25 Ottobre 2012, 11.09
Provincia
Indagine congiunturale

In estate la produzione azzera i guadagni degli ultimi tre anni

di red.

Nel terzo trimestre del 2012, rileva il Centro Studi di AIB, l'attivitŕ produttiva delle imprese manifatturiere bresciane ha registrato una pesante contrazione, che segue la flessione sperimentata nella rilevazione precedente.

La negativa performance congiunturale del made in Brescia sconta la prosecuzione della fase recessiva nazionale, la persistente debolezza dell’economia mondiale, nonché fattori stagionali legati alla chiusura nel mese di agosto della maggior parte degli stabilimenti produttivi.
E' quanto emerge dall'indagine che viene effettuata trimestralmente su un panel di 250 imprese associate Aib appartenenti al settore manifatturiero.

Nel dettaglio, la produzione industriale bresciana evidenzia un calo congiunturale del 4,7 per cento, il tasso tendenziale è pari a meno 8,5 per cento, mentre l’indice destagionalizzato, cioè corretto per i giorni lavorativi, è diminuito dell’1,5 per cento rispetto al trimestre precedente. Il tasso acquisito, ovvero la variazione media annua che si avrebbe se la produzione non subisse alcuna variazione fino alla fine del 2012, è pari a meno 6,3 per cento. A seguito dell’arretramento dell’attività produttiva riscontrato nel trimestre estivo, l’indice grezzo della produzione industriale in provincia di Brescia ha toccato nuovi minimi, azzerando di fatto ogni guadagno effettuato negli ultimi tre anni: la distanza dal picco di attività pre-crisi (primo trimestre 2008) si è così ampliata a - 29,5 per cento.
Le prospettive per gli ultimi mesi del 2012 restano molto sfavorevoli: produzione, occupazione, ordinativi nazionali e comunitari sono attesi ancora in forte diminuzione. Per contro, notizie relativamente più confortanti arriveranno dai mercati esteri più distanti i quali, nonostante il rallentamento in atto nei Paesi emergenti, si confermeranno come l’unico driver di crescita per il manifatturiero bresciano.
Sul fronte interno la situazione rimarrà piuttosto fragile: ci vorrà infatti del tempo prima che la recente approvazione da parte della BCE del programma OMT (Outright Monetary Transactions) e il “via libera” definitivo del Fondo ESM si traducano in un recupero della fiducia e, di conseguenza (anche attraverso la riattivazione del circuito del credito), dei livelli di attività.

La disaggregazione della variazione della produzione per classi dimensionali mostra flessioni superiori alla media per le imprese di maggiori dimensioni (-7,0%) e per le medio-grandi (-5,7%). Contrazioni tutto sommato in linea con il valore aggregato si registrano per le imprese micro (-4,2%), piccole (-4,3%), medio-piccole (-4,3%) e grandi (-4,0%).

La segmentazione per settore della dinamica congiunturale si caratterizza per un’elevata eterogeneità fra i comparti manifatturieri. L’attività produttiva è infatti significativamente diminuita nei settori: metallurgico e siderurgico (-9,3%), chimico, gomma e plastica (-8,5%), tessile (-6,7%), maglie e calze (-6,0%), meccanica tradizionale e mezzi di trasporto (-6,0%), materiali da costruzione ed estrattive (-5,6%); essa ha registrato una flessione meno marcata per gli operatori del carta e stampa (-3,5%), dell’abbigliamento (-2,0%), del legno e mobili in legno (-1,9%), del calzaturiero (-1,1%) e dell’agroalimentare e caseario (-0,3%). La produzione è invece aumentata nel comparto meccanica di precisione e costruzione di apparecchiature elettriche (+1,5%).

Il tasso di utilizzo della capacità produttiva, attestatosi al 63 per cento, è diminuito di due punti percentuali rispetto al secondo trimestre di quest’anno e del 3 per cento nei confronti del terzo trimestre 2011.

Le vendite sul mercato italiano sono diminuite per il 48% delle imprese, aumentate per il 10% e rimaste invariate per il 42%. Le vendite verso i Paesi comunitari sono diminuite per il 30% degli operatori, aumentate per l’11% e rimaste stabili per il 59%; quelle verso i Paesi extra UE sono calate per il 23%, cresciute per il 14% e rimaste invariate per il 63% del campione.

I consumi energetici sono diminuiti per il 48% degli operatori, con una variazione media negativa del 4,1%. Le giacenze di prodotti finiti sono ritenute adeguate alle necessità aziendali dal 79% delle imprese; le scorte di materie prime sono giudicate normali dall’86% del campione.

I costi di acquisto delle materie prime sono aumentati per il 17% delle imprese, con un incremento medio dello 0,4%. I prezzi di vendita dei prodotti sono stati rivisti al ribasso dal 9% delle aziende, con una flessione media dello 0,4%.

Il costo del lavoro è cresciuto per il 5% delle aziende ed è rimasto invariato per il rimanente 95%. Gli investimenti effettuati nel trimestre sono diminuiti per il 15% delle imprese e rimasti costanti per il 76%.

Le prospettive per i prossimi mesi si confermano negative: l’attività produttiva è infatti prevista in diminuzione dal 33% delle imprese, stabile dal 58% e in aumento soltanto dal 9%. Le aspettative sono pessimistiche nei comparti: abbigliamento, calzaturiero, carta e stampa, chimico, gomma e plastica, materiali da costruzione ed estrattive, metallurgico e siderurgico, meccanica tradizionale e mezzi di trasporto. Esse sono più ottimistiche per gli operatori dei settori agroalimentare e caseario, legno e mobili in legno, maglie e calze, meccanica di precisione e costruzione di apparecchiature elettriche, tessile. Con riferimento alle classi dimensionali, si segnalano flessioni piuttosto generalizzate, particolarmente evidenti per le imprese di maggiori dimensioni, mentre segnali positivi provengono da quelle grandi.

Gli ordini provenienti dal mercato domestico sono previsti in diminuzione dal 44% delle imprese, stabili dal 52% e in aumento dal 4%; quelli dai Paesi UE sono attesi in flessione dal 19% degli operatori, invariati dal 76% e in crescita dal 5%; quelli provenienti dai mercati extracomunitari dovrebbero crescere per il 18% del campione, rimanere stabili per 68% e diminuire per il 14%. Le aspettative sulla forza lavoro rimango pessimistiche, con un saldo negativo del 20% fra operatori che dichiarano variazioni in aumento e in diminuzione.



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