È arrivato l’autunno. Sono iniziate le lezioni pomeridiane, molti bambini si fermano alla mensa, ai genitori è stato dato l’orario provvisorio...
I miei bambini di quarta hanno la possibilità di andare a casa “da soli”, anche se qualche genitore preferisce aspettare il proprio cucciolo fuori dal cancello.
I libri di lettura sono ricchi di bellissime poesie su questa stagione meravigliosa (anche se le colleghe, come la maggior parte delle donne, preferiscono l’estate: questione di sangue freddo?).
“Foglie rosse e foglie d’oro, ecco Autunno e il suo tesoro”…
Ci sono bellissime poesie che parlano di vecchio sole ottobrino che splende nelle vigne, di grappoli maturi, di dolcissime foglie gialle che si staccano dagli alberi, di uccelli che partono per lidi più caldi (come vorrebbero fare le mie colleghe).
Rimangono i passeri solitari, che rischiano di finire sullo spiedo in compagnia di gustose patatine.
Insomma, c’è poco da fare: l’estate è finita. Come scrive Emily Dickinson:
“Sono più miti le mattine
e più scure diventano le noci
e le bacche hanno un viso più rotondo.
La rosa non è più nella città.
L'acero indossa una sciarpa più gaia.
La campagna una gonna scarlatta,
Ed anch'io, per non essere antiquata,
mi metterò un gioiello.”
Grande Emily, la poetessa statunitense che scrisse le sue riflessioni e le sue poesie senza mai pubblicarle e, anzi, a volte, nascondendole in posti impensati, dove furono ritrovate solamente dopo la sua morte. Di lei ricordo una poesia straziante…
“Conosco vite della cui mancanza
non soffrirei affatto -
di altre invece ogni attimo di assenza
mi sembrerebbe eterno.
Sono scarse di numero - queste ultime -
appena due in tutto -
le prime molto di più di un orizzonte
di moscerini.”
Uno di questi pomeriggi camminavo sulla strada “romana”, che collega Gavardo a Villanuova costeggiando il fiume. Ero sul malinconico, pensavo a tutta la cattiveria del mondo, la musica sarebbe stata quella della Vanoni…
“E’ uno di quei giorni che ti prede la malinconia che fino a sera non ti lascia più/
la mia fede è troppo scossa ormai ma prego e penso fra di me “proviamo anche con Dio non si sa mai” e non c’è niente di più triste in giornate come queste che ricordare la felicità/ sapendo già che è inutile ripetere chissà “Domani un altro giorno si vedrà”
Incontro una mamma con il suo bambino, era su una biciclettina ed aveva il grembiulino dell’asilo.
Io l’ho solo guardato, sopra pensiero, lui ha staccato la manina dal manubrio e mi ha fatto “Ciao”.
Voi sicuramente penserete che sono un vecchio romantico, ma mi commuovo ancora adesso che lo sto scrivendo.
Drupi canta…
“Regalami un sorriso/per i miei giorni tristi/per quando farà buio se tu non ci sarai
/regalami se vuoi i giochi della sera, i tuoi momenti in fiore la tua felicità/
Vorrei rubare il tempo e andare più lontano/ vorrei far tante cose tenendoti per mano/regalami un sorriso che mi rimanga impresso/ come la prima volta che ho visto l’universo/come la prima volta che ho visto il tuo bel viso/ regalami un sorriso, lo porterò per sempre con me…”
Tornato a casa su internet ho letto di Alex, un bambino di 6 anni di New York, che ha scritto una lettera al presidente Obama.
Commosso dalle immagini di quel bambino siriano coperto di polvere e sangue, adagiato dai soccorritori su un'ambulanza, Alex ha scritto: «Caro Presidente, ricordi il bambino ripreso nell'ambulanza in Siria dopo un bombardamento? Potresti farlo andare a prendere e portarlo a casa nostra? Gli daremo una famiglia e lui sarà nostro fratello».
Mi viene in mente la frase del Vangelo “Se non diventerete come bambini…”
Piccoli ricordi di un anziano maestro: all’asilo andavo dalle suore Orsoline, nel grande e stupendo Monastero di Santa Maria.
C’era la campanella, vicino alla ruota di legno che le suore usavano per far passare una scodella di minestra ai poveri.
Come “el Zanela”, che mangiava la sua scodella e poi andandosene diceva: “Rierà i Rusi!”
Le suore ci dicevano di ascoltare la vocina nel nostro cuoricino, io mi impegnavo ma non sentivo niente.
Ogni anno arrivava Santa Lucia a portarci le caramelle: era bellissima, coperta da stupendi veli, chissà perché ricordava vagamente una delle suore, ma non poteva essere lei, quella suora aveva i baffi! Quando pioveva cantavamo: “Oh Madonnina santa abbi di noi pietà, un po’ di sole per carità…”così per ore e ore, fino a quando il sole aveva pietà di noi…
Eravamo divisi in piccoli, mezzani e grandi, i piccoli li chiamavano “pisoni”.
C’era suor Guglielmina, così piccola che sembrava una bambina.
Robert Fulghum ha scritto: “La massima parte di ciò che veramente mi serve sapere su come vivere, cosa fare e in che modo comportarmi l'ho imparato all'asilo.
La saggezza non si trova al vertice della montagna di studi superiori, ma nei castelli di sabbia del giardino dell'infanzia.
Queste sono le cose che ho appreso:
- dividere tutto con gli altri;
- giocare correttamente;
- non far male alla gente;
- rimettere le cose a posto;
- sistemare il disordine;
- non perdere la roba degli altri;
- dire che mi dispiace quando faccio del male a qualcuno;
- lavarmi le mani prima di mangiare;
- i biscotti caldi e il latte freddo fanno bene;
- condurre una vita equilibrata: imparare qualche cosa, pensare un po', disegnare, cantare, ballare e lavorare un tanto al giorno;
- fare un pisolino al pomeriggio;
- nel mondo badare al traffico, tenere per mano e stare vicino agli altri;
- essere consapevole del meraviglioso;
- ricordare il seme del vaso: le radici scendono, la pianta sale anche se nessuno sa veramente come e perché, ma tutti noi siamo così;
- i pesci rossi, i criceti, i topolini bianchi e perfino il seme nel suo recipiente: tutti muoiono e noi pure;
- non dimenticare, infine, la prima parola che ho imparato, la più importante: osservare.”
L’altro giorno stavo facendo lezione di matematica, vedo Joel, un bambino ricciolo e simpaticissimo, piuttosto mogio. Gli chiedo come mai.
Non riesce a rispondere perché la classe all’unisono annuncia: “Gli è morto il cane!”.
Si chiamava Avana, aveva 15 anni. La mamma ha paura di prenderne un altro –mi dice- perché poi ci si affeziona troppo e si soffre tanto tanto.
Tutti i bambini si scatenano: “Anche a me è morto il cane, ha mangiato il veleno” “A me è morto il gatto, è andato sotto la macchina!” “A me è morto un canarino”
Salta su uno che esclama:“A me è morto il nonno.” Quando? Un po’ di anni fa…La classe sorride.
Immagino il nonno che passeggia su una nuvola in compagnia di cani e gatti.
Facciamo una rapida statistica sugli animali che i bambini hanno a casa, ne emerge un’impressionante Arca di Noè: si va dai pesci rossi alle tartarughe, dalle galline ai falchi, dalle oche del Campidoglio (sic) ai cacatua (e lì si ride di gusto), dai cavalli ai maiali, dai criceti ai conigli.
Un bambino spiega il modo in cui la nonna tira il collo alle galline, io temo che susciti l’orrore nei compagni, ma quelli sono felici di queste scene alla Dario Argento.
Chiara, la simpatica e bravissima figlia della rappresentante di classe, esclama: “Io ho un cappone, ma siccome mi stufa tutte le mattine ho voglia che arrivi Natale così lo mangiamo!”. Forse sto sbagliando qualcosa nell’educazione alla non-violenza….
Comunque è il cane il top dell’animale preferito dai bambini.
Mi ricordo le bellissime frasi di John Grogan ha scritto quando è morto il suo cane Marley…
“Nessuno l’ha mai definito un grande cane, o anche un buon cane. Affrontava gioiosamente la vita, con un entusiasmo associato spesso a disastri naturali.
Marley era un divoratore di divani, un demolitore di porte a zanzariera, un dispensatore di saliva, un ribaltatore di coperchi di pattumiera.
Quanto al cervello, lasciatemi dire che ha dato la caccia alla sua coda fino al giorno in cui è morto, apparentemente convinto di essere sull’orlo di una grossa svolta nel mondo canino.
Era dolce con i bambini e il suo cuore era puro. Aveva toccato le nostre anime e ci aveva insegnato alcune delle lezioni più importanti della vita. Marley mi ha insegnato a vivere ogni giorno con sfrenata esuberanza e gioia, a cogliere il momento e seguire il mio cuore.
Mi ha insegnato ad apprezzare le cose semplici: una passeggiata nei boschi, una fresca nevicata, un sonnellino in un raggio di sole invernale.
E mentre diventava vecchio e malandato, mi ha insegnato l’ottimismo di fronte alle avversità. Soprattutto mi ha insegnato l’amicizia, l’altruismo e una profonda devozione.
Era un maestro e un modello di comportamento.
Era possibile per un cane, qualsiasi cane, ma soprattutto un pazzo cane incontrollabile come il nostro, indicare agli umani le cose che contavano realmente nella vita?
Direi di sì. Lealtà. Coraggio. Devozione. Semplicità. Gioia. E le cose che non contavano. A un cane non servono automobili lussuose, grandi case o vestiti firmati. Un bastone fradicio per lui è sufficiente. Un cane giudica gli altri non dal colore, il credo o la classe ma da chi sono interiormente.
A un cane non importa se sei ricco o povero, brillante o imbranato, intelligente o stupido. Se gli dai il tuo cuore, lui ti darà il suo. Quante persone possono farti sentire unico, puro, speciale? Quante persone possono farti sentire... straordinario?”
Per non frenare l’entusiasmo dei bambini (ma glielo dirò prossimamente) non ho raccontato che una delle paure più grosse che ho sempre avuto è proprio quella dei cani. Me l’aveva trasmessa mia mamma. Appena vedeva il cagnolino formato appartamento della signora del piano di sopra, emetteva urla strazianti…
E’ da allora che quando vedo un cane, io sento che lui sente che io ho paura…e allora ho ancor di più paura!
Di solito i padroni del cane mi dicono: “Vieni avanti, non morde, è buono, el te pia mia…”
Ma io sento il cane che pensa: “Vieni avanti, non mordo, sono buono, di cosa hai paura… “ E intanto digrigna i denti…
Naturalmente anche i cani subiscono la cattiveria degli uomini, e sono abbandonati oppure non addestrati, e costringono a fare lo slalom tra i loro “souvenir”…
Col tempo ho imparato ad avere meno paura dei cani, come con quelli dei miei amici Deni Giustacchini (Merlino), Peppino Coscarelli (Pimpa) e Luca Lombardi (Chaplin, le foto sono sue)
Per finire… questa settimana ha compiuto gli anni mio figlio Andrea, luce dei miei occhi spenti. Quando era bambino gli avevo scritto questa canzone:
“Se dorme un bambino non disturbarlo, il sonno è del bambino tu non rubarlo
il cielo è come un mare, le nubi sono onde, la luna è una barca, naviga tra le stelle…
Il bimbo guarda e sogna l’onda che diventa musica, il vento che diventa voce
la nube che diventa pioggia, il legno che diventa fiamma
la fiamma che diventa fumo, il seme che diventa albero, il fiore che diventa frutto
l’uovo che diventa uccello, il bimbo che diventa uomo.
Se dorme un bambino non disturbarlo il sonno è del bambino tu non rubarlo
il cielo è come un mare, le nubi sono onde, la luna è una barca, naviga tra le stelle…”
Ci sentiamo la settimana prossima, a Dio piacendo.
"Non è stato un martello a rendere le rocce così perfette, ma l'acqua, con la sua dolcezza, la sua danza, il suo suono" (Tagore)
maestro di Prevalle John Comini
ID68365 - 25/09/2016 11:16:55 - (groppello62) -
grazie John, facci pensare e commuovere ancora.