30 Novembre 2013, 12.13
Terza pagina

La verità vi prego, sui confini dell'amore 1.2

di Dru

Scalfari risponde da laico non credente a papa Francesco, che lo incalza sul senso della vita, con una tipica affermazione metafisica di Aristotele intorno alla "sostanza", che lui definisce energia eterna...


...e alla "forma", che lui definisce forma che si spegne, affermazione metafisica che Aristotele guadagna attraverso il pensiero di Platone che commette il parricidio nei confronti di Parmenide sul senso dell'Essere nel suo dialogo "il sofista".
 
Voglio esprimere qui che L'ontologia nata con Parmenide, e sviluppata poi da Platone e Aristotele sul senso dell'ente in quanto ente, è alla base di ogni nostro dire e pensare, voglio esprimere quindi il fatto che, sia Scalfari, che Francesco, sia gli amici di Dio, sia i nemici, sono figli di una stessa anima.
La Teologia e la Scolastica senza Platone e Aristotele non sarebbero quello che conosciamo, ma anche, altresì,  la scienza e ogni altra disciplina in voga ad oggi: Scalfari non parlerebbe nei termini in cui ha parlato senza questi grandissimi pensatori.
 
E cosa dice Parmenide di Elea nel suo poema sulla natura?
"L'Essere è mentre il nulla non è" (fr.6 vv.1-2).
L'Essere è ciò che si oppone al nulla, è l'opporvisi, e opporsi a che? al nulla dunque.
L'opposizione del positivo al negativo è il grande tema della Metafisica.
Eppure questa opposizione non riesce a stare, lo dimostrano bene le parole di Scalfari, che appunto si contraddicono in pochi versi quando parla della forma che va spegnendosi.
 
Non riesce a stare già a partire da Aristotele nel "Liber De Interpretazione" che così cita: "E' necessario che l'essere sia, quando è, e che il non-essere non sia, quando non è; tuttavia non è necessario che tutto l'essere sia, né che tutto l'essere non sia; non è infatti la stessa cosa che tutto ciò che è sia necessariamente, quando è, e l'essere senz'altro di necessità. La stessa cosa si dica del non essere".
 
Qui si mostra il tramonto del senso autentico dell'essere indicato da Parmenide: con queste parole equivoche Aristotele ci indica che l'essere è si, ma quando è e non-è, ma quando non è. Qui si confonde la necessità simpliciter (la necessità di ragione) con la necessità che il non-essere non sia quando non è (la necessità di fatto).
 
Qui il senso dell'essere è già ambiguo, la forza del pensiero di Aristotele spezza il senso autentico dell'essere aperto da Parmenide.
"Perché la lotta tra l'essere e il nulla non è come quella che si combatteva tra gli antichi eserciti, che di giorno guerreggiavano, mentre di notte i capi nemici bevevano assieme sotto le tende - nemici dunque "quando" e "se" fossero stati in campo. Questo poteva avvenire perché, oltre che nemici, erano anche uomini. L'essere, invece, è un tale nemico del nulla che nemmeno di notte disarma." (in Essenza del nichilismo pag. 21).
 
Osserviamo da più vicino allora l'essere che è quando è.
Di giorno l'essere è il nemico del nulla, gli si oppone, opposizione che Aristotele fonda tramite il principio di non contraddizione, quel principio che tutti accettano con rassegnazione, anche i non metafisici.
Ma poi vien notte quando l'essere non è (quando ha lasciato il campo), allora non si oppone nemmeno più al nulla (ecco la frase che sembra chiara e distinta di Scalfari sulle forme che si spengono: sono appunto l'essere che abbandona il campo, ma dove vanno queste forme?): perché "diventa" nulla.
 
Questo "diventa", se astratto, se non pensato nella sua forma originaria, lascerebbe l'essere che non è ancora governato dal principio di non contraddizione.
L'incontraddittorietà sembrerebbe salvaguardata "proprio nell'atto in cui la si sta negando nel modo più radicale e insidioso.
Perché questo essere notturno, questo essere che ha lasciato il campo, è l'essere che ha lasciato l'essere." (Essenza del nichilismo pag.22)
 
Questo essere nulla è l'identico che si diversifica e il diverso che si identifica, il massimo della contraddizione.
"E'" significa "respinge via il nulla", "vince il nulla", "l'essere è" significa "l'essere non è il nulla", dire che l'essere non è significa dire che l'essere è il nulla.
Aristotele quando dice che l'essere quando non è,non è, dice che l'essere è identico al nulla, ma non si avvede che la zona tellurica in cui si pone non è semplicemente quella di affermare che quando l'essere non è, sia, ma è l'acconsentimento che l'essere sia nulla.
In questo modo il principium firmissimum diventa la contraddizione per eccellenza, poiché pone l'essere nel tempo alla stregua di Scalfari.

Riscrivo, alla luce di quanto sono andato ponendo, la "filosofia" di Scalfari:
 "L'Essere è un tessuto di Energia (Aristotele: sostanza), Energia caotica ma indistruttibile e in eterna caoticità. Da quell'Energia "emergono" [(?) l'essere che diventa nulla, o nulla da cui si genera l'essere.Aristotele: l'essere quando è, il non-essere quando non è] le forme quando l'Energia arriva al punto di esplodere.
Le forme hanno le loro leggi, i loro campi magnetici, che si combinano casualmente (Aristotele: deliberatamente) evolvono e infine si "spengono" [(?) l'essere che diventa (è) nulla, o nulla da cui si genera (è) l'essere Aristotele: l'essere quando è, il non-essere quando non è]

E' possibile che anche voi ora, usciti da quelle tende in cui brindavate con i vostri oppositori nemici, vediate la contraddizione di questo brindare e ancora più a fondo la contraddizione di questa vostra guerra contro chi porta in sé la vostra stessa anima.

Dru


Commenti:
ID38435 - 30/11/2013 17:27:39 - (Leretico) - La verità dell'errore

Caro Dru, Scalfari non si avvede di quanto in questo articolo affermi perché è immerso completamente nella filosofia Occidentale che si basa fondamentalmente sul pensieri platonico e aristotelico. Se volessimo convincerlo sull'impostazione nichilista del suo procedere, dovremmo chiedergli di ritornare a Parmenide. Ma dopo secoli di pensiero fondato sul divenire e sul principio di non contraddizione è molto difficile convincere lui e altri del fondamento razionale delle proprie affermazioni. Valga questo discorso anche per chiarire un punto fondamentale: chi mette in discussione il pensiero dell'occidente, procede facendo l'analisi di ciò a cui ha portato l'abbandono del senso dell'essere parmenideo. Passa attraverso la storia delle filosofia identificando l'evoluzione dell'errore, arriva ad Hegel e si accorge che l'errore ha costruito la mostruosa Tecnica. Quest'ultima è autoreferenziale, cioè ha come scopo l'infinito aumento del proprio

ID38436 - 30/11/2013 17:39:42 - (Leretico) - continua

potere. Questa autoreferenzialità è autocoscienza cioè è determinata dal pensiero che da strumento utilizzato per capire e dominare una realtà esterna, diventa strumento senza limite finalizzato a costruire il mondo cioè costruire sé stesso. Il reale diventa una mera espressione del pensiero il quale non può che potenziare continuamente sé stesso. A questo punto, chi facendo tutto questo lungo percorso, lo vuole significare, lo vuole rappresentare, viene accusato di condividerlo. Qualcuno afferma che il processo logico che porta a tali conclusioni non è che interpretazione. Mi spiego meglio: se faccio una deduzione logica non sto affermando un'opinione, ma faccio derivare la verità della conclusione dalla verità delle premesse. Se le premesse del ragionamento sono addirittura la "Struttura Originaria" e i suoi corollari, le conclusioni che da esse derivano non sono opinioni ma verità di ragione

ID38437 - 30/11/2013 17:49:25 - (Leretico) - continua

e di fatto. Bene, se tutto fila come sembra, anche quando parliamo di nichilismo e lo facciamo derivare dall'abbandono della via del giorno per prendere quello della notte, cioè dall'aver dimenticato ciò che Parmenide aveva detto e cioè che l'essere è e non può non essere, dobbiamo dire che tale errore, la sua verità cioè il suo essere nella verità non è opinione ma è conclusione derivante da ragionamento. Chi fa dunque questo percorso logico non esprime una sua opinione, constata semplicemente una verità. Adesso arrivo a ciò che mi premeva dire: se dunque dimostrare il nichilismo del pensiero di Scalfari e di Francesco significa accomunarli, facendo questo non si esprime una filosofia, non si fa appello ad un sistema filosofico diverso da quello occidentale, si fa emergere solo a cosa esso porta, quali i suoi effetti, quali i suoi mali. Scalfari e Francesco partono dalla stessa radice filosofica

ID38438 - 30/11/2013 18:00:42 - (Leretico) - continua

sono quindi articolazione filosofica dello stesso errare. Il denunciare questo errore non è frutto di impostazione filosofica diversa, ma mera deduzione logica dal principio di non contraddizione e dal principio di identità. Se allo stesso modo e sulle stesse basi dicessimo che la fede è violenza perché è un volere che le cose stiano in modo diverso da come stanno, cioè che la fede rappresenta il tentativo di far diventare le cose altro da sé, cosa impossibile, non esprimeremmo una filosofia nuova perché staremmo solo constatando la contraddizione nichilistica insita nel concetto di fede. Chi esprime queste cose non esprime un'opinione ma una deduzione. Così dicendo che la Tecnica ha portato al tramonto l'episteme, non stiamo esprimendo filosofia ma deducendo come abbiamo prima fatto. La vera novità sarebbe filosofica sarebbe invece spiegare il divenire nonostante la rigida impostazione del principio fermissimo.

ID38440 - 30/11/2013 18:12:22 - (Leretico) - continua

Lì saremmo originali e in quel caso saremmo dei filosofi. Perché tutto questo discorso? Per significare solo una cosa, semplice: constatare che la fede è una forma di violenza non significa giustificare la violenza. Comparare Scalfari a Francesco non deve significare compararne le conclusioni. Ma la sottigliezza sta nel comprendere che se anche fosse che la Tecnica distrugge i nessi e ha distrutto l'episteme ciò non significa che ci debba essere adesione alla cosa. E non sto parlando di adesione morale, ma semplicemente il dimenticarsi che le cose potrebbero in qualche modo andare diversamente. Dire che il nichilismo è frutto dell'errore aristotelico platonico del parricidio del vecchio e terribile Parmenide non significa appoggiare questo percorso. Quindi non significa nemmeno giustificare la violenza del mondo nichilistico che conosciamo, né giustificare la legge del più forte. Chi fa questo passaggio compie una indebita

ID38441 - 30/11/2013 18:13:00 - (Leretico) - continua

interpretazione, un errore ulteriore.

ID38443 - 30/11/2013 18:37:44 - (Dru) -

Non basta dire, e anzi é errore, che le cose potrebbero andare diversamente. Le cose sono in quanto il loro altro diverse e in quanto tali identiche e l'opposizione degli opposti non può mostrarsi che come opposizione, questa la loro identità. Mostrare non significa Giustificare. Anzi é solo mostrandosi che la malattia può essere diagnosticata. Certo che se prima non mostriamo il "male", nessuna cura può essere intentata per chi crede di essere sano. Ho scritto in Poiane e Kite Surfsul il divenire vero. Ma ciò che mi interessa ora é il tuo progresso.

ID38446 - 30/11/2013 18:50:14 - (Dru) - Allora Scalfari

Si lamenta con il Papa che Agape, cioé l'amore per il prossimo, lungi dall'essere aumentato nel mondo, grazie alla missione della chiesa e cristiana, é invece un fuoco che sta spegnendosi, lasciando il posto ad Eros e all'amore egoistico, di se stessi. Alla luce dei tuoi progressi , mi indichi quali i motivi di questo che é riconosciuto dagli interlocutori, lo Scalfari e il Francesco, ma che non é per questo filosofia ? Dice in Essenza del nichilismo appunto Severino: La verità non filosofica è verità inautentica, non brilla di luce propria: fenomeno derivato della verità, verità decaduta. E la filosofia non consacra, non sancisce -quando riconosce la verità della coscienza non filosofica- questa separazione, questo distacco dalla verità autentica; la Filosofia non riconosce il mondo (questo il passaggio che ti può togliere i dubbi di stamani), bensì ne esige la trasformazione.

ID38447 - 30/11/2013 18:54:12 - (Dru) - Non riconosce il mondo ma ne esige la trasformazione

Significa che il mondo e la coscienza inautentica esistono, eccome che esistono. Ma il malato non sa di esserlo, che credi tu,Leretico, che ora vedi la malattia; e quindi a nessun malato che non si senta tale puoi somministrare alcuna cura.

ID38448 - 30/11/2013 18:59:43 - (Dru) - Prima mostra la malattia

e poi potrai somministrare anche la cura. Nessuno di noi mangerebbe nulla che prima non conoscesse. Dicevano gli antichi: Nihil volitur quin precognitur

ID38450 - 30/11/2013 19:11:02 - (Leretico) - Mostrare non significa giustificare

Mostrare non significa giustificare: è proprio questo il punto su cui discutere in profondità. Se il tuo articolo è un mostrate, come appunto è anche per me, dobbiamo fare uno sforzo di separazione tra ciò che che il mostrare ci fa constatare e l'accettazione dello stesso, che invece è quasi automatica nelle persone. Il mostrare dovrebbe creare metanoia. Metanoia significa "al di là del pensiero" (meta=al di là, oltre; noia da nous=pensiero), cioè l'andare oltre il modo corrente di pensare, disfarsi del vecchio modello mentale per accettarne un altro. Questa accettazione significa dire: sappiamo a cosa porta il nichilismo perché il ragionamento filosofico ce lo mostra, allora modifichiamo il nostro pensiero (metanoia) perché esso produca consapevolezza della verità. Mi sembra invece che sempre più spesso si cada nell'equivoco pericoloso del dire: vedete?

ID38452 - 30/11/2013 19:15:36 - (Leretico) - continua

La fede è una delle forme della violenza, tutto o quasi si basa su essa, la Tecnica è la sua sublime espressione, accettate come stanno le cose! Come a significare: io capisco che il mondo va così e lo accetto. Dove posso e quando posso ne approfitto. Ma questo non è altro che adeguarsi ad una deduzione e tacendo giustificarla. Il filosofo invece mostra ma propone anche un'altra via. Sempre che siamo veramente disposti a seguire il suo discorso, non accontentandoci di quanto egli mostra. E tu ti acontenti?

ID38453 - 30/11/2013 19:15:45 - (Dru) - Tu lo stai vedendo ora il "mondo"?

Prima mostralo anche agli altri e poi sancisci la sua trasformazione.Il mondo delle cose, per come le vede Scalfari e Francesco, é il mondo delle cose nichilisticamente intese. Ma l'operare di ognuno di noi indipendentemente quella frattura tra il mondo inautentico del nichilismo e il mondo autentico della verità, sarebbe nuovamente opera nichilista.Ogni intervento sul nichilismo che voglia nascondere la realtà nichilista non può trasformarla, non può perché sarebbe quell'intervento un intervento che voglia operare e in quanto tale non sarebbe un operare ma solo un volere, e ormai avrai inteso che il volere é fede non é verità.

ID38455 - 30/11/2013 19:25:15 - (Dru) - Per il nichilista

Il fatto che le cose divengano altro é cosa normalissima e il folle é chi sostiene il contrario, il folle é la Verità. Se però al nichilista fai osservare, dal punto di vista della Verità autentica, che le cose che divengono significa "le cose sono nulla", non ti comprende(rimane colpito), allora devi fare filosofia e mostrarglielo. Mai è poi mai il nichilista accetterebbe che un bue é un asino o che l'essere é nulla o che il due é il tre, ma naviga nell'evidenza del divenire delle cose, un'evidenza che nasconde la vera "violenza".

ID38456 - 30/11/2013 19:31:15 - (Dru) - caro Leretico

Non é che, perché tu ti stai ora esponendo al mondo, che puoi definirmi colui che si accontenti. Mostreresti ingratitudine.

ID38457 - 30/11/2013 19:45:35 - (Dru) - Agape e Eros

Aspetto che mi sviluppi le conseguenze di quanto si evidenzia fra gli interlocutori del dialogo sopra alla luce del tramonto dei nessi necessari che, sciolti dal divenire storico degli enti e eventi, costruiscono appunto un mondo frantumato e quindi isolato.

ID38461 - 30/11/2013 21:26:12 - (Leretico) - Due meccanismi

Quello che vorrei scorgessi è il doppio meccanismo in cui ci si va a incatenare quando si ragiona nel modo che ti ho spiegato sopra. Il primo è quello in cui si deduce da un principio e da questo si fa derivare conclusioni che sono vere proprio perché derivano da un principio considerato vero. È inutile quindi discutere delle deduzioni ma sarebbe necessario discutere del principio. Il nichilismo contraddice il ragionamento che parte dal principio di non contraddizione, descriverlo non significa dire come stanno le cose, ma dire come stanno se il principio da cui si parte è sempre non contraddittorio. Se esso cedesse in qulache punto le conclusioni a cui logicamente si arriva tramite esso scricchiolerebbe. Spero tu voglia concordare. Secondo meccanismo: dire che il mostrare non è giustificare non significa accettare quello che la realtà propone. Altrimenti sarebbe come dire che tutte le cose sono come sono e se in qualche modo appaiono

ID38462 - 30/11/2013 21:37:44 - (Leretico) - continua

vuol dire che necessariamente devono essere come appaiono. Questo meccanismo è più negativo del primo perché porta a giustificare quello che si trova nel mondo, anche la violenza, considerandola come necessaria solo perché in qualche modo appare. Addirittura si potrebbe dire che tutto è permesso, anche il peggiore delitto, perché se c'è la possibilità che esso possa da qualcuno essere portato nella sfera dell'apparire allora vuol dire che necessariamente esiste, è e quindi non può che verificarsi (cioè apparire). Forse il secondo meccanismo è proprio legato al primo. Mettendo in discussione il principio critichiamo anche le conseguenze del secondo meccanismo. Bene, detto questo vorrei spiegare meglio il concetto della deduzione: descrivere una conclusione (il nichilismo) non significa aderire allo stesso, nonostante non si possa che esprimersi usando i suoi mezzi. Così se la violenza domina in

ID38463 - 30/11/2013 21:53:57 - (Leretico) - continua

ogni dove, essendo questa una derivazione della conclusione di cui sopra, il descriverla non significa che deve essere per forza così, perché si sta inferendo dal principio di non contraddizione ancora una volta. Perché accade questo? Perché si parte dalla struttura originaria e usando la logica tutto quello che da essa deriva non può essere che la verità. Peccato che il mondo funziona in altro modo: per esempio prima della scoperta dell'Australia si pensava che i cigni fossero solo bianchi, invece in quel nuovo territorio si scoprirono che i cigni potevano essere anche neri. Il modi di pensare, la filosofia, prima di questa scoperta erano un'altra cosa. Dal momento della scoperta tutto è cambiato. Prima si viveva nell'assolutismo che crollò al momento in cui apparve il cigno nero. Quanto meno si incominciò ad essere meno certi di ogni verità. Lo stesso faccio io con il principio di non contraddizione, nonostante

ID38464 - 30/11/2013 22:11:48 - (Leretico) - continua

la logica ferrea e le inferenze deduttive ho imparato a dubitare di tutti i sistemi tetragoni di verità. Perché nella storia c'è sempre un cigno nero che può spuntate da un momento all'altro. Certo, rispetto al principio di non contraddizione è molto difficile, ma ciò che mi aiuta in questa posizione è la convinzione che un principio logico, frutto del pensiero non riesce a fondare il tutto. Perché il tutto supera la logica. Qualcosa rimane fuori. Non posso spiegarlo con le parole perché cadrei sempre nel dominio della logica e del pdnc, però qualcosa sfugge. È quel qualcosa che ha trasformato la materia in vita, è quella cosa che c'è nell'autorganizzazione. Se cerco di spiegarlo cado in contraddizione logica, come quando cerco di negare il pdnc, ma sento che quella è la via.

ID38467 - 30/11/2013 23:07:18 - (Dru) - Noto in te il fascinans

...che percuote il tremendum. Vuoi ardentemente, desideri che le cose non siano. Ma non é compito della filosofia l'indagare il negabile per renderlo innegabile, questo é il compito della fede appunto. Ogni dolore é eterno e ogni patimento, voler lo negare é autonegazione. Sapere tutto non significa sapere tutte le cose, ma tutte le cose sono parti del tutto, negare l'assolutismo é un assolutismo, ogni negazione é affermazione. Qualcosa rimane fuori é quel qualche cosa che é fuori che rimane.

ID38468 - 30/11/2013 23:13:22 - (Dru) - Nel cerchio dell'apparire

Appaiono come novità quei cigni neri che sono i nascosti dell'apparire, ma il loro essere nascosti non significa né non essere né non apparire dell'apparire. Il nascondimento non é il nulla come il nulla momento, é il mostrarlo come tale che é contraddittorio.

ID38469 - 30/11/2013 23:36:04 - (Dru) - Non é compito della filosofia

Il mostrare ciò che non é,ciò che non é é non mostrabile se non per significato. Vedo che insisti sulla giustificazione della violenza, tutt'altro, é mostrando i criteri, che la producono la violenza sulle cose, che su di essi é possibile poi agire.Insisto, ...nihil volitur quin precognitur... Consiglio un mio precedente "chi picchia ama?".

ID38470 - 30/11/2013 23:46:32 - (Leretico) - Il mostrare

Come fai a spiegare il giallo se tutto è giallo? Non puoi, perché non ti puoi rendere conto di cosa sia il giallo. Solo se qualcosa si differenzia da giallo, ossia è non giallo, puoi tentare una spiegazione del giallo. Puoi tentare perché il non-giallo ti permette di disegnare, pragmaticamente o anche solo concettualmente, il confine, il limite tra giallo e non giallo. Quando si parla di principio di non contraddizione siamo come nel caso del giallo. Cercare una sua contraddizione significa confermarlo ossia ci siamo immersi senza la speranza di individuare quel limite che ci potrebbe far trovare una via di fuga. Non fraintendere, non dico che la contraddizione non esista ma che anch'essa si basa sullo stesso principio, quindi siamo sempre punto e a capo. L'unica cosa seria da dire è che tutto questo meccanismo è solo una mappa, non è il territorio. E proprio per questo, nonostante non riesca a conoscere il territorio

ID38471 - 30/11/2013 23:51:50 - (Leretico) - continua

so che c'è. Così la logica, il linguaggio, mi costringe all'utilizzo del principio, ma non credo che la realtà (il territorio) sia come il principio (la mappa). Il problema sta nell'idealismo, cioè nel credere che il principio produce la realtà, cioè la mappa produce il territorio, cosa che è per me vera solo in parte. Cioè l'idealismo non mi convince fino in fondo.

ID38472 - 01/12/2013 00:17:58 - (Dru) - Quello che hai appena scritto

Dovrebbe mostrarti appunto la relazione tra la parte e il tutto.Che la parte(il giallo in questo caso) rimane posta dal tutto, il non-giallo, il giallo, il nulla sia come significato che come nulla momento. Quando infatti dici: "che é per me vera solo in parte", ciò che dici é parte di quanto ho specificato come quel particolare giallo riferito al significato universale di ogni cosa o Essere. Cioé l'idealismo, come parte che significa l'incominciamento del risultato, é contraddizione.

ID38473 - 01/12/2013 00:18:55 - (Dru) - Però

La mia domanda rimane elusa... Eros e Agape...

ID38475 - 01/12/2013 10:12:23 - (Leretico) - Domanda e risposta

Eros rappresenta l'inquietudine per il raggiungimento del sapere, la spinta a possedere la conoscenza. Nasce dal finito e vuole l'infinito. Agape è l'amore che dall'infinito scende nel finito. L'altra parte di un unico movimento circolare che tende all'unità. Eros è amore per il bello che in quanto tale è bontà, giustizia e verità. Agape è amore divino che entra nella nostra anima per farci sentire a lui uniti. Siamo sempre al concetto di relazione tra parte e tutto, tra finito e infinito. Quando ti ho domandato se ti accontentavi intendevo provocarti: volevo infondo chiederti se sei fermo alla deduzione che la violenza è giustificabile perché essendo esistente è necessaria oppure se hai fatto il passo verso una filosofia diversa, sulla strada del giorno. Il mondo è quello che è, oppure la sua dinamica, quella ericlitea, potrebbe produrre effetti diversi? Il pericolo di giustificare il male, il potere

ID38476 - 01/12/2013 10:13:05 - (Leretico) - continua

è troppo alto.

ID38477 - 01/12/2013 10:41:45 - (Dru) - Caro Leretico

Quando in filosofia si parla di violenza non la si intende alla stregua di quella ai domiciliari o quella che si perpetra in una guerra di popoli contro popoli, o di un omicidio. Queste sono tutte forme particolari del concetto di violenza. Il punto sta proprio qui del concetto di violenza. Violenza é violare per davvero un criterio che si ritiene impossibile da violare. Violenza é quando si viola, ma per violare ci deve essere opposizione, vera opposizione, una opposizione che non sia vera opposizione non costituisce quel criterio che "produce" la violenza. Un tempo il criterio vero che si opponeva alla violenza era la norma divina, si potevi combinare tutti i pasticci possibili in terra ma la violenza sarebbe stata violenza provvisoria, il violare era un violare che sarebbe stato raggiunto dalla punizione divina, se non in terra quantomeno in cielo.

ID38478 - 01/12/2013 10:49:32 - (Dru) - La norma ha questo significato

Ha il significato di dominare il caos, il divenire, che però, visto come l'evidenza suprema, distrugge gli immutabili, le norme appunto. Qui devi concentrarti se vuoi carpire cosa vado dicendo. Non giustifico la violenza, la guardo in faccia per quella che é però. Quella che guardi in faccia tu, non é la violenza, ma é la ragione del nichilismo e quindi ti poni all'interno del suo coerente scopo. Quando insisti che io giustifico, non vedi che in realtà mostro il criterio che rende tutto ciò che prima era violento adesso innocente. Ma se non sei disposto a fare il passo che ti consente di vederlo il criterio, la distruzione degli immutabili all'interno del processo nichilista del divenire come evidenza suprema delle cose, allora commetti l'errore di definirmi colui che tenta di giustificare quelle violenze che non sono vere violenze, ma solo atti coerentissimi all'interno del nichilismo.

ID38479 - 01/12/2013 10:54:23 - (Dru) - L'omicidio

e le guerre sui popoli il nichilismo le ha trasformate da violenze in potenze. Se un popolo riesce davvero a sconfiggere un altro popolo, perché non deve farlo ? Questa é la domanda che ti devi porre per capire davvero che la morte delle norme rende tutto innocente. Siamo ancora nella fase inconscia del nichilismo, per questo ti risulta difficile l'accettarlo, perché non hai ancora inteso nel profondo il significato di questa dipartita "vera" degli immutabili (le norme) all'interno della civiltà della Tecnica. Questo non significa giustificare la violenza, questo significa guardarla negli occhi per quella che é davvero.

ID38480 - 01/12/2013 10:59:07 - (Dru) - La vera violenza

È credere che le cose divengano altro, che appunto la violenza possa essere considerata quella dei vinti e quella dei vincitori sia violenza che si trasforma in potenza ad esempio. Dice Eraclito, la guerra é la madre di tutte le cose ( intendendo per guerra Eraclito l'opposizione fra gli opposti e cioé ciò che di comune vi é fra i differenti o opposti appunto,e non la guerra marziale), si tratta di capire che invece é il senso che diamo noi alle cose la madre di tutte le guerre. Se le cose divengono il loro altro non vi é opposizione ma nichilismo. se noi crediamo a questo allora non lamentiamo i delle violenze che diventano potenze.

ID38481 - 01/12/2013 11:08:04 - (Leretico) - La giustificazione

L'analisi sul nichilismo e sulla fine dei nessi e delle norme divine è un'analisi interessante, dedotta dall'impostazione ontologica della struttura originaria. Però, ancora una volta, il descrivere non significa giustificare. Diventa giustificazione solo se si afferma che è necessario che sia così. Cioè se si dice, per esempio, che i più forti vincono uccidendo i più deboli e si dice che ciò è necessario perché appare, si giustifica il male dicendo che la filosofia mostra non partecipa. Dire che tutto ciò che appare è necessario che sia produce una giustificazione indiretta inaccettabile, almeno per me. Io credo (fede) nella possibilità che, almeno tra gli uomini, la dinamica delle relazioni umane reciproche possa far emergere la non-violenza, la non-sopraffazione, insomma la giustizia, la bellezza e il bene. Questo passa per la critica alla necessità del male, soprattutto quando la si

ID38482 - 01/12/2013 11:09:57 - (Dru) - Eros e Agape

Qui ti volevo e voglio Scalfari e Francesco. Accusiamo la storia di aver dimostrato ciò che per lei era inevitabile dimostrare, e cioé che Eros avrebbe sconfitto Agape, ma Eros e Agape non sono altro che appunto quei due contendenti che sul campo di battaglia tra il divenire dell'essere e il suo stare é l'opposizione fra gli opposti contendenti. Se non vi é più vera opposizione e se quindi il comune viene sconfitto per davvero dal nichilismo storico che "isola" ( vuole isolare la parte dal tutto sincronico) le ragioni storiche per dominarle, allora questo é il tramonto della figura del Padre, la norma che é Agape. Naturalmente Leretico, ora non sto giustificando il tramonto del Padre, solo che lo sto guardando dritto negli occhi. Scalfari lo accenna ma non ne vede le vere ragioni.

ID38483 - 01/12/2013 11:16:42 - (Leretico) - continua

la si fa passare, la necessita, per descrizione asettica e distaccata. È come dire: una strage diventa eroismo o genocidio in relazione alla norma che si vuole far valere, quella divina essendo caduta da tempo. Descrivere questo è un conto, fondare la sua necessità è un altro. E non basta dire che anche tale fondazione è solo una constatazione, perché così facendo si crea una situazione pericolosa. Quella di chi pensa che il principio da cui fa partire tutti questi ragionamenti è indubitabile, vero, intoccabile, insuperabile. Insomma pensa che i cigni neri non esistano anche quando ne vede fisicamente uno. Goya diceva: il sonno della ragione produce mostri, ma anche la logica ferrea e l'intransigenza filosofica può produrne.

ID38484 - 01/12/2013 11:22:49 - (Dru) - È necessario che sia così all'interno del nichilismo.

Ma il nichilismo domina, l'errore sul senso delle cose domina l'occidente, é quindi necessario prima di tutto guardare negli occhi dell'errore. Ma questo non é giustificare, al contrario, questo é guardare la realtà per quella che é e non per quella che si vorrebbe che fosse. Se le cose e il loro senso non é il divenire altro le conseguenze sono che le cose sono eterne e il loro divenire non é che l'incominciare ad apparire degli eterni. Ma anche questo che é il destino della necessità può sembrare fede e dogmatismo se non se ne vede l'apertura del senso. Solo conoscendo in profondità la contraddizione nichilista allora si comincia a vederne il senso.

ID38485 - 01/12/2013 11:29:35 - (Dru) - Caro Leretico

Ci siamo accavallati... Tu guardi alle cose per come vorresti che fossero e qui sei uguale a Scalfari e a Francesco che vorrebbero l'Agape e gli rimane solo Eros. Cioé é assolutamente falso il volere, il volere é fede, fede che le cose siano altro, non siano sé medesime, é fede nel divenire altro delle cose. Hai detto una verità all'interno del nichilismo: é come dire che una strage diventa eroismo o genocidio a seconda di Eros perché Agape é tramontata.

ID38486 - 01/12/2013 11:37:20 - (Dru) - Ma il nichilismo non é la verità, é l'errore.

Fino a che l'errore non si mostrerà per quello che é e quindi l'"in sé" del nichilismo non si porrà "per sé", fino a che tu vorrai le cose impossibili da volere, perché non errare ? La mia non é una giustificazione dell'errore, la mia é una posizione che può davvero guardare in faccia questo errore e allora, posto già da sempre, questa é la posizione della verità.

ID38488 - 01/12/2013 11:46:39 - (Dru) - Insisto però su un punto perché noto che non lo fai passare

La violenza che tu descrivi è violenza apparente se tutto é giustapposto e nulla é davvero necessario, per te é violenza ciò che per l'altro é potenza, dove ravvedi in questo il criterio che può redimere le diverse posizioni ? Questa é la volontà di potenza che si libera di ogni legge che la può frenare, questa é la civiltà della tecnica, indipendentemente dal mio volere che non significa nulla in filosofia.

ID38489 - 01/12/2013 11:50:26 - (Dru) -

Per la chiesa é violenza il contraccettivo, ciò che per me é salvezza. Questo é il tempo di Eros.

ID38491 - 01/12/2013 14:31:34 - (Leretico) - La distinzione dei concetti

Quando si parla di violenza, tutti pensiamo ai suoi effetti, cioè ne valutiamo i risultati sulle persone, sulle relazioni tra le persone, sul suo impatto sociale. Quando invece parliamo delle radici della violenza e le mettiamo in relazione al volere che l'ente diventi altro da sé, parliamo di un altro tipo di concetto, che ci permette di equiparare la fede alla violenza appunto. Dove sta il problema? Sta nel parlare del secondo concetto senza distiguere ciò che lo differenzia dal primo, ossia rimanendo ambigui, forse volutamente, per ottenere una reazione. Solo la distinzione può riportare chiarezza, per questo è necessario parlare di nichilismo e delle sue contraddizioni ma distinguere dove sta l'errore e dove sta la via del suo superamento. Se invece si indugia sul necessario sviluppo di esso come base per giustificare il mondo così com'è, non sono d'accordo.

ID38494 - 01/12/2013 15:16:26 - (Dru) - Il mondo così com'è

É il mondo isolato, " l'isolamento appartiene all'essenza del dominio in quanto tale. Dominare qualcosa significa disporne, significa cioè che il dominato non é sottoposto ad altra legge e non obbedisce ad altri ordini che a quelli del dominante. Se il dominato non può sottrarsi (ndr. = Al destino della necessità che si contrappone alla vera violenza, la violenza del dominio sulle cose che si vogliono libere di oscillare tra l'essere e il niente teste descritto) a leggi che sono diverse dalle leggi del dominio, il dominio é impotente, cioè non é dominio. Affinché qualcosa sia dominato è necessario che non esista alcun legame indissolubile a il qualcosa è il non dominato, ossia tra il dominato e tutte le altre cose; perché se qualcosa è unito da un legame indissolubile alle altre cose, il qualcosa è sottoposto alla legge costituita da tale legame, e in quanto così sottoposto non

ID38495 - 01/12/2013 15:24:20 - (Dru) -

è disponibile al dominio che intende disporne". Destino della necessità pag. 238. Se la violenza di cui parli tu é lo schiaffo o lo stupro, quelli sono i segni evidenti della violenza, la volontà appunto di dominare l'ente, ma il volerli soffocare con la stessa origine che li perpetra non é la soluzione. Il mio prossimo articolo tratterà in modo specifico questo argomento.

ID38527 - 02/12/2013 17:37:52 - (Leretico) - Ancora sull'ambiguità

Riferire all stessa radice filosofica sia la violenza che il rimedio alla violenza può essere un'operazione di conoscenza molto valida, anche se fine a se stessa. Intendo dire che conoscere il fondamento da cui parte la violenza e capire che anche il rimedio, ossia l'intervento su di essa, nasce dallo stesso errore, mi interessa perché mi dà il mezzo per arrivare a ipotizzare qualcosa di alternativo. Ma affermare che la violenza è in ogni caso presente, sia nell'azione che nel tentativo sociale di bloccarlo, non può significare che le due cose sono sullo stesso piano morale. E' vero, il piano morale non è toccato dall'affermare il concetto, dal dedurre ed esplicitare questa conclusione, ma viene toccato nel momento in cui si dice che la violenza è giustificata proprio perché il tentativo di limitarla è altrettanta violenza. Pensiamo alla violenza del rappresentante della forza pubblica che reagisce a una rapina ad una

ID38528 - 02/12/2013 17:47:48 - (Leretico) - continua

vecchina. E' vero anche quest'ultima è violenza, ma la vogliamo mettere alla stregua della prima? Ebbene, ogni volta che tentiamo di farci guidare dalla filosofia per comprendere il vero del mondo non dobbiamo dimenticare che nel momento in cui rendiamo pratico, cioè agiamo quella comprensione, lo facciamo coinvolgendo automaticamente il piano morale. Non esiste comportamento e quindi pensiero che lo guidi, avulso dalla sfera morale. Ecco che allora l'ambiguità con cui si parla di violenza, qualsiasi sia il sistema filosofico in cui crediamo, deve essere risolta, disambiguata. Altrimenti l'ontologia parmenidea diventa giustificazione dello status quo, sempre e comunque. Hegel fu considerato il padre dello stato prussiano, addirittura fondatore del concetto dello stato forte prussiano che con la guerra avrebbe sintetizzato il concetto dialettico del potere sugli altri popoli. Apologia della grande Germania? Fondamento dello stato nazista del secolo a lui

ID38529 - 02/12/2013 17:52:39 - (Leretico) - continua

futuro? Forse. Certo è che, come avvenne per Nietzsche, il pericolo dell'ambiguità è formidabile. Bisognerebbe invece imparare a discutere di fondamenti, cioè sempre dubitare anche di quelli che più ci sembrano veri, e forse proprio per tale sicurezza. Questa è la strada per la soluzione di cui ti accingi a parlare.

ID38530 - 02/12/2013 18:39:16 - (Dru) - L'etica e il piano morale

Sono conseguenza della violenza. Per i vinti la violenza si trasforma in potenza, per i vincitori la violenza é giustizia, si tratta di comprendere che comunque é violenza e la violenza non la ripari se ne riconosci solo una parte, quella evidente.in filosofia la morale é una parte e guai ha confonderà con il tutto o l'ente in quanto ente è non dell'ente in quanto morale. Comunque sforzati di comprendere l'ente in quanto tale e farai filosofia...

ID38531 - 02/12/2013 18:40:23 - (Dru) - L'iPad maledetto

e le sue correzioni, scusatemi...

ID38539 - 02/12/2013 19:56:03 - (Leretico) - L'ente in quanto ente

Studiare l'ente in quanto ente significa studiare il tutto. Altrimenti sarebbe lo studio dell'ente in quanto determinato, ossia di una parte del tutto. L'etica riguarda l'agire dell'uomo, quindi una parte del tutto. Ciò nonostante se parlassimo del tutto staremmo parlando anche della sua parte. Se parliamo di violenza in senso filosofico stiamo parlando dell'ente in quanto ente, ma nel momento in cui vogliamo spostarci sul piano della determinazione, pur non dimenticando il collegamento con il tutto, dobbiamo riferirci all'etica. Se ogni pensiero sull'ente è sia concetto riferito al tutto che riferito al particolare, allora non può esserci pensiero senza che questo implichi l'etica e non c'è etica che non implichi il pensiero del tutto. Quindi non posso pensare senza che questo pensiero sia anche e debba anche essere etico. La vera violenza è separare pensiero da etica, cioé considerarlo come separato da essa.

ID38540 - 02/12/2013 20:04:31 - (Leretico) - continua

Studiare l'ente in quanto ente significa dunque andare al di là del fisico, ma non staccarsi da esso. Dunque, se il nichilismo è separazione dell'ente dal tutto, la violenza risiede in questa separazione. Volere controbattere la violenza con altra violenza equilibra le forze ma non è la soluzione, almeno non quella definitiva. Riportare l'etica al suo collegamento indissolubile, almeno pensarlo tale, con il pensiero è il procedimento. Il pensare l'essere come nulla è il contraddittorio da superare, non può essere la constatazione che il mondo va in questo modo e per questo dobbiamo accettarlo. Dire che l'essere è e non può non essere non significa che la violenza, qualsiasi essa sia, filosofica o sociale, sia accettabile come strumento.

ID38543 - 02/12/2013 21:06:06 - (Dru) -

Il pensare la violenza come nulla, perché dominandola la si vuole spegnere, è la contraddizione che la verità contiene del significato nichilista dell'ente in quanto ente. Il dobbiamo accettato o il dobbiamo contrastarlo é l'azione tipica della volontà di potenza e in quanto tale è nichilismo.

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