Istantanea da una passeggiata in una bella mattinata di primavera, immagine suggestiva che rischia di far dimenticare che stiamo camminando nelle aree abbandonate dei cantieri per la statale 237 del Caffaro attorno a Vobarno.
Lo sguardo si posa sul fiore fresco e viola acceso su uno sfondo di verde brillante. Riempie gli occhi.
Istantanea da una passeggiata in una bella mattinata di primavera, immagine suggestiva che rischia di far dimenticare che stiamo camminando nelle aree abbandonate dei cantieri per la statale 237 del Caffaro attorno a Vobarno, tra gallerie solo scavate e ponti che finiscono nel nulla.
Il nostro bel fiore è cresciuto, infatti, tra le crepe di un blocco di cemento armato dimenticato su una delle rampe in terra battuta che porta all’imbocco della galleria di Clibbio.
Cartelli divelti, spazzatura e un reticolato fatto con il tondino a provare a sbarrare la strada. Per proseguire bisogna aprire il grosso lucchetto che sigilla la catena.
Le chiavi arrivano direttamente dagli uffici dell’Anas, che hanno risposto alla nostra domanda di visitare il «costruito» in Valsabbia, termine tecnico che si dovrebbe tradurre con «l’iniziato e mai finito» oppure «l’abbandonato».
Nel nostro sopralluogo ci accompagnano l’assessore ai Lavori pubblici della Provincia di Brescia Mauro Parolini e il responsabile unico del Procedimento per il comparto Anas di Milano, Nicola Prisco.
Lo spettacolo è affascinante e sconfortante allo stesso tempo. La galleria di due chilometri è completamente costruita, fondo di cemento perfettamente levigato e pareti rivestite.
Sui lati del tunnel sono già state ricavate le canaline in cui far scorrere i cavi necessari agli impianti, ma non sono più stati collegati a nulla e si sono riempiti di foglie, sterpaglie e hanno probabilmente offerto riparo a qualche piccolo animale.
Dall’altra parte, poi, il viadotto corre per una trentina di metri, ma poi diventa un’incredibile balcone a sbalzo sulla vecchia statale. Per alcuni tratti c’è già il parapetto, per il resto assi inchiodate qua e là.
Il fondo non è stato completato e il vento ha portato i semi di una varietà infinita di piante spontanee che sono cresciute un po’ dappertutto. Guardando da sotto le imponenti travi che sostengono il ponte sono un unico grande blocco color ruggine.
«Un buon segno - garantisce l’assessore Parolini - si tratta di un acciaio speciale che si ossida all’esterno per proteggere l’interno. Che si presenti così significa che dentro è perfettamente sano». Accartocciati lungo i piloni, gli striscioni con le scritte di protesta dei comitati della zona e accatastati negli angoli cumuli di sabbia, pile di pietre e fasci di tondini dimenticati lì da chi non ha potuto concludere quello che aveva iniziato.
In questa parte del vecchio (e anche futuro, per fortuna) cantiere si ha l’impressione di un lavoro abbandonato da un giorno all’altro, e che sarà difficile far ripartire il lavoro. Ma forse è soltanto l’impressione di un «non addetto ai lavori» suggestionato dall’atmosfera di un cantiere abbandonato.
«In realtà il costruito non va incontro a nessun tipo di degrado - ha precisato Parolini - e una volta conclusa la trafila burocratica ci vorrà davvero poco per ricondizionare l’area di cantiere e proseguire nei lavori».
Qualche chilometro più avanti, dove le nuove gallerie sono già aperte al traffico, il tratto prima dell’intersezione è davvero completo. Asfalto tirato come un biliardo, guard rail montati perfettamente. Il tunnel però è sbarrato: «Abbiamo dovuto far sgombrare carovane di nomadi che si erano piazzate qui - racconta Parolini - e guardandosi intorno si ha l’idea di un piazzale finito, non certo di una area dismessa».
p. bert. dal Giornale di Brescia
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