15 Marzo 2011, 07.59
Gavardo
Tempi

L'«isola» delle lavandaie

Ve lo ricordate lo strano manufatto che emerso dalle acque basse del Chiese a Gavardo? Ecco cos'era. Ce lo racconta Attilio Mazza da Bresciaoggi.

 
Era un altro mondo. Non esistevano lavatrici, e nelle abitazioni, sul lavandino (il secér), c'erano i secchi dell'acqua con il mestolo per bere quando si aveva sete, non dic erto il rubinetto da aprire.
E le sponde del Chiese a Gavardo (ma non solo), erano animate da lavandaie (le laandérine ricordate anche da una canzoncina) inginocchiate sul laandér di legno.
Era una fatica alla quale non si sottraevano neppure le donne in età che cercavano di alleviarla cantando.
Non era da poco, infatti, sbattere con forza i panni, strofinarli vigorosamente con il sapone, spesso fatto in casa, e risciacquarli, prestando attenzione che non sfuggissero di mano lambiti dalla corrente, nell'acqua non proprio pulita, dato che il fiume fungeva in parte anche da fognatura.
 
Proprio un altro mondo.
Al punto che i nomi di alcuni attrezzi, come laandér, sono quasi dimenticati.
Ma adesso, il senso di un diverso vivere è riaffiorato proprio a Gavardo grazie all'acqua bassa del Chiese: in fondo alla lunga scaletta di un vicolo dell'antichissima via Molino, un tempo tratto della strada principale (oltre a via Santa Maria), fino a quando, fra il 1887-89, fu aperto quello parallelo dedicato al benefattore del XVI secolo Andrea Gosa, un pecoraio che aveva lasciato i suoi beni alle ragazze povere.
È riapparsa la probabile «officina all'aperto» delle lavandaie.
 
Sulla breve carrareccia contorta (l'asfalto arrivò qui negli anni Cinquanta) che portava al mulino cinquecentesco si affacciano ancora alcune case medievali.
Il tracciato perse d'importanza dopo la costruzione del vicino ponte moderno costruito fra il 1861 e il 1862 (e poi di via Gosa), in sostituzione di quello antico fatto saltare dagli austriaci nel 1859, incalzati nella ritirata dai garibaldini.
Lo stesso Garibaldi, dopo l'abbattimento, sollecitò i gavardesi affinché ne venisse gettato uno provvisorio, ed entrò trionfalmente in paese il 17 giugno 1859.
Una vicenda storica che è bene ricordare in questo 150esimo dell'Unità, onorando anche la stele commemorativa dedicata all'eroe nello slargo fra i due ponti (causa all'epoca di polemiche fra clericali e anticlericali), voluta nel 1882 dal benemerito sindaco Alessandro Bruni Conter.
 
Ma torniamo alla riscoperta.
Le acque del fiume, dicevamo, hanno lasciato allo scoperto uno strano acciottolato, subito al centro della curiosità.
Le fotografie di Ermenegildo Codenotti, un nativo della contrada che vanta molte primavere, hanno fatto nascerfe diverse ipotesi: accesso al fiume per far abbeverare gli animali, attracco per le barche, oppure base, appunto, per i laandér (la più probabile) considerata la forma e gli anelli utili per agganciare le corde e bloccare gli inginocchiatoi affinché non venissero trascinati via da un'onda improvvisa?
 
Il fatto stesso che si possano avanzare diverse interpretazioni sul manufatto conferma come l'epoca, nemmeno troppo lontana in cui venne realizzato, sia ormai perduta alla memoria collettiva.
Un tempo abbastanza vicino, ma lontanissimo per stile di vita quando su via Molino e su molte strade di Gavardo si affacciavano le stalle e la vita era scandita dal suono delle campane.
 
Attilio Mazza da Bresciaoggi
 
 
 


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