30 Marzo 2007, 00.00
Valsabbia - C
Strade ferrate

Da Brescia a Vestone: ferrovia o tram? /3

di Sergio Re

Ed eccoci al terzo e ultimo capitolo in cui abbiamo suddiviso la sintesi degli eventi che portarono la nostra provincia a possedere una strada ferrata, che finalmente arrivò anche a Idro.

Ed eccoci al terzo e ultimo capitolo in cui abbiamo suddiviso la sintesi degli eventi che portarono la nostra provincia a possedere una strada ferrata, che finalmente arrivò anche a Idro.


3. Con la grande guerra il tram raggiunse Idro.
Tra lo sferragliare delle nuove vetture che incominciavano a intercalare il cicaleccio delle massaie e l’eco degli artigiani nelle vie cittadine, le rotaie della prima linea tramviaria uscirono dalle mura della città puntando decisamente verso est. I lavori – come abbiamo visto – erano iniziati molto celermente, e il primo tratto raggiunse Rezzato entro il 21 giugno 1881. La tratta successiva che da Rezzato raggiunse i Tormini, affacciandosi sul Lago di Garda, fu posata men che in un battibaleno ed entrò in servizio l’otto dicembre dello stesso anno. Viene da chiedersi quale fosse questo pressante interesse per il territorio valsabbino. Per capirlo dobbiamo fare mentalmente un passo indietro.

L’idea del servizio tramviario si è venuta sostanzialmente modificando nel corso del tempo e, se oggi noi lo immaginiamo riservato al solo trasporto di persone per lo più all’interno di aree metropolitane, alle origini si trattava invece di un servizio ferroviario vero e proprio, anche se in chiave minore. I risparmi degli investimenti erano sì conseguenza di un armamento leggero, ma soprattutto del fatto che questo armamento veniva posato su strade già esistenti, delle quali si sfruttava quindi la massicciata. Si trattava quindi di una ferrovia a tutti gli effetti, adibita anche al trasporto delle merci e, in questo senso, la tratta pianeggiante tra Brescia e i Tormini, già vantaggiosa per una topografia che richiedeva minori opere di ingegneria per la realizzazione, prometteva lucrosi profitti attraversando poli di notevole fervore industriale: Rezzato, con le sue cave, e Villanuova, che di recente aveva iniziato un promettente sviluppo nell’ambito del settore tessile.

I due centri industriali con questo servizio si sarebbero notevolmente avvicinati alla stazione ferroviaria di Brescia ricavandone benefici non indifferenti. Tutto questo ci lascia anzi presumere che gli amministratori pubblici possono anche aver ricevuto pressioni e sollecitazioni da parte dei capitali che vedevano nello sviluppo del tram il possibile incremento dei redditizi traffici commerciali.
Difatti le tratte successive, che dovevano collegare i Tormini con Barghe e quindi con Nozza e Vestone procedettero con minor sollecitudine. È pur vero che tra montagna e pianura si sarebbe potenzialmente potuto aprire un remunerativo scambio di legname e di granaglie, ma è altrettanto vero che in testa alla Valle Sabbia all’epoca si stendevano i severi confini nazionali che dividevano l’Italia dall’Austria. E l’Austria, avendo pesantemente pagato la nostra recente unificazione, probabilmente era scarsamente propensa ad ogni forma di dialogo.

Comunque sia, entro il 1885 i binari raggiunsero anche la ferriera Migliavacca di Vobarno ed entro il 1886 fu completato l’ultimo tronco fino a Vestone. Il ponte tra la città e Vestone in poco meno di un decennio era quindi compiuto tra entusiasmi, brindisi e bandierine colorate, nell’italica specialità delle inaugurazioni. Ma forse non tutti erano proprio così contenti.
Molti erano coloro che non potevano permettersi l’ebbrezza della “velocità†(le virgolette ci ricordano che l’intero tragitto tra Brescia e Barghe veniva coperto in più di tre ore) sui vagoni della nuova tramvia, eppure tutti erano costretti a subirne i principali incomodi: il rumore assordante dei convogli e il potenziale pericolo di quelle ruote di acciaio che macinavano chilometri, ma non sapevano – come i cavalli – scavalcare gli intralci. Molti insomma furono gli incidenti dei primi tempi nei quali persero la vita uomini e animali, mentre si preparava, come in ogni rivoluzione, l’arrivo di ore infauste ad esempio per i numerosi vetturini che fino allora avevano assicurato i collegamenti tra il centro città e la periferia e che da quel momento rimasero pressoché senza lavoro.

L’ultimo capitolo di questa storia lo scrisse la Società Elettrica Bresciana. Si può dire che il capitale locale abbia compreso alla svelta che l’investitore straniero aveva fatto a Brescia un buon affare, e lo comprese dal crescente volume di traffico che nel 1902 impose alla direzione delle tranvie di avanzare una richiesta alle autorità provinciali per aumentare il numero delle carrozze di ogni convoglio dalle tradizionali sei a otto. Gli investitori bresciani incominciarono quindi ad agitarsi e, per non perdere l’ultimo treno, studiarono bene la questione. Il busillis era la scarsa flessibilità del servizio imposta dalle notevoli difficoltà di riavviare il meccanismo ad ogni fermata e la soluzione la fornì il rivoluzionario motore elettrico.
Nel merito l’industria era saldamente nelle mani del capitale bresciano e, alla scadenza dei vari mandati, la Società Elettrica Bresciana si fece avanti proponendo alle autorità provinciali l’acquisizione dei vari impianti promettendone l’elettrificazione. Fu questa la fase finale e tutto sommato più qualificante della modernizzazione dei trasporti sul territorio bresciano, e ancora la Val Sabbia con le mete di Vobarno e di Vestone fu in prima linea, poiché l’intera tratta venne elettrificata entro il 1914.

Ma pochi anni separavano ormai l’Italia dal nuovo e drammatico conflitto. Presto ricominciarono a tuonare i cannoni e il confine, con le sue esigenze logistiche, era proprio lì, a due passi dal capolinea di Vestone. Fu sicuramente questa l’occasione che spinse le autorità a sollecitare la SEB per la posa dei binari nell’ultima tratta, prevista, ma mai realizzata. Così, sulla Vestone/Idro, completata entro il 1917, incominciarono a correre convogli pieni di divise grigio-verdi, mentre ragazzini dal volto imberbe, straniti e inebetiti, si affacciavano ai finestrini di questo tram, fischiettando – senza capirne il dramma – le note struggenti di una canzone che rievocava il fischio delle pallottole.
Ta-pum!

(Fine)


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