Le vicende del capitano Giuseppe Gabbin. La storia di un uomo con le sue paure, affetti e passioni
Qualche anno fa mi trovavo a visitare un mercatino rionale sul Tagliamento e mi incuriosì la copertina di un libro che raffigurava, preso di lato, un vecchio velivolo, a me sconosciuto, in dotazione al Corpo Aeronautica nella Prima Guerra Mondiale.
Sfogliando il volume rimasi piacevolmente sorpreso nel consultare una cartina della dislocazione del presidio provvisorio dello sbarramento dei forti di Lardaro la sera dell’08 maggio 1915 e una serie di riferimenti al territorio, da Nozza alle Valli Giudicarie, teatro di importanti operazioni militari.
Il protagonista del libro è Giuseppe Gabbin, un ufficiale dei bersaglieri che combatte fin dall’inizio del conflitto, prima nelle Valli Giudicarie, partendo dalla Valle Sabbia e precisamente da Nozza ove è dislocato il 45° battaglione bersaglieri e poi nella Valle dell’Isonzo e sul Carso in qualità di “Osservatore dall’aeroplano” nel Corpo Aeronautica, in pratica l’odierno navigatore.
Il suo compito era quello di eseguire ricognizioni fotografiche, ma anche manovrare la mitragliatrice e sganciare bombe, con responsabilità e funzioni più importanti di quelle del pilota stesso.
Un ricco epistolario e una serie di fotografie pressoché inedite del capitano, custodite nella biblioteca dei nipoti, raccontano soprattutto l’uomo con le sue debolezze davanti alla tragedia di una guerra che ha finito con il cambiare drammaticamente il corso degli eventi, una guerra passata alla storia come “grande” tanto da generarne un’altra ancora più devastante.
Storicamente rilevanti alcuni documenti come i fonogrammi trasmessi i giorni immediatamente antecedenti all’entrata in guerra dell’Italia, con gli ordini del tenente generale Roffi al Comando del 45° battaglione bersaglieri dislocato a Nozza, di raggiungere Lavenone ed attestarsi al ridosso del confine:
“
Disponga d’urgenza perché una compagnia di codesto battaglione si trasferisca in giornata a Rocca d’Anfo, dove si fermerà fino all’annottare.
Intanto con oculate ricognizioni verso Ponte Caffaro e assumendo notizie presso quei carabinieri e guardie di finanza, cerchi di chiarirsi la situazione di Ponte Caffaro (frazione austriaca).
Alle ore 24 (ventiquattro) con tutte le precauzioni necessarie si stabilirà a Ponte Caffaro, impadronendosi del ponte, barricandone lo sbocco austriaco e rafforzandosi sulla riva iItaliana.
Scopo è che il ponte non sia fatto saltare.
Le altre tre comp., avanzano oggi stesso e si fermano a Lavenone, ove pernotteranno (fuori della strada).
Fino a nuovo ordine la comp. di Ponte Caffaro non dovrà andare oltre, se non di quel tanto che occorre per stabilire un servizio di avamposti assicurato sul Piano d’Oneda, restando il grosso della comp.
Al Ponte Caffaro come gran guardia.
F° gen. Roffi.”.
Sempre un altro dispaccio del 23 maggio 1915 da parte del Comando della 6^ Divisione Vestone:
“Ho disposto perché le compagnie di cotesto battaglione che ancora trovansi a Lavenone si trasferiscano al più presto a Ponte Caffaro.
Appena saranno giunte V.S. mandi pattuglie verso le alture di Bondone e a Cima Spessa per riconoscere se in quelle località è piazzata artiglieria da montagna austriaca.
Occupi Lodrone e tenga l’osservazione degli avamposti sul fronte attraverso la Valle, dalle falde del Tonolo e le falde delle alture a Nord di Bondone. Tenga occupato il ponte sul Chiese a Cascina Pelizzari”.
Interessante anche un passo di una lettera che il Gabbin invia al cognato dal fronte il 13/10/1915 dalla zona di Cimego e Condino, teatro di importanti azioni militari:
“
Per ogni eventualità ti avverto che a Vestone presso il Signor Pialorsi (albergo all’Agnello) ho la mia valigia con gli stivali e il mio vecchio fucile del 16”.
In quei tempi, quando veniva conquistato un paese austriaco, era prassi conferire la carica di sindaco ad un proprio sottufficiale ed è così che Giuseppe Gabbin diventa sindaco di Cimego.
Agli inizi dell’anno 1916, il Comando italiano abbandona l’idea di sfondare nella valle del Chiese e cambia obiettivo strategico tentando la conquista di Riva e Arco con azioni offensive portate vittoriosamente a termine sul Monte Sperone e la Tagliata del Ponale.
Giuseppe Gabbin, appassionato di fotografia e molto ambizioso, non rimane a lungo nella Valle di Ledro in quanto viene accolta la sua domanda di partecipazione quale “
Osservatore dall’aeroplano”.
Viene così trasferito a Roma-Centocelle ove ottiene la qualifica.
Quindi viene assegnato ad una delle più prestigiose squadriglie del corpo aeronautico: la 25^ Squadriglia Voisin schierata sulla valle dell’Isonzo.
Ecco dunque scoperto l’arcano dello strano aereo di cui parlavo all’inizio.
Il Voisin era un biplano robusto, ma arcaico e lento, di progettazione francese, ad elica spingente ovvero a propulsione posteriore che consentiva di montare la mitragliatrice sul davanti.
La struttura interamente in tubi di acciaio, consentiva ai Voisin di assorbire con maggior facilità i danni del combattimento, riuscendo quasi sempre a far ritorno al campo, seppur con le ali squarciate, il motore danneggiato o la carlinga crivellata dai colpi delle mitragliatrici.
Inoltre il carrello a quattro ruote e un’ampia apertura delle ali consentiva atterraggi in spazi molto ridotti.
Il Regno d’Italia, dal 1917, diede forte impulso alla creazione di un apparato industriale che potesse garantire la produzione di aerei su scala locale (Ansaldo, Caproni, Macchi,) ma intanto utilizzava aerei esteri per lo più francesi, oltre ai Voisin vanno annotati gli Spad, i Nieuport, gli Hanriot e i Farman.
Ritornando al nostro capitano Giuseppe Gabbin, oltre alle fotografie scattate con gesti di grande audacia sul fronte nemico, nelle sue lettere racconta anche la prima grande azione corale dei velivoli da battaglia voluta da Gabriele D’Annunzio.
La strategia del vate era quella di effettuare azioni memorabili e scenografiche in grande stile andando sull’obiettivo con decine e decine di apparecchi e tornare più volte, in modo da ottenere effetti pratici, ma anche morali sui soldati nemici.
Quando il Duca d’Aosta in persona gli consegna la seconda medaglia d’argento al valor militare, Giuseppe Gabbin scrive al fratello:
”Non credere però che io valga tanto quanto le mie molteplici onorificenze potrebbero far supporre. Sono sempre il tuo Beppi, con la testa fra le nuvole sempre”.
Come tutte le favole anche quella di questo pioniere dell’aviazione termina, in modo cruento il 25/10/1917 all’indomani della disfatta di Capretto.
Durante una missione di bombardamento sul monte Tomino, in Slovenia, il capitano Gabbin vola su un vecchio e sgangherato Voisin che va subito in difficoltà finendo col rimanere isolato dalla squadriglia.
Alla guida del velivolo si trova il figlio del Ministro Augusto Ciuffelli, già segretario particolare di Giovanni Zanardelli e da questi lanciato nella carriera politica.
Accerchiato da uno stormo di Albatros D.III di progettazione tedesca e appartenenti alla forza aerea austroungarica, il Voisin si difende eroicamente con manovre ardite prima di precipitare a piombo, inesorabilmente.
Dichiarati dispersi, solo dopo il conflitto si conosce la sorte del capitano Gabbin e del sottotenente pilota Ciuffelli.
Il biplano si era schiantato sulle pendici del Monte Cucke presso Santa Lucia di Tolmino.
Nel luogo ove gli austroungarici seppellirono, sotto un cumulo di sassi, i corpi degli sfortunati pionieri dell’aviazione militare, posarono una croce dove, con un atto di inusitata riverenza, apposero, in lingua tedesca, un pensiero di pietà e di ammirazione “
Qui finisce l’odio del mondo. Dormite in pace Voi valorosi eroi aviatori”
Guido Assoni