Il Giorno del ricordo, la tragedia delle foibe
di Franco Tarsi
Il 10 febbraio di quest'anno ricorre il ventesimo anniversario dell’istituzione del Giorno del ricordo per ricordare le vittime delle foibe e dell'esodo Giuliano-Dalmata
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Il 10 febbraio 2024 ricorrerà il ventesimo anniversario dell’istituzione del Giorno del ricordo, decisa per non dimenticare gli italiani che hanno perso la vita nelle epurazioni condotte dalle forze partigiane del Maresciallo Tito - Josip Broz - e le centinaia di migliaia di nostri connazionali istriani - e fiumani e dalmati - che hanno dovuto lasciare le loro case negli anni fra il 1943 - 8 settembre, data della rivelazione e dell’entrata in vigore dell’accordo di Cassibile, firmato il 3 settembre - e il 1947 - 10 febbraio, giorno dei Trattati di pace di Parigi.
Il 10 febbraio è legge dal 13 aprile 2004, data della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, dopo la promulgazione del Presidente della Repubblica (allora Carlo Azeglio Ciampi) del 30 marzo 2004.
Ma una certa stampa italiana ha scelto, come al solito, di celebrare puntualmente una sorta di ‘controricordo' dedicato non alle vittime italiane, bensì alle ‘malefatte’ commesse nel ‘ventennio’ dal regime fascista a danno dei cittadini jugoslavi abitanti nei territori acquisiti dall’Italia dopo la Grande guerra: parte della Venezia Giulia, Zara, isole dalmate (trattato di Rapallo del 1922) e Fiume (acquisita nel 1924). Malefatte sicuramente sono state commesse, ma quelli che hanno pagato, con la vita o con la perdita degli averi - ricordiamolo - erano quasi tutti cittadini comuni e non responsabili politici.
Se si tralascia il modo orrendo in cui migliaia di persone sono state infoibate (basta vedere una qualsiasi di quelle fenditure carsiche per inorridire), sono tre gli aspetti della puntuale campagna di stampa che disturbano le coscienze (non certo degli autori): il primo è la voluta concomitanza dei controarticoli - intesi a ridimensionare gli eventi - con la celebrazione del Giorno del ricordo; il secondo è l’elencazione puntigliosa, oltre che meticolosa, delle leggi di spersonalizzazione fascista della gente di etnia slava. In quel terribile periodo sono state eseguite condanne a morte (sommarie) di funzionari che si limitavano ad applicare le direttive del regime, anche se in alcuni casi con solerzia eccessiva, esecuzioni che vengono pressoché giustificate - questo è il terzo aspetto - col pretesto che i condannati erano esponenti del regime e non cittadini comuni.
Intendiamoci, in guerra succedono cose che col diritto non hanno niente a che vedere e che i vincitori si permettono solo perché sono i più forti; questo non le giustifica, ma le consente a chi le perpetra grazie all’impunità - presunta o effettiva - che durante, e molto spesso anche dopo, copre gli autori.
Ma dobbiamo aggiungere anche un quarto punto, questo paradossalmente ancora più odioso: elencare le colpe, in questo caso del regime fascista nei confronti degli slavi, serve probabilmente (?) nelle intenzioni degli articolisti ad annacquare la pietà per le vittime italiane: che però, guarda caso, non sono le responsabili, ma soltanto dei comodi capri espiatori. Si badi bene: Innocenti.
Gli sforzi per appianare i contrasti politici e nazionalistici e per dare, se non altro, voce ai parenti delle vittime, troppo a lungo dimenticate, si sono intanto susseguiti nel tempo da ambedue le parti, italiana e slava. Nel 2005 nel comunicato del primo Giorno del ricordo, il Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, rivolgendo il pensiero a “coloro che perirono in condizioni atroci nelle foibe”, affermava che “questi avvenimenti formano parte integrante nella nostra vicenda nazionale e devono essere radicati nella nostra memoria”.
Ora gli odÏ etnici, a quasi 80 anni dai fatti, si può dire che non esistano più ed anzi sono stati sostituiti da manifestazioni di amicizia fra le genti di confine, in particolare fra gli abitanti della friulana Carnia, della slovena Carniola e della austriaca Carinzia. E quando le iniziative partono dal basso si può credere che abbiano la forza di attecchire e di cambiare radicalmente l’aspetto e il cuore delle relazioni. Ma anche le istituzioni si muovono su questo fronte. Ricordiamo, per tutti, che nel 2011 il Presidente italiano, Giorgio Napolitano, e il presidente croatp, Ivo Josipovic, dichiararono congiuntamente che i massacri del dopoguerra sul fronte orientale sono stati “una folle vendetta, atroci crimini che non hanno giustificazione alcuna”.
Nel 2025 (la proclamazione è del 28 dicembre 2020) l’assegnazione di Capitale europea della cultura andrà congiuntamente a Nova Gorica (Slovenia) e a Gorizia (Friuli - Venezia Giulia), città che hanno in comune non solo una conurbazione senza soluzione di continuità, ma una storia transfrontaliera indissolubile. E’ dall’aprile 2022 che della recinzione, più psicologica che materiale, che divideva la piazza della Ferrovia Transalpina, è iniziata materialmente la rimozione, dopo l’adesione della Slovenia all’Unione Europea (30 aprile 2004) e agli accordi di Schengen per la libera circolazione (21 dicembre 2007). L’epicentro degli eventi sarà proprio la piazza della Transalpina, simbolo dell’ultima divisione esistente in Europa. “E’ una svolta epocale” - auspica il sindaco di Gorizia, Rodolfo Ziberna - per creare un nuovo futuro migliore”. E per cancellare - diciamo noi - odÏ e divisioni. Con buona pace di certa stampa.
Franco Tarsi
consigliere alla Cultura di Paitone
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