19 Aprile 2007, 00.00
Prevalle
Testimonianze

Una vittima «fortunata» racconta il lager

La serata ha avuto luogo a Prevalle a Palazzo Morani ed è stata seguita da un folto pubblico. Ha aperto le iniziative per la ricorrenza del 25 Aprile.

«Per abbattere il male, per prevenirlo, bisogna conoscerlo. Chi si rifiuta di conoscere non può comprendere. Perciò non potrà impedire che le tragedie della storia si ripetano e ne diverrà complice». È questo l’insegnamento che Nedo Fiano, classe 1925, ex deportato nei lager nazisti di Auschwitz e Buchenwald, perché ebreo, ha tratto dalla atroce «sventura» di cui, studente diciottenne, è stato testimone e vittima.

Vittima «fortunata», dice però con un sorriso amaro, perché unico superstite dell’intera sua famiglia (dieci persone), sterminata dalla camera a gas e dai forni crematori: la madre, il padre, il fratello Enzo, la cognata, il nipotino di soli 18 mesi finito tra gli artigli del «boia» Josef Mengele, gli zii, la nonna novantenne.
Un insegnamento che l’attempato manager toscano, autore del libro «A 5405. Il coraggio di vivere», ha inteso trasmettere anche ai tanti ragazzi e ai numerosi adulti che lo hanno accolto e ascoltato con trasparente affetto nella sala consiliare di Palazzo Morani dove la comunità di Prevalle ha dato ufficialmente il via alle iniziative per la ricorrenza del 25 Aprile, promosse dal Comune e dalla Sezione Bassa Vallesabbia dell’Anpi.

Per due ore e mezzo, Fiano ha tenuto incollate alle sedie oltre duecento persone, narrando «non tanto per un contributo di cultura storica - ha tenuto precisare - ma soprattutto per suscitare sentimenti veri», l’ignominia delle leggi razziali contro ebrei, zingari, omosessuali, il calvario della deportazione nell’inferno dei carri bestiame piombati, l’internamento, l’orrore dei lager: bambini, mamme, anziani bruciati nei quattro forni di Auschwitz, «dove il cielo era sempre grigio per i fumi che giorno e notte uscivano dalle ciminiere del campo di sterminio».
Ricordi dolorosi, laceranti memorie mai sopite che il «testimone» di tanta ferocia, spesso vinto dalla commozione, ha saputo raccontare con verità cruda, ma anche con la levità dovuta ad un uditorio tanto eterogeneo (numerosi, abbiamo detto, gli adolescenti in sala), silenzioso, raccolto, col fiato sospeso fino alla fine, trascinato e coinvolto in quel clima quasi irreale.

«Il tempo mi ha avvicinato sempre di più alla sventura della nostra famiglia, distrutta dalla notte del tempo - scrive Nedo in un’immaginaria lettera alla madre morta -. Dal nostro ultimo abbraccio sulla banchina di Birkenau, poche ore prima che ti uccidessero, sono sceso e salito per molte scale, fra timori e speranze. Nel rumore del mio tempo, ho speso la mia vita come ho potuto, ma il mio pensiero è sempre stato lì, con te, papà e Enzo».
Il numero «5405» che figura nel titolo del libro è quello che Fiano porta tatuato sul braccio sinistro, segno indelebile nella memoria, quella stessa memoria che si impegna da decenni a trasmettere, in particolare alle giovani generazioni. Pungolandole a non rinunciare mai a battersi con determinazione e con la forza dell’amore per la libertà, per la solidarietà, per la giustizia.

«Ogniqualvolta l’uomo si discosta dal luminoso trinomio libertà, fraternità, uguaglianza - ha ammonito Fiano - sarà inesorabilmente inghiottito dalle tenebre della ragione e dal deserto dei sentimenti».
«A 5405» racconta anche quel «coraggio di vivere» che l’ex deportato, tornato nella sua Firenze, è riuscito a raccogliere per costruire una nuova famiglia e per sostenere il doloroso ruolo di testimone della Shoah.

Negli anni Sessanta Fiano si è laureato («mi consola il fatto di avere esaudito il desiderio di mamma», confida) e oggi vive a Milano. Periodicamente tiene conferenze sulla tragedia dell’Olocausto e cura molte pubblicazioni. Roberto Benigni lo ha voluto come consulente per il film «La vita è bella».

(esseci) dal Giornale di Brescia


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