La vecchia osteria bresciana? Un genere in via di estinzione, che Slow Food cerca di salvaguardare. Principalmente con uno strumento, la guida Osterie d’Italia, presentata nei giorni scorsi anche a Brescia
La vecchia osteria bresciana? Un genere in via di «estinzione», che Slow Food cerca di salvaguardare.
Principalmente con uno strumento, la guida «Osterie d’Italia» - presentata nei giorni scorsi anche a Brescia alla Cascina Maggia di Brescia - realizzata in collaborazione con altre osterie (Il Poeta e il Contadino di Casalbuttano, Il Duca Minimo di Milzano, Viola di Castiglione delle Stiviere, Castello di Serle).
Il volume segnala 1656 indirizzi dove, secondo i parametri di Slow Food, si possono ancora ritrovare l’atmosfera, i sapori, la cucina tradizionale e autentica (anche i prezzi) che un tempo eravamo soliti associare alla trattoria di fiducia.
Tra questi, ben 31 sono bresciani( uno è valsabbino, la trattoria Lamarta di Treviso bresciano): segno che, anche in provincia, non tutto è perduto.
«Diciamolo subito, l’osteria come la si intendeva un tempo, il locale dove si poteva entrare per un bicchiere di vino o una partita a carte e fermarsi anche a mangiare, è effettivamente ormai una rarità - spiega Francesco Amonti, "governatore" bresciano di Slow Food -.
C’è qualcuno che continua a perseguire questa filosofia: ad esempio "Il Volto" di Iseo, uno dei locali più conosciuti e apprezzati d’Italia: ha ancora i tratti dell’antica osteria, ma si colloca in una fascia di prezzo che non permette di inserirlo tra le Osterie d’Italia».
Tra i requisiti primari per rientrare nel profilo di Osteria secondo Slow Food c’è anche un conto finale che non deve superare i 35 euro per un pranzo o cena di almeno 3 portate, vini esclusi; e ovviamente deve anche, e soprattutto, comunicare il territorio, rispettandone i prodotti, in un’atmosfera di particolare e familiare accoglienza.
Come si deve mangiare in questi locali? Semplice: il cibo deve essere non tanto e non solo di qualità, ma buono, pulito e giusto (perché anche chi produce e lavora ha diritto a una giusta remunerazione).
«La ricerca delle osterie è un lavoro collettivo, fatto dai soci, dalle persone che, anche per coltivare il senso della convivialità, percorrono il territorio alla ricerca di questi locali - spiega Amonti -. Alla fine, tutto viene assemblato e controllato da una redazione centrale». Da questa selezione, sono uscite anche le magnifiche 32 di terra bresciana che nulla hanno a che vedere con i locali dai piatti veloci e senza gusto. «Nulla a che fare con lo spirito di questa guida - conclude Amonti - che, ricordiamolo, è nata anche per iniziativa di Marino Marini, conoscitore dell’enogastronomia del territorio e fondatore della Condotta di Brescia, nel 1986».
c.a.
Da Bresciaoggi
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