrete. Poi cercò di circuirlo, per poter dare almeno una sbirciatina, infine divenne una vera ossessione.

Così una sera decise di salire in mansarda. Conosceva bene quella scala e sapeva che solo un gradino era particolarmente scricchiolante, se non si era abbastanza cauti da posare il piede a lato e non al centro. Si fermò davanti alla porta e avvicinò l’occhio al buco della serratura. Intravvide sulla tela un busto maschile abbozzato e suo fratello, con un camice coperto di schizzi di colore, che compariva e scompariva alla sua vista. Il cuore le batteva all’impazzata e temeva che Luigi potesse sentire il suo respiro affannato.

– Elsaaa, – gridò la madre dalla cucina – vieni ad apparecchiare la tavola. Come risvegliata da un sogno distolse lo sguardo dal buco della serratura e scese svelta le scale.

Nessuno si azzardava ad entrare in quella stanza, neppure la madre che aveva sempre messo sul piedistallo quel fratello maggiore, tanto sensibile e intelligente, a discapito degli altri due maschi, che non avendo una gran voglia di studiare, erano stati messi a lavorare nell’impresa edile del padre. Ancora oggi, ripensandoci, questa predilezione della madre per il fratello, la faceva arrabbiare.

Cullata dal movimento del treno ripensò allo sguardo severo di sua madre che la zittiva, quando le chiedeva perché non intervenisse a far aprire quella stanza. Fino a quando un bel giorno, accadde l’impossibile. Luigi, addolcito da una serie di adulazioni, frutto dell’innata tattica femminile, invitò Elsa ad entrare e le affidò i pennelli da lavare. Lei ne fu onorata ed eseguì quel compito con una precisione e una dedizione tale da conquistare definitivamente la fiducia del fratello. Poi era arrivata l’estate, quella della fotografia.
Lei innamorata di Pierre seguiva Luigi e il suo nuovo amico ovunque, ma loro erano più grandi e spesso se la svignavano, per non essere seguiti da quella sorella un poco appiccicosa. A fine estate quando Luigi decise di partire, fece scivolare nella tasca di Elsa la chiave della stanza:

– Mi raccomando, sorveglia il mio studio, pulisci i pennelli e non toccare altro!

Quella sensazione di orgoglio per essere stata la prescelta, Elsa non la dimenticò mai.
Al ritorno dal viaggio Luigi però era cambiato, rivolle la chiave indietro e non le permise più di aiutarlo né, peggio, di entrare nel suo atelier. Cos’era accaduto? Perché suo fratello era diventato così schivo e introverso? Pareva turbato per qualche motivo. Elsa non se ne dava pace.

Fu così per un anno intero.
Una sera, mentre aiutava la madre in cucina, sentì il fratello bisbigliare al telefono, non riusciva a captare nessuna parola, tranne alla fine:

– Sì, Pierre, ti aspetto.

Troppo sale finì nelle verdure, troppo formaggio nel riso, lo sguardo imbambolato.

– Elsa non vedi che la brocca è già piena. Dove hai la testa! Veloce che tuo padre e i tuoi fratelli stanno per tornare e si mangiano anche le gambe del tavolo, se non è pronta la cena.

In camera cercò la polaroid scattata due estati prima e l’appese al muro vicino al letto. La sola idea che Pierre tornasse le faceva vibrare tutto il corpo, che ora, tra l’adolescenza e l’età adulta, rivelava una sensualità acerba.

Il treno si fermò bruscamente, Elsa sobbalzò era così persa nei suoi pensieri che non si era accorta di aver viaggiato parecchio. Quando il treno ripartì fu travolta nuovamente dai ricordi.

Quella sera era in camera a leggere
, era piuttosto tardi e avvertì dei rumori provenienti dalla mansarda. Le sembrò strano che Luigi e Pierre fossero rientrati, perché non li aveva sentiti. Decise così di salire a controllare, speranzosa di poter stare con loro. Ma una volta in cima alle scale anziché bussare restò immobile per qualche secondo. Si chinò e come aveva fatto da bambina guardò attraverso il buco della serratura.

Ci sono cose che non si devono fare, tra queste spiare.
Ora lo aveva imparato. Allontanò il viso di scatto, trattenne il fiato e indietreggiò come se avesse visto il diavolo. Per non cadere dalle scale si aggrappò al corrimano, poi si girò e, sconvolta, scese come una furia.
Inavvertitamente appoggiò il piede su quel penultimo gradino, che puntuale scricchiolò. Si bloccò all’istante. Un silenzio surreale aleggiò in tutta la casa, un silenzio assoluto che le sembrò avvolgesse l’intero mondo. Poi riprese rapida la discesa e si chiuse in camera e versò lacrime, come un fiume in piena. Un pianto di rabbia e delusione, misto a incredulità. La mattina sentì discutere, alzare la voce, sbattere le porte, ma non uscì fino all’ora di pranzo. La madre disse che Luigi era partito. Non era una partenza come le altre, quando per lo studio andava a Ginevra e tornava sempre dopo poco. Quella fu una partenza definitiva.

Di cosa fosse successo in mansarda, di cosa avesse visto e del motivo di questa partenza così repentina di Luigi con Pierre, non se ne parlò mai. Ricordava però lo sguardo adirato del padre che da quel giorno, non pronunciò mai più il nome di suo figlio Luigi. Passarono diversi anni, Elsa era diventata donna, aveva lasciato la Val Maggia, per sfuggire agli ostinati mutismi e liberarsi dalla stretta di quel mondo ed era andata a vivere a Milano. Aveva studiato, lavorando e aveva preso la sua strada.

Quando il treno arrivò alla stazione di Parigi, raccolto il suo bagaglio Elsa avvertì un fremito che le scese fino alle gambe e dovette inspirare profondamente, per non farsi sopraffare dall’ansia. Poi scese dalla pedana e guardò in cima ai binari. Tra la folla frenetica scorse Luigi e Pierre, mano nella mano, con un sorriso accogliente, di quelli che ti fanno sentire subito a casa. Finalmente era arrivato, almeno per loro tre, il momento della riconciliazione.
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Per gentile concessione del Circolo Scrittori Instabili, blog sul quale si sperimentano gli appassionati che hanno frequentato i corsi di scrittura creativa tenuti da Barbara Favaro.





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