Riportiamo la commovente testimonianza letta da un ex alunno degli anni 60 del maestro Simoni alla scuola elementare di Gavardo
Nei libri si legge: «Lo sviluppo umano è un processo dinamico costituito da una serie di cambiamenti che avvengono in ciascuna delle fasi principali della vita di ognuno di noi e che hanno importanti implicazioni per il nostro futuro. Poiché la persona conosce e interpreta la realtà in interazione con l’ambiente che man mano lo circonda, le diverse funzioni psicologiche dello sviluppo sono estremamente importanti nel processo della sua maturazione».
Orbene, se dovessi indicare una figura che mi è stata di particolare aiuto nel processo di crescita e di formazione, soprattutto negli anni della mia giovinezza, non avrei dubbi nell’assegnare, oltre beninteso ai miei genitori ed a mia sorella Rosetta, pure lei insegnante presso le scuole elementari di Gavardo, la palma di
magister a Piero (Rino) Simoni.
Rino (come mi concesse di chiamarlo una volta divenuto adulto) è stato mio maestro negli anni scolastici dal 1959 al 1962. In prima e seconda elementare la maestra era stata Lina Caprioli che, alla morte del marito, Geometra Giuseppe Zane, si era trasferita in quel di Brescia, sua città natale. Ricordare quegli anni mi fa specie poiché quando ho iniziato a frequentare le scuole elementari in via Fossa insegnava ancora Angelo Zane, maestro di mio papà ed erano ancora in servizio attivo le maestre di mia mamma (Cirimbelli e Tabadorini).
Oggi il turnover degli insegnanti si è molto accelerato ma negli anni Sessanta non era così sostenuto. Le elementari gavardesi del dopoguerra hanno poggiato per decenni sulle spalle del quadrumvirato: Mario Baronchelli, Omodeo Cantoni, Alberto Grumi, Pietro Simoni per quanto riguarda i maestri e su Lina Caprettini, Margherita Orgnani, Beatrice Ferretti, Maria Foppiano per quanto riguarda le maestre (i cognomi di queste maestre forse non vi dicono granché, ma se ve le nominassi con il cognome dei mariti – come era d’abitudine allora – ve le ricordereste certamente: chi di voi non ricorda la maestra Cantoni, la maestra De Giuli, la maestra Ferretti, la maestra Scolari?). Poi sono arrivati i maestri Giuseppe Ionita (vi ricordate? Il primo maestro meridionale approdato nel nostro comune; maestro della classe 1946 di mio cugino Osvaldo, ai quali insegnò per la verità poco o nulla), e poi i maestri Giovanni Bosetti, Battista Gorini, Silvio Ortolani, Silvano Baronchelli e le maestre Bianca Zane Goffi, Giuseppina Marchesini Giacopuzzi, Teresa Papa, Dionisia Poli, Maria Paoletti Perani, Aldina Berardi, Enaide Paci, Amici Rosetta, Angiolina Mora, Ines Zangiacomi e qua mi fermo. Non ho citato gli insegnanti gavardesi presso i plessi di Sopraponte, Soprazocco, Vallio, Muscoline, ma come non ricordare i maestri Ongaro, Dossi, Tonacci e le maestre Bonomini, Cortini, Antonelli, ecc. ecc.
La classe di noi coscritti del 1951 fu di certo quella che il maestro Simoni ha amato di più e che lo ha inorgoglito negli anni, in quanto molti di noi si sono laureati e diplomati, raggiungendo traguardi professionali importanti (come non ricordare il maestro Silvano Baronchelli, purtroppo mancato in così giovane età e – fra i viventi – monsignor Cesare Polvara, padre Ezio Bettini, Luciano Monchieri, Silvio Lauro, Ivano Maioli, e ancora gli imprenditori e artigiani Josè Pasini, Ezio Portesi, Antonio Leali, Gianfranco Filippini, Corrado Giacomazzi, Gianni Frapporti, Ferdinando Bresciani, Pierino Massolini e tanti tanti ancora.
Tornando al maestro Simoni, si dice che un insegnante è bravo quando sa stimolare la conoscenza, la curiosità, l’attenzione, il talento dei propri studenti. Ebbene, per me, il maestro Rino ha saputo far vibrare tutte queste corde. Al di là di quanto prevedevano i programmi ministeriali (la solita grammatica, i pensierini, i dettati, la geografia, la storia, l’aritmetica, le tabelline, il disegno, ecc.), riusciva ad arricchire le sue lezioni con nozioni ed attività pratiche che spaziavano dall’archeologia, alla botanica, all’ecologia, all’astrologia.
Ricordo alcuni episodi che possono aiutare a capire.
Per tutti noi scolari, la storia, la geologia, la flora e la fauna erano gli argomenti che più ci appassionavano (ricordo che molti compagni di scuola erano figli di contadini e, da bravo psicologo, il Maestro riusciva ad interessarli puntando più sulle cose concrete e pratiche che non su quelle teoriche). Fin dalla terza elementare, ci accompagnava al Museo - allora in via Molino - e ci mostrava i fossili inglobati nelle rocce sedimentarie che lui ed altri suoi amici speleologi (Alfredo Franzini, Alberto Grumi, Silvio Venturelli, Alessandro Dusi, Antonio Polini, Francesco Maioli) avevano trovato sul Monte Baldo (resti animali, quali ossa, denti, uova, conchiglie, oppure resti vegetali, quali le foglie); ci spiegava come aveva fatto a scoprire i resti ancora integri dell’
ursus spelaeus, al Buco del Frate; ci mostrava le formazioni minerali prodotte dall’accumularsi del carbonato di calcio depositato dalle acque sotterranee, ovvero le stalattiti e le stalagmiti; ci conduceva nel campo del papà di Ezio Bettini, nostro compagno di classe, a cercare punte di frecce in selce del neolitico (o qualcosa di appuntito che potesse immaginariamente avvicinarsi alla sagoma delle frecce usate dai primitivi). Ricordo che eravamo talmente presi dall’archeologia che, aiutato dal mio compagno di giochi Sergio, andavamo a raccogliere cocci di vaso in terracotta, li bagnavamo e li sotterravamo, sperando che una volta ricoperti di muffa potessero sembrare reperti di vasi romani da sottoporre al vaglio del maestro. Quanto eravamo ingenui ….
In quarta, il Maestro ci appassionò alla storia dei comuni e del mondo feudale. Occorre dire che l’orario scolastico prevedeva lezioni il mattino (dalle 8 alle 12) e il pomeriggio dalle 14 alle 16. Il giovedì era giorno di riposo. Il sabato pomeriggio, lo dedicava alla lettura di libri per ragazzi. Orbene, proprio in quell’anno scolastico cominciammo a leggere il libro
“Rompicollo”, ovvero la storia di un ragazzo curioso e molto intraprendente (Riccardo) che, scovata una galleria sotterranea nei pressi di un castello medievale, vi si intrufola, cade e perde i sensi e sogna di rivivere ai tempi in cui il castello è assediato. Da lì, tutte le vicende che ne conseguiranno.
Mi ricordo che non vedevo l’ora che arrivasse il sabato pomeriggio per la continuazione dell’appassionante racconto. Giunti alla fine, il maestro disse ad alcuni di noi di andare a chiedere al collega Grumi chi fosse l’autore. Scoprimmo che ad aver scritto il libro erano stati proprio i due maestri Alberto Grumi e Piero Simoni. Avevano partecipato ad un concorso di letteratura per ragazzi, classificandosi ai primi posti a livello nazionale.
Sempre in quarta, il 15 febbraio 1961, si verificò l’unica eclissi solare di tipo “totale” visibile dal suolo italiano del Ventesimo secolo. Partendo dal sud della Francia, il cono d’ombra sarebbe proseguito nel nord-centro Italia, poi in Jugoslavia e in Romania, infine in Ucraina e in Russia, dove vi sarebbe stato il massimo dell’eclisse, della durata di 2 minuti e 45 secondi, nei pressi della città di Novočerkassk (novocercask). In Italia, l’eclisse ebbe luogo di primo mattino, fra le 8,38 e le 8,40. Il buon maestro Simoni cosa si inventò? Si fece dare da Gabriele Frapporti, papà del qua presente Gianni (che effettuava trasporti di materiali di risulta del Lanificio di Gavardo) vecchi “tubetti” di cartone a forma di tronco di cono, sui quali veniva avvolta la lana appena filata; dal papà (vetraio) del nostro compagno di classe Corrado Giacomazzi si fece ritagliare cerchietti di vetro che, affumicati, incollò alla base del cono. Armati del nostro mega cannocchiale, salimmo al Bersaglio e da lì assistemmo esterrefatti allo sparire del sole. Fu un momento entusiasmante.
Ma ogni argomento teorico che veniva trattato trovava poi nella realtà la sua sostantivazione materiale. Ricordo di aver visto il mio primo scoiattolo e il mio primo ghiro nella gabbia che tenevamo in classe (animaletti catturati nelle loro stalle da Pietro Rivetta di Marzatica, da Luciano e Stefano Massolini nella cascina di Marsina, da Pierino Massolini nella cascina di Ruc). A noi, cosiddetti cittadini, il compito di nutrirli con nocciole, castagne, ghiande.
In quinta elementare creammo il presepe più bello che io abbia mai visto. Dopo una lezione di geografia sulle zone desertiche della Palestina, il maestro ci chiese se, a nostro parere, fosse corretto dar vita ad un presepio con muschio, casette tipo chalet, alberi, ruscelli con mulino, come era abitudine fare nelle nostre case. Ragionammo, discutemmo ed arrivammo alla conclusione che l’habitat in cui Gesù era nato non era certo quello che rappresentavamo ogni 25 dicembre. Il maestro ci spronò ad immaginare come potevamo creare un presepio che fosse il più simile al territorio palestinese. Procurammo la rena, creammo oasi con palme e cammelli, costruimmo casette in legno, facendoci ritagliare dal falegname Battista Leali, papà del nostro compagno Antonio, cubetti di varia misura che pitturammo di bianco e per tetto applicammo cupole semisferiche ricavate colando il gesso in appositi stampini, ricavati dalle biglie in plastica che riportavano il volto dei ciclisti nostri beniamini (Massignan, Gaul, Pambianco, Nencini, Van Looy, Baldini, Poblet) e che usavamo nelle piste di sabbia al mare.
Terminate le scuole elementari, grazie al Maestro, che mi ha appassionato alla lettura, ho iniziato a frequentare assiduamente la biblioteca comunale. Per molti anni, infatti, il maestro Simoni è stato responsabile della Biblioteca Eugenio Bertuetti del nostro comune: La sua profonda conoscenza letteraria ha aiutato moltissimi di noi ragazzi ad avvicinarsi con passione alla lettura dei testi che meritavano di essere letti. E di questo non lo ringrazierò mai a sufficienza. Così come, del resto, non hanno mancato le istituzioni nel riconoscergli il merito di aver svolto una funzione fondamentale nella società: ovvero la diffusione della conoscenza aperta, della cultura, la promozione della lettura e di tutti i servizi alle persone collegati alla conoscenza.
Con il passare degli anni si è via via instaurato fra me ed il Maestro Simoni un rapporto di reciproca stima, anche se (soprattutto in campo politico) le visioni non collimavano. Lui, nobile animo
liberal ed io democristiano discutevamo animatamente di politica e di partiti (spesse volte nella cucina di suo cognato Franco Massolini, per anni vice sindaco del nostro comune). Mi ricordo, in particolare l’anno 1976 (ero appena stato nominato Segretario della Democrazia Cristiana gavardese) quando il 20 giugno l’Italia andò alle elezioni, con la consapevolezza che la forza e l’influenza della DC si sarebbero fortemente ridimensionate e con la prospettiva di un sorpasso elettorale da parte del Partito Comunista Italiano. In quell’occasione il Maestro mi disse che
“turandosi il naso” (e seguendo l’invito del Partito Liberale) avrebbe votato Democrazia Cristiana.
In effetti l’apporto dei voti missini e liberali scongiurò il sorpasso.
Era piacevole andarlo a trovare in occasione delle festività natalizie, quando gli facevo omaggio del libro d’arte edito dalla Banca San Paolo, dove io lavoravo. La cosa che più mi sorprendeva e che mi inorgogliva era che, forse uno dei rari casi fra le migliaia di persone a cui venivano omaggiati questi testi, quei libri lui li leggeva per davvero.
Orbene, i ricordi potrebbero continuare ma credo di avervi sufficientemente rappresentato quali sono stati i sentimenti che ho nutrito nei confronti del mio caro Maestro.
Mi piace concludere questa testimonianza con una filastrocca di Gianni Rodari:
C’era una volta un cane
che non sapeva abbaiare
andò da un lupo a farselo spiegare,
ma il lupo gli rispose
con un tale ululato
che lo fece scappare spaventato.
Andò da un gatto, andò da un cavallo,
e – mi vergogno a dirlo –
perfino da un pappagallo.
Imparò dalle rane a gracidare,
dal bove a muggire,
dall’asino a ragliare,
dal topo a squittire,
dalla pecora a fare «bè bè»,
dalle galline a fare coccodè.
Imparò tante cose,
però non era affatto soddisfatto
e sempre si domandava
(magari con un «qua qua»…):
che cos’è che non va?
Qualcuno gli risponda, se lo sa.
Forse era matto?
O forse non sapeva
scegliere il maestro adatto?
Io non ho potuto scegliere, perché il maestro Simoni mi è toccato, fortunatamente, in sorte. Ho, comunque, sempre avuto a cuore il motto di Edmondo De Amicis:
«pronuncia con riverenza questo nome “maestro” che dopo quello di padre è il più nobile, il più dolce nome che possa dare un uomo a un altro uomo!».
Vi ringrazio per l’attenzione!
Aldo Amici
In foto: Aldo Amici al centro fra Enrico Giustacchini e Marcello Zane