Un violino al posto del «bater de la ranza»

Ci scrive Luigi Agostini, si proprio lui, lo scrittore. Ci scrive e ci racconta di essersi fermato ad ascoltare il respiro estivo di Vallio. Un alito di natura, memoria e musica. Pubblichiamo volentieri.

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Il desiderio di narrare vecchie novelle del mio paese non so quando sia nato, so però che ogni anno ritorno al borgo natio per rinfrescare lo spirito e per immergermi nell’incontaminato silenzio rotto solo dai rintocchi delle campane, dai refoli di vento tra la verzura, dal mormorio del famigliare ruscello, dal ronzio dell’ape domestica che, da sempre, mi da il benvenuto.
Sotto il bersò di carpine avverto flebili voci di persone care, risa di bimbi diventati adulti e poi un crescendo di melodie, di profumi, di ricordi. Un’ondata di commozione mi assale e allora ecco nascere la voglia di raccontare, di scrivere; è il momento in cui le parole sgorgano limpide, pure, come l’acqua di un ruscello alla fonte.

Sento voci che mi riportano alla fanciullezza e che mi invitano a rivedere la piazzetta incontaminata dei miei giochi, dove logge, balconi, archi e anditi sussurrano che su in alto, su quel mare di tetti, i comignoli narrano ancora le antiche fiabe.
La visione si allarga ed ecco apparire le altre contrade: un grappolo di case baciate dal sole, dove il verde chiaro dei campi (le pianète) si sposa col verde scuro dei castagneti, dove antichi ceppi testimoniano rigogliosi vigneti andati perduti.

Una sera di mezza estate sono salito anch’io alla vecchia contrada, ma non è stato il sordo campanaccio o l’allegro “ bater de la ranza” che mi ha accolto, bensì l’accordo di un violino accompagnato dal solfeggio di un ottone. E mentre la gente mi incalza immagino l’ospitale lindo cortile preparato come se dovesse uscire la promessa sposa, le tendine ricamate che oscillano da retro le finestre volutamente socchiuse, il lungo rosario di lampadine che ricalca gli archi del bel porticato ed i vasi di geranio che ingentiliscono il palchetto dei suonatori.
Perfino le rondini sembrano partecipare a tanta festa: è un gridìo continuo, un frullare d’ali, un pigolio bisbetico che trapela dai nidi abbarbicati alle travi e allora sento di essere tra la mia gente e provo un pizzico d’orgoglio al sentimi chiamare con la stessa gentilezza e cordialità con cui un tempo gli anziani del paese si rivolgevano a mio padre.

Paese di contradaioli Vallio, ora Vallio Terme, dove ognuno sente prepotente l’orgoglio di appartenere all’antica frazione anche se l’agognata casetta è stata costruita nel più comodo fondo valle, vicino alla “case nuove”, vicino ai prati di trifoglio e di erba spagna e al maestoso Vrenda che serpeggia tra le antiche, profonde e immacolate borre.

L’estate è finita, ma nel cuore sono rimaste dolci melodie: l’Ave Maria di Schubert cantata dai 40 ragazzi inglesi, i canti del famigliare coro “La valle”, i concerti della Banda cittadina, della “Corte degli Artisti”, di “A qualcuno piace Fred”, delle “Cicale” , delle “Melodie dell’Anima” e a far da sfondo la “Chitarra sensuale” con la voce profonda e suggestiva di Sergio Isonni che ci ha fatto rivivere Dante, Garcia Lorca, Neruda.

Arrivederci dolce paese, culla dei miei sogni, di tante bellezze, dove l’ospitalità è di casa, dove persone modeste e volitive ti donano ogni anno momenti meravigliosi e indimenticabili.

Luigi Agostini

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