30 Dicembre 2006, 00.00
Valsabbia - C
Economia&Società

Ora che la Finanziaria bussa alla porta di tutti

di Sergio Re

Dopo lunghi mesi trascorsi dalle opposte fazioni politiche a lanciarsi insulti e accuse di incompetenza, la Finanziaria entrerà nelle nostre case. Il tempo degli slogan è dunque finito, capiremo chi prende e chi dà.
L'opinione di Sergio Re

Il provvedimento legislativo è andato in porto, ma – dice Luciano Cafagna sul Corriere economia di qual-che giorno fa – ora bisognerà aspettare «che il naturale effetto della forza di gravità stenda a terra il polverone altissimo e fosco che da tutte le parti, proprio tutte, si è levato intorno alla legge Finanziaria per il 2007».
Dopo di che, ovviamente, volenti o nolenti la Finanziaria entrerà nelle nostre case.

Per alcuni mesi (troppi per la verità!) le opposte fazioni parlamentari si sono misurate su questo provvedimento per lo più insultandosi reciprocamente e scagliandosi, come eserciti avversi (e già considerarsi avversari tra forze politiche di governo e di opposizione mi sembra frutto di una prospettiva drammatica), accuse di incompetenza, di amoralità, di falsificazione e di spergiuro.
Saremmo tentati di chiudere la questione come nota folcloristica tipica del temperamento latino. È vero infatti che così succedeva anche nella leale inimicizia di Don Camillo e Peppone, ma salta subito all’occhio una grossa differenza.
Là le ripetute difficoltà della vita riuscivano subito a mettere d’accordo le due fazioni perché la centralità dei problemi era salvaguardata dall’urgenza dei problemi stessi e dalla loro condivisione generale.

Non che i problemi oggi siano di minore entità o meno impellenti, anzi.
Questa teoria però non funziona più perché, a mio avviso, è venuto meno il senso di solidarietà tra le persone.
Nella Bassa di Guareschi c’erano due o tre proprietari terrieri da una parte, qualche miserabile dall’altra e il resto della popolazione (la stragrande maggioranza) viveva sobriamente del duro lavoro.
Qui ed oggi esistono invece evidente-mente vaste aree di privilegio nelle cui nicchie molti pensano di poter resistere indenni agli assalti e alle avversità della vita che però non sono più e soltanto l’alluvione occasionale o la tempesta sul raccolto, oggi stiamo parlando di degrado ambientale e di concorrenza sleale delle economie emergenti che stra-volgono il senso di ogni nostro pensiero tradizionale.
Così, allettati da questa visione di nicchia, molta gente sembra aver completamente perso il contatto con la realtà.

Pochi giorni fa sul Giornale di Brescia un lettore lamentava l’insipienza degli amministratori comunali e li accusava di avere occhi solo per il problema economico, trascurando le reali necessità della gente.
Sotto questa accusa, peraltro largamente condivisa dalla opinione pubblica, si nasconde un trabocchetto.
Certo, gli ospedali devono funzionare, i cittadini necessitano di una gestione più flessibile ed efficiente, ma tutto questo io credo che non si possa disgiungere dalla economicità degli interventi, dalla ragionevolezza degli investimenti, dalla oculatezza insomma nella gestione del denaro pubblico.

Torniamo quindi alla legge Finanziaria.
In primis mi sembra necessario restituire dignità alle persone che pro tempore reggono le sorti della nazione.
Fino a prova contraria (eventualmente ratificata della magistratura) non credo che l’attuale governo sia delegittimato ad amministrare per quella incapacità congenita che gli contesta l’opposizione.
Voglio dire che, di chiunque sia la colpa, se ci veniamo oggi a trovare in presenza di un pesante squilibrio nella distribuzione delle risorse e – soprattutto – se molti destinatari di queste risorse furbescamente le nascondono al fisco, ritengo giusto e indispensabile che si proceda ad una riparametrazione degli obblighi.

È una questione di giustizia.
Credo inoltre che nessun uomo, nessuna legge, nessuna regola sia perfetta e che ogni cosa si possa fare meglio, ma so per certo che per poterlo fa-re bisogna rimboccarsi le maniche.
Di fronte allo sperpero di denaro pubblico, di fronte all’inefficienza della macchina burocratica ripiegata su se stessa, intenta spesso a dissipare risorse non sempre in maniera oculata (enti locali che scialano su consulenze miliardarie o aprono “consolati” – come birrerie nel deserto – nei più strani luoghi del mondo), di fronte ad una scuola spesso costosa e inefficiente e di fronte ai particolarismi (nessuno vuol sentir parlare di egoismo, così gli egoisti si rifugiano dietro questo sinonimo come se in qualche modo ne venisse nobilitata la sostanza) di alcune professioni, di fronte a vere e proprie frodi con grave danno per la pubblica amministrazione, io non capisco come ci si possa ancora ostinare a non volere la riorganizzazione dello stato.

Il fatto è che sin dalle prime mosse ogni discussione sulla Finanziaria ha avuto le caratteristiche di un “assalto alla diligenza”; ciascuno insomma voleva portare acqua al suo mulino, dimostrando con chiarezza – ma non ce n’era di bisogno – che nessuno è disposto a rimboccarsele queste maniche.
Tutte le corporazioni (altro termine che urta lo stomaco delicato dei lobbisti) si arroccano insomma dietro quella sindrome che oggi va di moda indicare col termine anglosassone nimby (not in my back yard) cioè, fate questa cosa, fatela pure, purché non a casa mia.

La “Finanziaria” invece oggi bussa per entrare in tutte le case, solo che – a dire il vero – bene bene nessuno ha ancora capito (e questo è uno dei più grandi peccati di questo governo) se ci vuole entrare con qualche pacchettino tra le mani o se vuol entrare a mani vuote per uscire portandosi via qualcosa.
Ciò che voglio dire è che la diligenza è vuota e, se vogliamo che qualche pacchetto resti nelle case dei più bisognosi, bisognerà che i più facoltosi, senza piangere, incomincino ad assuefarsi all’idea di contribuire in qualche modo per restituire dignità ai più deboli, e – se lo facessero di buon grado – sarebbe grande motivo di dignità anche per loro. Il fatto è che di fronte al pericolo di un nuovo prelievo economico o anche solo di qualche restringimento dei diritti, a tutela ad esempio dell’ambiente, un bene che rischiamo di consegnare degradato alle generazioni future, tutti improvvisamente si sentono deboli, lamentano l’impossibilità di contribuire, anche coloro che in altre occasioni hanno sbandierato – almeno a voce – quella rigorosa ragionevolezza cristiana che evidentemente è solo di facciata.

Non possiamo concludere questa nota senza ricordare il monito che – a proposito della conflittualità tra agiatezza ed indigenza - il filosofo Emanuele Severino ha lanciato nel corso della relazione «Conflittualità planetaria: culture e strutture»: l'Occidente (agiato) riduca il tenore di vita o si riterrà costretto a usare l’atomica contro i poveri!


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