21 Marzo 2009, 00.00
O
Libri

A un cerbiatto somiglia il mio amore

Un altro libro da lasciar sedimentare: bisogna lasciare sfumare lentamente il sapore delle parole, č necessario liberare la mente dalla morsa del racconto e delle immagini, prima di riprendere qualunque altra attivitŕ.

 A un cerbiatto somiglia il mio amore, di David Grossmann.

Eccone un altro. Un altro libro di quelli che vanno lasciati sedimentare: bisogna lasciare sfumare lentamente il sapore delle parole, è necessario liberare la mente dalla morsa del racconto e delle immagini, prima di riprendere qualunque altra attività.

Quanto è umana ed eroica insieme Orah. Con quale maestria il dramma di più vite viene tratteggiato, approfondito, rivoltato, portato alla luce. Delicato, disperatamente reale e, per destino, toccante.
Delicato per l’amore che trasuda dalle pagine: amore di una madre (ma anche di un padre e di una famiglia intera) per il figlio, di una donna per i due uomini, dall’unico amore, che l’hanno accompagnata per tutta una vita.

Reale perché le parole dei personaggi rendono benissimo l’idea di due paesi lacerati da una guerra logorante, continua, asfissiante nel suo prorompere nelle vicende familiari e intime dei protagonisti.
Toccante per la vicenda personale e familiare dell’autore: Grossman perde un figlio nella seconda guerra del Libano e, come scrive alla fine del suo libro, “la cassa di risonanza della realtà” impone al racconto un’atroce lucidità.

Le pagine sono 780: superata la prima sezione, forse troppo lunga, si cammina costantemente sull’orlo del baratro di diverse vite: quella di Orah, quella di suo figlio Ofer, e degli altri protagonisti. Si cerca di sfuggire alla realtà, si combatte a fianco di questa donna contro le regole di un gioco di cui si è involontariamente parte, ci si oppone strenuamente allo sconsolante pensiero che la felicità sia una condizione di clandestinità, un momento da strappare dalle mani del destino per poi arrendersi all’inarrestabile e a ciò che è più forte di noi.

E. C.



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