20 Giugno 2016, 12.12
Valsabbia
Giornata mondiale dei profughi

Parole e significati

di Jessica Freddi

Migrante, rifugiato, profugo, clandestino, straniero... per molti il significato di queste parole è lo stesso e ci si mettono anche i media a fare confusione. Invece non sono sinonimi e forse è il caso di non utilizzarle a sproposito


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Oggi, 20 giugno, è la giornata mondiale dei profughi.

Profughi, migranti, rifugiati, clandestini. Termini che sembrano ormai sovrapporsi, insieme alle nostre idee sui fatti di cronaca internazionale attuali, e che vengono spesso usati dai media come sinonimi, quando indicano invece situazioni ben differenti.

La parola “migrante” è usata spesso in maniera generica, per indicare il flusso di persone che, in fuga dal proprio Paese, arriva in un altro, ma in realtà indica più precisamente chi decide di lasciare volontariamente il proprio Paese per cercare lavoro e condizioni di vita migliori.

Non si tratta quindi di perseguitati, in quanto hanno spesso la possibilità di tornare nello Stato di origine in condizioni di sicurezza, ma decidono di non farlo per ragioni economiche e lavorative e non a casa di un fattore “esterno”.

“Rifugiato” è invece un termine con un significato, soprattutto giuridico, ben preciso, sancito e definito nel diritto internazionale dalla Convezione di Ginevra del 1951: è riconosciuto a tutte quelle persone che non possono tornare a casa perché per loro sarebbe troppo pericoloso, e hanno necessità di trovare protezione altrove.

"Nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato”.

La Convezione, dopo aver dato la definizione di rifugiato, sancisce anche che tale status è una condizione giuridica, e, in quanto tale, può essere perso, se la persona ha volontariamente richiesto la protezione dello Stato di cui è cittadino, o se ha acquistato una nuova cittadinanza e può godere della protezione del nuovo Paese, o se è volontariamente tornata nel Paese d’origine, o ancora se si sono estinte le circostanze per cui aveva dovuto fuggire.

“Profugo”, che tanto siamo abituati a sentire, ha un significato ancora diverso: è colui che per varie ragioni, tra cui guerra, povertà e fame, ha lasciato il proprio Paese, ma non è nelle condizioni di chiedere la protezione internazionale, come potrebbe invece fare un rifugiato.

“Profugo”, dal latino profugere, “cercare scampo”, una persona costretta ad abbandonare la sua terra e la sua patria.
In tutta questa confusione di termini, parole, notizie, spesso dimentichiamo proprio l’elemento della fuga, il più importante.

Per non dimenticare, per capire, il 20 giugno di ogni anno, dal 2001, l’ONU celebra la Giornata mondiale dei profughi, per commemorare l’approvazione, nel 1951, della Convenzione sui profughi, o, più precisamente, sullo status dei rifugiati.
La Convenzione del 1951 è un documento chiave per il lavoro sui diritti e lo status dei rifugiati: firmata da 144 Stati, definisce il termine “rifugiato” e stabilisce quali sono i diritti e i doveri dei rifugiati negli Stati in cui arrivano, e gli obblighi degli Stati che devono dare loro protezione.

Principio fondamentale sancito dalla Convenzione:
un rifugiato non deve tornare nel Paese d’origine se sono minacciate la sua vita e la sua libertà a causa della sua razza, religione, nazionalità o opinione politica.
La Convenzione da anche delle nozioni quadro, affinché i rifugiati accolti si integrino il più possibile e rispettino le leggi dei Paesi ospiti, che dovranno adottare politiche adeguate.

È sempre più necessario rivedere le regole, sul piano europeo e internazionale, che ogni giorno vengono purtroppo superate dalla forza dei fatti, nell’ottica di migliorare l’accoglienza e creare delle cornici guida per i governi.
Non è infatti facile trovare un compromesso tra accogliere e evitare paura e discriminazione nei cittadini, ma i numeri parlano chiaro e un’azione immediata e definitiva.

Non si può più parlare di “emergenza profughi”,
non è un evento che accade una volta ogni tanto, è ormai un’orribile costante e servono politiche e servizi sul territorio che aiutino sia i migranti che le comunità che dovranno ospitarli.
Impariamo a fare distinzioni valide, non per discriminare ma per capire.

Impariamo a ricordare cosa significa profugo, colui che fugge.





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