I rincari che colpiranno nei prossimi giorni i generi alimentari non risparmieranno il latte, destinato a crescere (prezzi al consumo) del 15% circa. E non è escluso che si registri un nuovo incremento.
Non è facile capire bene cosa sta succedendo e quale sia la causa reale. La globalizzazione? Le speculazioni finanziarie? La politica europea? Certo si tratta di un terremoto o, come lo definisce un esperto, di un momento di «pericolosa euforia» del mercato mondiale.
I rincari che colpiranno nei prossimi giorni i generi alimentari non risparmieranno il latte, destinato a crescere (prezzi al consumo) del 15% circa. E non è escluso che, entro la fine dell’anno, si registri un nuovo incremento.
I produttori, infatti, annunciano battaglia e sono pronti a chiedere la revisione del prezzo regionale del latte alla stalla, considerato troppo poco remunerativo in rapporto ai costi che le aziende agricole devono sostenere. «I nostri costi sono aumentati del 40% - spiega Germano Pè, presidente dell’Associazione produttori latte della provincia di Brescia - in particolare per i rincari delle materie prime e dell’energia». I rappresentanti dei produttori hanno già chiesto ai vertici di Assolatte (gli industriali) un incontro: «Entro la prossima settimana dovremmo sederci ad un tavolo - continua Pè - per ridiscutere il prezzo alla stalla: così non possiamo andare avanti. Se vogliono un prodotto di qualità come il latte italiano, lo devono pagare di più: il mondo degli allevatori deve essere remunerato».
Una battaglia che si annuncia lunga e complicata, viste le dichiarazioni di Giuseppe Ambrosi, presidente di Assolatte: «L’accordo siglato alla fine di marzo è per noi un punto fermo, un’intesa che abbiamo raggiunto con grande senso di responsabilità e con dichiarata soddisfazione delle organizzazioni agricole».
Tuttavia, per tornare ai dati, il prezzo medio del latte alla stalla, in Italia, è più di quattro volte inferiore rispetto a quello al consumo. Inoltre, il consumatore italiano paga il latte (circa 1,40 euro al litro) più di quanto faccia un francese (1,05 euro), un inglese (1 euro) o un tedesco (0,64 euro). Ma gli industriali si difendono, e non vogliono saperne di addossarsi la colpa dei rincari previsti per i prossimi giorni. «È vero - dice Ambrosi - che nelle prossime settimane i prezzi dei prodotti a base latte sono destinati ad aumentare: tuttavia, gli aumenti saranno di gran lunga inferiori a quelli che temono le associazioni dei consumatori».
Secondo Ambrosi (ma questa è una tesi condivisa, ad esempio, anche dal presidente di Confagricoltura Lombardia, Francesco Bettoni), i rincari arrivano dopo dieci anni in cui i prezzi sono cresciuti «molto meno del tasso d’inflazione: quelli che abbiamo previsto sono aumenti indispensabili, legati alla lievitazione delle materie prime». In particolare, i fattori che hanno causato l’incremento dei costi sono di carattere globale: la siccità in alcuni Paesi ha causato una riduzione della produzione, mentre i consumi sono aumentati. «Senza dimenticare - conclude Ambrosi - gli effetti della politica europea che limita le produzioni e va ridiscussa».
E qui torniamo all’annoso problema delle quote che, secondo alcuni (Coldiretti e Confa- gricoltura in testa), devono essere rispettate perché possono garantire un prezzo dignitoso, mentre secondo altri (i Cobas) sono l’origine di tutti i mali. Alessandro Baronchelli (segretario di Copagri) spiega la posizione dei produttori di base: «Non vogliamo attaccare l’industria, ma il sistema: siamo allo sfascio, dopo vent’anni di quote non c’è più latte e i prezzi saliranno ancora. Le aziende agricole sono strangolate e costrette a chiudere».
I Cobas (che rappresentano circa il 15% dei produttori nazionali) sono pronti a proclamare, a partire dal prossimo 3 settembre e per una settimana, uno sciopero che significa stop alle forniture e continuano a sostenere che, senza il latte che loro producono in eccesso (e per il quale non pagano le multe europee), l’Italia sarebbe da tempo giunta al collasso.
I prezzi del Grana Padano, intanto, testimoniano l’eccentricità del momento: negli ultimi anni abbiamo assistito a un continuo deprezzamento (dovuto a una maggiore diffusione dei formaggi similari a prezzi più bassi), mentre durante l’estate il costo al kg è aumentato di circa 1 euro. Secondo Stefano Berni, direttore generale del Consorzio di tutela del Grana Padano, «il prezzo è schizzato verso l’alto a causa dalla congiuntura internazionale: molti produttori di Grana hanno venduto il loro latte perché il prezzo è aumentato».
Tutta colpa della globalizzazione, insomma, e della vecchia legge della domanda e dell’offerta: se minori sono le quantità in circolazione, maggiore sarà il prezzo.
Indubbiamente il problema è più complesso e non si può scaricare la colpa solo su Cina, India e sui nuovi consumi mondiali. Per ora, tuttavia, mano al portafoglio e consoliamoci con la consapevolezza (fondata) di consumare i prodotti alimentari migliori del mondo.
Guido Lombardi
Da Giornale di Brescia