15 Dicembre 2009, 14.00
Lavenone
Storia

Campa maglio che il museo cresce

di Giancarlo Marchesi

E' l'ultima fucina di Lavenone, ancora ben conservata lungo il corso dell'Abbiocolo, dove i fratelli Assoni lavoravano il rame.

 
Alcuni segni della storia produttiva valsabbina punteggiano ancora il paesaggio della vallata. L’antico distretto manifatturiero del comprensorio del Chiese rivela splendidi esempi d’archeologia industriale che dopo lunghi secoli continuano a regalare all’osservatore attento grandi emozioni.
In contrada Tresabiù di Lavenone, lungo il corso del torrente Abbioccolo, era attiva fino agli anni Sessanta del secolo scorso la fucina da rame della famiglia Assoni. I fratelli Giuseppe e Pierino, chiamato confidenzialmente Bino, lavoravano il rame per tradizione: avevano appreso quest’arte dal padre Achille e dal nonno Daniele, emigrato a Lavenone negli ultimi decenni dell’Ottocento dalla vicina Valtrompia.
 
È un opificio imponente e affascinante, quello della famiglia Assoni, a pianta rettangolare allungata, che conserva buona parte degli elementi che caratterizzavano gli impianti di lavorazione dei metalli: dal bacino di raccolta e di controllo delle acque ai magli battirame a «testa allungata», dai ruderi della tromba idroeolica alla ruota idraulica, a decine di grandi cesoie e tenaglie.
Nella fucina di Lavenone una squadra di sei artigiani produceva con impegno e fatica paioli per polenta, grandi caldaie per la lavorazione del latte (potevano pesare oltre un quintale) e oggetti d’uso domestico come le leccarde, i recipienti destinati a raccogliere, sotto lo spiedo, il grasso che cola dall’arrosto.
 
I fratelli Assoni lavoravano ogni giorno per 12 ore, circa cento chilogrammi di metallo di recupero, ma non finivano gli oggetti: la lavorazione era terminata, con la finitura e l’applicazione dei manici, a Brescia dai fratelli Bottazzi, ramai di antica tradizione che avevano la propria sede in via Sostegno.
La collaborazione con i Bottazzi si spiega col fatto che gli Assoni lavorarono per lunghi anni alle dipendenze di questi artigiani di Brescia. Infatti i magli da rame di Lavenone, prima di essere acquisiti dai fratelli Giuseppe e Pierino, erano appartenuti proprio ai Bottazzi, che a loro volta avevano comprato l’impianto dalla famiglia Gerardini, il casato più influente di Lavenone tra Sette e Ottocento.
 
Sul finire degli anni Sessanta cessò la produzione al maglio, perché era subentrata la forte concorrenza delle produzioni in serie che avevano annullato ogni margine di guadagno, ma i fratelli Assoni continuarono a lavorare piccoli oggetti in rame.
In seguito il bacino di raccolta delle acque ospitò una piscicoltura.
Ora, cessata anche questa attività, il grande impianto saggiamente conservato è diventato una semplice legnaia, in attesa - c’è da augurarselo - che l’ultima fucina di Lavenone abbia una nuova vita, magari come museo della civiltà dei metalli, testimonianza concreta di un’attività, quella metallurgica, che fu capace di trarre ricchezza da una vallata aspra e svantaggiata sotto il profilo agricolo.
 
dal Giornale di Brescia
 


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