05 Settembre 2011, 07.00
Vobarno
I racconti del lunedì

Divagazione celestiale

di Ezio Gamberini

Quando fece il suo ingresso in paradiso sentì una voce che gli disse bruscamente: “Ohè Abebe, getta la carrozzina e fila ad allenarti con gli altri!”.

Tapascio Bombatus – Quinta puntata
Con settantatre chilometri e venti metri l’etiope stabilì il nuovo record di lancio della carrozzella per beati atleti paraplegici. Si sgranchì un po’ le gambe e si aggregò al drappello che aveva già iniziato il primo degli allenamenti secolari (qui sulla terra i professionisti fanno i bi-giornalieri, lassù i bi-secolari). Ogni diecimila anni si corre la maratona del cielo.
Distanza? Quarantadue virgola centonovantacinque anni luce, quasi quattrocentomilamiliardi di km.
Senza ristori!
Niente microchip e niente classifiche. Si corre, e basta.
 
Del gruppo facevano parte svariati individui, una fauna variopinta e diversificata per età, colore e struttura fisica.
A tirare, davanti a tutti, un piccoletto coi baffi, pantaloncini fin quasi al ginocchio e fazzoletto sulla testa che procedeva ad andatura strascicata.
Quando riconobbe Abebe gli corse incontro, ma arrivato a due metri stramazzò a terra come morto.
Non dava più segni di vita e tutti gli altri stavano immobili, trattenendo il fiato.
 
Abebe si chinò terrorizzato: “Dorando!†.“Ah, ah, ah.…..ci cascano tutti, tutti….†rise di gusto il pasticcere italiano rialzandosi prontamente e scuotendo la testa, divertito.
Sempre lo stesso scherzo, ad ogni nuovo arrivo, e tutti invariabilmente abboccavano come trote.
Si abbracciarono teneramente, senza parlare. Non ce n’era bisogno.
 
In fondo al capannello arrancava un cardinale paonazzo in volto, chiaramente in difficoltà nel tenere il ritmo.
Allo sguardo stupito del ‘leone africano’ rispose con tono piccato: “Beh? Se un ‘capo’ un giorno o l’altro si permetterà di andare a sciare, perché io non avrei potuto correre? Sapessi quante volte ho infilato la tonaca nei pantaloni e appena sopraggiunta l’oscurità, via…. a divertirmi nei giardini vaticani: fondo lento, ripetute, interval training….
Quando sono stato destinato in questo luogo e mi fu concessa la possibilità di scegliere il settore, non ho avuto dubbiâ€.
 
Anche un bambino sgambettava tra lungagnoni e stecchini.
“Che ci fai tu qui?†gli chiese Abebe, incuriosito. “Sono morto per una polmonite, da piccolo – gli rispose l’affarino - Il mio divertimento più grande consisteva nel correre a perdifiato nei campi, per ore e ore.
La mamma mi mandava a far le spese, in paese. Io sfrecciavo cercando di impiegare sempre meno tempo, così, per divertimento.
Quando i miei polmoni e il mio cuore smisero di funzionare mi ritrovai circondato da tutti quelli che vedi ora attorno a te.
‘Dai, andiamo a correre’, mi dissero, e non ho ancora smessoâ€.
 
Abebe Bikila nacque nel 1932 in Etiopia, ad un centinaio di chilometri da Addis Abeba.
Passò la maggior parte dell’infanzia, come la stragrande maggioranza dei suoi coetanei, a fare il pastore.
A vent’anni si arruolò nella Guardia Imperiale e la prima volta in cui si mise in mostra fu nel 1956 durante i campionati delle forze armate, quando stracciò tutti. Vinse con una facilità irrisoria impressionando il numerosissimo pubblico che lo adottò immediatamente come beniamino.
Le porte per l’olimpiade di Roma erano aperte.
 
Il Tapascio Bombatus era nato da quasi due mesi quando l’etiope si accingeva a correre la maratona olimpica a piedi nudi : “E chi se ne frega, le Nike non sono ancora state inventate….†avrà pensato tra sé.
Vinse incantando il mondo intero in una Roma notturna che in quella sera non fece la stupida, ma fu testimone dell’impresa di un grande eroe.
Quattro anni dopo a Tokio, pur reduce da un’appendicite, rivinse la maratona olimpica imprimendo il proprio nome in modo indelebile nell’albo degli indimenticabili, unico atleta a vincere due maratone olimpiche di seguito.
 
In un maledetto giorno del 1968 Abebe Bikila fu coinvolto in un terribile incidente stradale e restò paralizzato dalla vita in giù.
Aveva trentasei anni.
Fu visitato da medici di mezzo mondo, ma dalla carrozzella in autonomia non si alzò più.
Lo spirito indomito lo indusse a correre ancora in tutto il mondo. Vinse nuovamente medaglie in olimpiadi per paraplegici ed in altre svariate gare.
Nel 1973, a soli quarantuno anni, Abebe si spense per un’emorragia cerebrale dopo una lunga malattia.
Amò profondamente la sua patria, fiero di esserne paladino nel mondo.
Ai suoi funerali presenziò un’enorme folla e gli rese omaggio anche l’imperatore, Haile Selassie.
 
La prima maratona fu inserita nei primi giochi olimpici moderni disputati ad Atene nel 1896 per ricordare il valoroso guerriero Fidippide, che corse appunto da Maratona ad Atene per annunciare la vittoria sui persiani in fuga e stramazzò al suolo, morendo, subito dopo aver comunicato la notizia.
L’arrivo era posto nel Panathinaikos, il mitico stadio oblungo capace di settantamila posti a sedere costruito interamente in marmo.
Chissà se un giorno non avrò mai la fortuna di entrare in quello stadio concludendo una maratona.
Se quest’anno per il nostro gruppo di pazzi la meta è New York, nulla esclude che il prossimo anno sia Atene, che solitamente si corre in novembre. In quella circostanza poche decine di podisti si diedero battaglia. Entrò per primo nello stadio Spiridon Louis che però fu sorretto, sostenuto e condotto all’arrivo dai due principi ateniesi. Solo il giorno dopo gli fu assegnata ufficialmente la vittoria.
 
Altra sorte sarebbe toccata dodici anni dopo ad un pasticcere italiano, Dorando Pietri, che giunse stremato all’arrivo, in occasione delle olimpiadi londinesi.
Trenta partecipanti, l’italiano con il numero diciannove.
In quell’occasione la gara era stata allungata di centonovantacinque metri per far coincidere l’arrivo con il punto esatto in cui era collocato il palco della famiglia reale.
Da quella competizione in poi la maratona acquisì la sua lunghezza definitiva: quarantaduemilacentonovantacinque metri.
 
Nello stadio olimpico di Londra, teatro principale delle olimpiadi 1908, erano presenti novantamila spettatori.
Pietri giunse davanti a tutti, ma non si reggeva in piedi, così un membro dell’organizzazione lo aiutò a tagliare il traguardo (alzi la mano il maratoneta che non ricorda la storica foto dell’italiano coi baffetti, pantaloncini alla zuava e fazzoletto sulla testa, che arranca esausto sostenuto per il braccio da un inglese con bombetta e megafono in mano).
 
Gli fu negata la vittoria: squalificato!
L’emozione che suscitarono l’impresa e soprattutto l’epilogo furono straordinarie, portando l’italiano alla ribalta mondiale.
Di chi vinse quella gara nessuno si ricorda più, Dorando Pietri, invece, ricevette riconoscimenti addirittura dalla famiglia reale, commossa dall’evento, e di lui si ricorderanno omnia saecula saeculorum. 
Vi lascio immaginare i battibecchi e gli alterchi tra Louis e Pietri!
 
“L’hai rubata, giocavi in casa!†diceva inviperito Dorando a Spiridon (per quanto si possa essere inviperiti in paradiso).
“E poi, come si fa a chiamarsi Spiridon……’'Spiridon, passami il sale…’ â€.
“ E tu? Ti sei inventato tutto….. ‘poverino, non si regge in piedi…’ per essere ricevuto dal re….. italiani attori e falsi…. e poi, dici del mio nome, e il tuo, che è un gerundio?†rispondeva l’altro tra l’ilarità generale.
 
Abebe ascoltava e osservava divertito, ma non aveva diminuito l’andatura, perciò li aveva distanziati tutti quanti di un bel po’.
Il greco, l’italiano e l’intera combriccola di beati podisti si accorse ben presto che la situazione stava prendendo una brutta piega: “Oh, dove va il ‘cioccolatino’? Guarda come fila!â€.
Così smisero di ridere, lo raggiunsero e gli stettero a ruota. E per quel secolo non parlarono più.
 
Tratto dal volume: “Tapascio Bombatus e altre storie†– Ed. Liberedizioni
 


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