09 Novembre 2012, 10.00
Prevalle Valsabbia Provincia
Tradizioni

L'Estate di San Martino

di Paolo Catterina

Domenica è San Martino, ma oggi hanno inizio i tre giorni dell'«Estate di San Martino».

 
L’estàt de San Martì la düra tre dé e on tuchilì è un vecchio adagio del nostro dialetto che tira in ballo la bella storia del gesto generoso di San Martino ma che ricorda anche un bizzarro fenomeno meteorologico che talvolta si verifica nel pieno dell’autunno.
Ricordo che da piccolo la storia di San Martino era un classico dei libri di lettura della scuola elementare ma che spesso anche la mamma, le zie e la nonna la raccontavano arricchendola di particolari affascinanti.
In fondo la festività stessa di San Martino con l’antica e tradizionale scadenza dei contratti rappresentava di fatto un “Capodanno†che portava grandi cambiamenti.
 
Quando i proprietari terrieri non rinnovavano più il contratto ecco che diventava impellente “fa San Martìâ€, raccogliere ogni cosa e trasferirsi a nuova destinazione, volenti o nolenti e senza tanti complimenti… Tipico il detto: Tòne, a San Martì besògna che nóme.
Nei documenti antichi  - ma anche in molti contratti agrari fino agli anni ’50 e ’60 – la scadenza dell’anno di locazione era fissata per la festa di San Martino e in molti di questi il canone di affitto era accompagnato da omaggi in natura, capponi, formaggi, pane, uva, castagne, il tutto rigorosamente registrato e alla luce del sole, spesso anche per rimarcare il rispetto dovuto al locatore.
In un contratto per l’appalto delle proprietà del comune di Goglione su al Buco del Frate nel 1745 si legge tra l’altro:  “che l’ affittuale sia obbligato pagare l’affitto di detti beni la metà a S.Giacomo 25 luglio, et l’altra mettà al S.to Martino de anno in anno e che detto affittuale sia obbligato a dare di regalia ogni anno al spetabil Cosiglio et ai Reggenti del Comune de Goiono due quarte [circa due sacchi] di maroni delli più belliâ€.
 
Ma per ritornare all’estate di San Martino è d’obbligo raccontare la storia del santo francese, uno tra i più celebri e celebrati dal Medioevo in qua.
Martino era figlio di un ufficiale dell’esercito romano che, per onorare la sua professione, lo aveva chiamato con questo nome dal significato di “piccolo Marteâ€, dio della guerra.
Un giorno, poco più che quindicenne ma già avviato alla carriera militare, cavalcava fiero nella sua rutilante divisa di guardia imperiale, con il rosso mantello che il vento gelido dell’inverno incipiente scompigliava. All’improvviso sul ciglio della strada ecco apparirgli un poveraccio tremante, coperto di pochi stracci sbrindellati. A quella vista il giovane Martino sguainò la spada, tagliò il proprio mantello in due e ne diede metà al povero. Quella notte Martino vide in sogno Gesù che lo ringraziava della cortesia usatagli. La leggenda racconta poi che a quel gesto di carità seguì un insolito mitigarsi del clima, che si perpetuò nel tempo diventando “l’estate di San Martinoâ€.
E’ bene sapere che questo fenomeno meteorologico è tipico dell’Emisfero Settentrionale conosciuto pressocchè ovunque in questa metà del globo.
 
Negli Stati Uniti è chiamato “Indian summer†con il senso di “estate degli indianiâ€, un’espressione di origine incerta, forse perché nei periodi  di fine autunno e prima dell’inverno verso la fine del ‘700 l’esercito americano organizzava spedizioni contro accampamenti indiani che si apprestavano a smobilitare prima della stagione fredda.
In Spagna e in Portogallo è noto come “veranillo del Membrilloâ€, la piccola estate del cotogno, l’albero che produce le famose mele. Qui, nelle zone rurali si festeggiava questo breve periodo di caldo autunnale con i “Magostosâ€, grandi fuochi  accompagnati da feste con cibi tipici.
Molto curiosamente nelle zone slave, dalla Polonia alla Russia, all’Ucraina, alla Repubblica Ceca, la Slovacchia e la Croazia, è chiamato “Babye Leto†che letteralmente significa “estate delle vecchie signoreâ€.
Anche il termine tedesco, usato in Germania e in Austria “Altweibersommer†ha lo stesso significato
 
Ma perché si fa riferimento a vecchie donne per rappresentare questo curioso fenomeno? E che origine ha?
Pare che l’origine del mito sia legata a un fenomeno frequente in questo periodo, ovvero dei piccoli filamenti che si formano e che circolano nell’aria. Sembra che siano prodotti da insetti e da ragni ma il mito, sempre propenso a dare spiegazioni meno prosaiche, ha deciso che si tratta di capelli che alcune vecchie signore perdono nell’intento di pettinarsi.
Ma non si tratterebbe di vecchine qualsiasi, bensì delle Norne, ovvero l’equivalente nordico delle Parche romane e delle Moire greche, antiche divinità femminili che decidono il destino di ogni uomo e che qui hanno i poco eufonici nomi di Urd, Verdandi e Skuld (che dovrebbero significare Passato, Presente e Futuro).
Evidentemente le tre signore, mentre tessono l’incerto destino di ciascuno e si pettinano i fragili capelli, sono così gentili da garantire a tutti qualche giorno mite. In questi paesi l’estate delle vecchie signore arriva un pochino prima del nostro 11 novembre, verso la metà ottobre. E i tedeschi ne approfittano per organizzare proprio in questo periodo l’Oktoberfest legata proprio a queste antiche credenze.
Vedete bene come inseguendo curiosità e tradizioni… tutto il mondo sia paese.
Ma tornando dalle nostre parti ecco una serie di detti che accompagnavano questo periodo:

A San Martì stópa èl vì, a Nedàl cumìncia a tastàl
A San Martino apri il vino, a Natale comincia ad assaggiarlo

Per San Martì, töt èl móst l’è vì
Per San Martino tutto il mosto è vino

Chi póda a San Martì, èl guadàgnå pà e vì
Chi pota a San Martino, guadagna pane e vino

Se tav vöt fàga ràbia al tò visì, pianta l'aj per San Martì
Se vuoi far invidia al tuo vicino, pianta l'aglio per San Martino

Se ta vöt còjonà töcc i tò visì, lédàma i càp prima de San Martì
Se vuoi “surclassare†tutti tuoi vicini letama i campi prima di San Martino (così facendo si produrrà più fieno).

Infine una credenza locale, tipica e bizzarra, era quella di non dover mangiare le verza in questo giorno per evitare di avere la goccia al naso per tutto l'anno.
A San Martì ghè mia da mangià i vérs se ta vöt mìa ìga la gósa al nas töt l'àn.

 



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