10 Novembre 2007, 00.00
Gavardo
Piero Simoni

Il maestro che diventò archeologo

Hanno dato una laurea honoris causa a Valentino Rossi, a Mike Bongiorno e a tanti altri, ma non hanno pensato di darla a Piero Simoni, maestro elementare per 38 anni, fondatore e animatore del Gruppo Grotte e del Museo di Gavardo.

Hanno dato una laurea honoris causa a Valentino Rossi, a Mike Bongiorno e a tanti altri, ma non hanno pensato di darla a Piero Simoni, maestro elementare per 38 anni, fondatore e animatore del Gruppo Grotte e del Museo di Gavardo. Per questa dimenticanza, invece del maestro - privo di laurea ma onusto di meriti - la Regione, secondo la norma vigente, ha nominato direttore del museo archeologico un’altra persona in possesso del titolo. Dopo cinquant’anni di dedizione e di lavoro gli hanno dato il benservito ed egli si è ritirato ad osservare da lontano la sua creatura.
Piero Simoni ha ottantasette anni. È nato a Vobarno, ma la sua famiglia, quando lui aveva sette-otto anni, fu costretta a trasferirsi a Gavardo a causa di losche manovre politiche perpetrate dal podestà del paese. Furono anni di magra e, grazie ai fratelli in età da lavoro, la famiglia poté «tirare avanti», mentre a Piero fu concesso di studiare e diventare maestro.

Iniziò nel 1947 la carriera di docente a Bione; e poi a Navono, a Visano, a Ghedi e a Vallio. Gli aneddoti della sua vita d’insegnamento sono molti; riuscì, per esempio, a guarire la cocciuta cispa di Giovanni di Navono con un normale collirio e a distogliere Giacomino dal vizio di tenere il pollice sempre in bocca. Gli spennellava il dito con l’amara soluzione di una radice di genziana. I genitori di quei bimbi gli riconoscevano, oltre al titolo di maestro, quello di medico.
Dopo otto anni di precariato, si direbbe oggi, finalmente divenne maestro di ruolo a Gavardo dove, per trent’anni, distribuì il suo sapere a varie generazioni.
Quegli anni furono anche arricchiti da un’esperienza unica: il maestro diventò, prima casualmente e poi cocciutamente, paleontologo e archeologo.
«Tutto iniziò nella primavera del 1954 - racconta Simoni -. Ci trovammo in quattro amici al "Bar Gianni" di Gavardo; io e Alberto Grumi, entrambi insegnanti, Alfredo Franzini, commerciante, e il pittore Silvio Venturelli. Parlando del più e del meno o, meglio, del modo migliore di impiegare il tempo libero, decidemmo di curiosare nelle grotte sparse sul territorio circostante il paese. Stabilimmo di iniziare dal Büs del Fra, la famosa grotta situata nel "carso di Paitone", in quel di Prevalle. Mai decisione fu più saggia».
Nella prima spedizione del 4 aprile i quattro amici ispezionarono la grotta; fu, però, il 17 aprile la giornata che aprì loro migliori prospettive: rinvennero un osso mascellare di bisonte. L’entusiasmo salì alle stelle e, durante le successive spedizioni, raccolsero una gran quantità di reperti ossei dell’orso speleo e di una lunga sfilza di altri animali preistorici.

Come potevate attribuire quelle ossa senza un’approfondita conoscenza della struttura fisica degli animali?
«Le spiego subito. Eravamo sì alle prime armi, ma non completamente impreparati. Determinammo le varie specie sulla scorta delle tavole di classificazione dello Hue, un’opera fondamentale di paleontologia messaci a disposizione dal Museo di Storia Naturale di Brescia; e poi fummo confortati nel nostro lavoro dal professor Angelo Pasa del Museo di Storia Naturale di Verona. Il primo anno di ricerche fu laborioso, ma ci diede gran soddisfazione. Rinvenimmo 19 crani di Ursus spelaeus e bacini interi, oltre che un grande numero di femori, omeri, ulne, eccetera; molte ossa di Cervus elaphus, di Canis lupus e di Hyaena spelaea».
Dove mettevate tutto questo materiale?
«Inizialmente lo posammo in un’aula della scuola elementare; poi. all’avvio dell’anno scolastico, in un vecchio magazzino e infine, per la disponibilità della famiglia Sigismondi, nel Castelletto di via Molino. Finalmente il 30 settembre 1956 inaugurammo il Museo paleontologico del Gruppo Grotte alla presenza delle maggiori autorità del settore».

La fama del Gruppo incominciò a diffondersi e molti contadini che, durante il loro lavoro, trovavano resti di ogni tipo li consegnavano a Simoni, responsabile del Museo. Dalla paleontologia gli interessi si allargarono alla preistoria e alla storia romana; tutti i siti che avevano fama di nascondere reperti furono indagati, a cominciare dal campo Lugone di Salò, dove si rinvenne una tomba romana «cappuccina» con l’intero corredo.
Il maestro Simoni, trascinatore inquieto e indefesso del Gruppo, era sempre in prima linea nella ricerca di nuovi siti e, tra le tante imprese, guidò l’eccezionale recupero, presso la zona ex-lacustre del Lucone di Polpenazze, di una piroga preistorica scavata in un tronco.
A lui toccò sempre il compito di mantenere i rapporti con le sovrintendenze archeologiche di Brescia e di Milano e di diffondere con relazioni e conferenze la conoscenza delle rilevanti scoperte effettuate nella zona della Valtenesi, della Valsabbia e dei paesi del Basso Garda. Ancora a lui era affidato l’incarico di Conservatore del Museo, che andava sempre più arricchendosi di materiali preziosissimi.
Si può affermare, senza tema di smentita, che l’entusiasmo e la frenetica attività di scavo e divulgativa del maestro Simoni furono contagiose al punto che in centinaia di persone nacque l’amore per l’archeologia e il desiderio di partecipare a questa attività di ricerca con il proprio contributo, se non altro, manuale.

di Gian Battista Muzzi


IL LIBRO. Una descrizione chiara e dettagliata, Il diario di lavoro di un «dilettante» appassionato

Il maestro Simoni ha magistralmente e puntualmente descritto la sua storia di ricercatore sul campo (oltre che quella del Gruppo Grotte e del Museo) nel volume «Memorie di un archeologo dilettante». Lo stile è chiaro e vi si scopre l’acribia tipica dei maestri di una volta, senza fronzoli.
È un documento prezioso, quasi un diario di lavoro, nel quale sono annotati, giorno dopo giorno, gli avventurosi percorsi nei meandri del passato. Oltre al nome degli amici del Gruppo Grotte, nel volume sono scrupolosamente annotate le procedure seguite nei vari recuperi e i costanti rapporti con le autorità preposte ai beni archeologici; per non parlare delle difficoltà economiche dovute alla ristrutturazione delle varie sedi temporanee del museo fino all’ultima, definitiva.
Piero Simoni ha avuto modo di allacciare rapporti inossidabili con notevoli personaggi del settore ed ha ottenuto da loro attestazioni di grande rispetto.

TUTTAVIA, dalla narrazione complessiva del volume si evince il tratto costantemente pedagogico dell’attività del Simoni: il museo diventò punto d’incontro e di rilancio della cultura archeologica. Le scolaresche accorrevano a visitare l’esposizione, molti docenti universitari chiedevano a Simoni di aiutare i loro studenti nella preparazione della tesi, lo stesso maestro era invitato presso altre istituzioni a tenere conferenze e ad illustrare il materiale rinvenuto.
Il museo era diventato dunque un punto di riferimento culturale ed il maestro, che aveva iniziato a frequentare le grotte per occupare il tempo libero delle vacanze estive insieme con i suoi amici del Bar Gianni, si ritrovò invece occupata l’intera vita dalle attività e dalle «preoccupazioni» del Gruppo Grotte e della cura del Museo.

ANCHE LE INSEGNANTI, quando prenotavano la visita guidata per la loro scolaresca, cercavano sempre la sua presenza come garanzia di una illustrazione esauriente e didatticamente impeccabile del materiale esposto.
Il maestro Simoni, adesso, si è ritirato; ma è diventato un’icona perenne della sua opera: Gruppo Grotte e Museo.

GBM


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