Di chi è l'acqua?

Secondo il “mercato” cioè secondo i soggetti che ne sono protagonisti, l'acqua è “un bene economico disponibile in quantità limitata che serve a soddisfare un bisogno umano e come tutti i beni economici, cioè come tutte le merci, deve essere gestita da soggetti il cui fine nella loro attività e quello di massimizzare gli utili mentre il suo prezzo può essere soggetto a variazioni di mercato anche sotto la spinta di dinamiche speculative secondo le variazioni degli indici di mercato”.

Chiaramente questa visione estrema risponde ad una visione ultraliberistica che considera l’acqua, ed i servizi correlati, una merce come tutte le altre.

Nello specifico questa merce dovrebbe essere gestita secondo le regole del libero(?) mercato secondo, cioè, la legge della domanda e dell'offerta che segue il principio “denominato” laissez-faire.

Ciò determinerebbe, secondo i dogmi del sistema economico liberista, che le transazioni tra gruppi privati di persone sarebbero libere, o quasi, da ogni forma di interventismo economico producendo un effetto secondo cui “l’azione egoistica del singolo alla ricerca del proprio benessere sarebbe sufficiente a garantire la prosperità economica dell’intera società(!)”. Chiaramente una visione antitetica rispetto alla precedente visione pubblica della gestione dei beni comuni.

Chi sono i protagonisti del (libero?) mercato: soggetti in forma di società di capitali, dunque, soggetti di diritto privato sottoposto alle regole del diritto commerciale.

Il loro fine, come chiariscono bene le norme, è quello di fare profitto nella misura più alta possibile e nel caso siano quotate in borsa, la loro attività è finalizzata anche ad aumentare il valore borsistico della società.

Per loro precipua caratteristica non hanno fini sociali ed anche se in forma di partenariato pubblico-privato, dunque a parziale partecipazione pubblica, la loro azione è orientata alla massima utilità cioè fare utili nella misura più alta possibile.

L’azione dei soci, anche se pubblici, secondo le norme, si limita all’elezione del CDA, alla determinazione dei relativi compensi ed all’approvazione del bilancio.

La questione della gestione societaria, va rimarcato, rimane “un affare” interno al consiglio d’amministrazione ed in particolare è compito dell’amministratore delegato, vero driver della società, decidere le strategie di mercato, le politiche commerciali, le acquisizioni mentre i soci, si limiteranno a cogliere i frutti di tale azione, pur essendo “i proprietari della società”.

La società evidenzierà dal canto suo la sua totale autonomia operativa rispetto ai soci, rispondendo, attraverso le sue azioni al mercato più che ai soci stessi tanto più se questi sono di natura pubblica.

Si pensi, ad esempio, ad Eni che grazie al caro energia, ha prodotto l'utile operativo adjusted (Ebit adjusted) di gruppo nell'esercizio 2022 di 20,4 miliardi, raddoppiato rispetto al 2021.

Lo stato è il socio di maggioranza col 32% suddiviso tra vari enti ma ciò non ha limitato l’azione speculativa di Eni sul mercato dell’Energia.

Sono migliaia le società sul modello pubblico-privato che, anziché tutelare l’interesse pubblico, si prodigano per rastrellare le tasche dei cittadini svuotandole grazie alla gestione di servizi essenziali come l’energia e l’acqua!

Perciò la domanda che dobbiamo porre al mercato o meglio ai soggetti che agiscono nel mercato: cosa ne fate dell'acqua come risorsa visto che la considerate una merce, un bene economico come gli altri? Potete garantire il diritto all'acqua agli esseri viventi per tutti gli usi umani prioritari definendone delle priorità negli usi dell'interesse primo dell'intera collettività? Potreste ispirare politiche di tutela e risparmio ponendo un limite nel vendere sempre più acqua e limitando il vostro profitto se la risorsa fosse in crisi?

Continua…   

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