I laghi, si sa, hanno un cuore sommerso. Quando il vento cala essi catturano le rive, le case, i colori, le montagne, le storie intricate degli uomini. Una realtŕ virtuale sospesa su lievi pellicole d'acqua...
... Poi lâacqua si muove e il miraggio si frantuma, si discioglie, sâinabissa piano.
La stratificazione delle immagini sui fondali è la memoria muta dei laghi.
Impossibile accedere al suo archivio senza i codici della cognizione universale.
Quella che oltrepassa le apparenze effimere per cogliere il senso della realtĂ perenne.
Ci riusciva Manfred. La sua era unâattitudine affinata nel tempo.
Gli studi, lâindole, il contatto con la natura della sua Baviera: tutto gli creava la giusta sintonia con le forme immutabili e accidiose di un paesaggio lacustre.
CosĂŹ, tutte le volte che si accostava al lago dâIdro si avviava una dilatazione incontenibile del pensiero che liquefaceva i segni del presente e sprofondava in riflessioni assolute.
Câera una trasfigurazione.
Il contesto si scomponeva in cromatismi essenziali.
I gesti ordinari diventavano ritualitĂ simboliche.
La sensazione era di una pienezza appagante di vita a dispetto della banalitĂ rarefatta di quelle giornate quiete.
Da anni ormai Manfred viveva dentro. Idro era il posto ideale per risparmiare alla sua compiaciuta introversione la coercizione di socialitĂ petulanti.
Un vecchio fienile di pietra, un cane, una barca. Non desiderava altro.
Poi câera il lago: diafano, ammorbato, corrusco, sfavillante, cinereo, impastellato di verde, sfrangiato di blu e di schiuma, afflosciato, stinto.
Il massimo delle emozioni si liberava nel marasma eccitato di un dopo temporale o in certi tramonti intensamente silenziosi.
Le suggestioni dello spettacolo erano un tramite. Subito dopo scattava lâeffetto radiante di quellâaccumulo di memoria che rendeva Manfred partecipe dello svolgersi continuo del tempo, con le mutazioni della materia e lâintrico delle vicende umane.
Allora le immagini evocate rendevano riconoscibili, anche a un tedesco di Baviera, i particolari circoscritti di eventi alieni, elevandoli a prototipi di una favola senza limiti di spazio e di tempo.
Si sentiva a casa. Da anni non concepiva altri luoghi dove le energie potessero sedarsi senza lâangustia corrosiva del rimpianto. Quello che aveva cercato per una vita intera era lĂŹ, sommerso da miliardi di molecole fluide discese dai ghiacciai alpini, precipitate dal cielo, arrivate da continenti lontani.
E pensare che la prima volta il lago gli era parso solamente un rifugio confortevole, discreto.
Una verde, lussureggiante scenografia per le generose attenzioni e gli abbandoni misurati che si scambiava con Helmut, il suo giovane compagno di vita.
Era il millenovecentosettanta. LâomosessualitĂ , malgrado le rivoluzioni dei costumi e gli sconvolgimenti sessantotteschi, eccitava ancora pregiudizi e curiositĂ morbose.
Quel lago sembrava preservare certi rapporti inconsueti dallâirrisione moraleggiante della gente.
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Ci tornavano tutti gli anni. A settembre, quando le spiagge si svuotavano e la natura rinselvatichiva.
Sassi, cespugli, alberi contorti e perfino le barche tirate a secco assumevano una connotazione naturale, del tutto svincolata da obblighi di funzionalitĂ o di coreografia ad uso turistico.
Diventavano paesaggio. Si percepivano come immutabilitĂ confortevole.
Quella che si desidera quando lo spazio diventa esclusivo territorio del pensiero.
A Manfred piaceva remare. Il cigolio dei legni sotto la spinta delle braccia gli restituiva il fiducioso compiacimento di una giovinezza muscolare e intraprendente.
Ma non si nascondeva che quello sfoggio di vigoria fisica mirava anche ad attrarre e a dare sicurezza al suo compagno.
Ad Helmut piaceva dipingere. Lo ispiravano le barche rovesciate e certe cascine di pietra, contese tra i boschi e i relitti minimali di antichi prati.
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Un pomeriggio accanto al suo si materializzò un altro cavalletto.
Esile, svagata, intrigante, magnetica. Irresistibile.
Sâaccese un interesse. Seguirono una frequentazione, una passione e il fatale tradimento.
Per Manfred fu lacerante, ma ineluttabile.
Si chiese cosa sarebbe stato il lago dopo. Senza.
Il lago rimase il lago. Il suo rifugio permanente.
La pienezza dellâappagamento fu sostituita dal disinganno della privazione.
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CosĂŹ, senza soluzione di continuitĂ . Quasi che lâantitesi affettiva avesse generato una costante intensitĂ delle emozioni percepite, al cospetto di un paesaggio immutato.
Gli anni continuarono a susseguirsi agli anni. Dopo i temporali di agosto il tedesco era tornato puntualmente a riaprire il fienile, a sistemare i tralci arruffati della vite americana, a girovagare senza meta sul lago.
Ultimamente Manfred aveva applicato alla sua barca un minuscolo motore da quattro cavalli.
Il pot-pot petulante non gli era sembrato piĂš un sacrilegio da quando la consapevolezza del progressivo decadimento fisico lo aveva dissuaso dal narcisismo di remate tonificanti.
Anzi, il ronfare dei bassi regimi gli riproponeva i ritmi di una vitalitĂ che, dopo lâabbandono di Helmut, sentiva ridotta al minimo.
Sempre piĂš spesso se ne restava immobile al centro del lago ad aspettare la quiete plumbea del crepuscolo. La luce che illanguidiva, fra giochi misteriosi di rifrazioni lontane, modulava un concerto di tonalitĂ vivide e fugaci.
Un balletto iridescente che sfiorava la sagoma opaca della Corna Blacca e si impigliava alle nuvole pigre della sera.
Alla fine dellâautunno, poi, il tramonto creava accidentalmente degli spettacoli unici.
Era capitato che, con il cielo giĂ incupito dietro la cresta del Sassello, il sole avesse un improvviso ripensamento. Si illuminava lo Stino, poi piĂš in lĂ il Monte Calvo, seguito dalla Cocca dâIdro e da Monte Croce di Perlè.
Un gelido avvampare di luce che sfavillava sui profili di rocce ed abeti esaltando i bruni decisi degli anfratti in ombra.
I canaloni innevati diventavano lingue di colata lavica e i costoni rocciosi vestivano il solenne fulgore dei pinnacoli di una cattedrale gotica.
Lo spettacolo durava pochi minuti.
Il rosseggiare era risucchiato in alto lasciandosi dietro le montagne algide e impietrite.
La fine dellâincantesimo lasciava stupefatti.
LâimprevedibilitĂ dellâevento, il mistero delle cause, il fatto che per anni e anni non si ripetesse: tutto contribuiva a rendere eccitante lâattesa e sommamente gratificante la ventura di poter assistere al prodigio.
Non furono molte le occasioni, ma quelle rare volte che capitò a Manfred sembrò di aver percepito la rivelazione di una trascendenza permeata nelle forme e nelle magie del suo lago.
Quella mattina di dicembre del â94, Santa Barbara per la precisione, Gino il âpescatoreâ era uscito prima del solito.
Alle undici si inaugurava il monumento ai marinai e lui non voleva proprio mancare. Si sentiva giĂ immerso nel vocio fumoso della âLocanda Gabriellaâ a rievocare le tante missioni nel Dodecaneso e le osterie di Taranto, con le nostalgie di gioventĂš affogate nelle caraffe di Primitivo di Manduria.
Un giorno speciale, senza dubbio, ma non tanto da fargli trascurare quel rituale irrinunciabile, anche se scarsamente redditizio, della pesca.
I remi affondavano appena fra i galleggianti di sughero verdastro, quando Gino notò la stranezza di quella barca immobile in mezzo alle volute leggere di nebbia esitanti a pochi centimetri dallâacqua.
La curiositĂ divenne stupore e poi sgomento, quando riconobbe la sagoma rattrappita di quello strampalato di tedesco che girava in lungo e in largo âindarenâ, senza mai buttare una rete.
Sul volto reclinato, fra i peli radi spruzzati di brina, si apriva un ghigno strano che a Gino âil pescatoreâ sembrò quasi un sorriso appagato.
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Pino Greco
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ID34711 - 07/08/2013 18:11:49 - (sorech) -
Grazie!