01 Marzo 2007, 00.00
Vestone
Storie

Le osterie di Nozza raccontano

In questo Eldorado che č la provincia di Brescia, le storie non hanno la pretesa di essere snidate. Ti vengono incontro, come falene attratte da una luce. E a te non rimane che fare il resto.

In questo Eldorado che è la provincia di Brescia, le storie non hanno la pretesa di essere snidate. Ti vengono incontro, come falene attratte da una luce. E a te non rimane che fare il resto.
Con me, poi, la gente parla facilmente, ho occhi che non abbassano mai la guardia, ascolto conversazioni sui tram, liti nei bar, scippo confessioni ai tavoli dei ristoranti. Nei phone-center c'è sempre un computer troppo vicino ai telefoni, così, ascolto i resoconti delle vite spezzate di tanti extracomunitari: soldi che non arrivano, sogni che non si avverano, insuccessi che non si raccontano. Si ride molto a quei telefoni, ma si esce anche con gli occhi lucidi.

Prima di Natale accompagno un amico a Nozza. Mi dice di aspettarlo in macchina, ma la cosa va per le lunghe, e io, stanco di aspettarlo, scendo dall'auto e cammino per le strade di questo paese che non conosco.

Albergo Prandini e Bar Jolanda. Entro in un bar.
Il titolare è di una loquacità olimpica e mi racconta che da Nozza passò Napoleone. Mi racconta che si fermò all'Albergo Prandini ma chiese solo un uovo perché temeva di essere avvelenato.
Mi dice che al bar Jolanda - che chiuse nel dicembre di tanti anni fa, esattamente nel 1978 - c'era un certo Albertini che era il Ronaldinho dei gelati. Preparava dei gelati con le fragole coltivate in riva al fiume da urlo, e il gelato dei siòri, che c'era gente che prendeva la macchina e veniva da Brescia per mangiarlo. «E com'era?» - gli chiedo ingolosito. «Canditi tritati in un misto di panna, ma lo preparava di rado perché era lungo da fare» - sospira il barista.
Oggi i gelati li fanno tutti con le macchine, allora no. L'Albertini stava sempre attento che il composto non si attaccasse alla pentola, perché lì stava la magia. Una volta, un bresciano mangiò tanto di quel gelato che l'Albertini, tra sè, pensò, oddio, adesso questo mi schiatta. Non schiattò, ma si mangiò anche i coni che, all'epoca, erano di carta e lasciò il bar dondolando cionco come un pachiderma ubriaco.

La Trattoria Tanzer Verboten
Poi mi racconta del bar Tabacchi, che per un periodo si chiamò Trattoria del cappello, e che durante la seconda guerra mondiale soprannominarono «Tanzer Verboten» perchè i tedeschi non volevano che lì si ballasse.
Il Jolly Bar, invece, era famoso per gli spiedi e per il minestrone che cucinavano il giorno dei morti. «Oh - mi dice il barista - roba da pentoloni da 40 litri!». Nel ’72 al Jolly, si fermarono Bettega e Carmignani e siccome a differenza di Napoleone non temevano di essere avvelenati ordinarono due caffè, una brioche, e forse, una sambuca.

Poi c'era l'antica Trattoria Ferremi della famiglia Trombini che chiuse alla fine degli anni Sessanta, in cui, si narra, ma non è proprio certo, che una sera, si fermò Garibaldi che si riscaldò al fuoco e sgranocchiò castagne. «Anche lui?» chiedo divertito, perchè a questo punto del racconto Nozza mi sembra più mondana di Parigi.
Il lunedì, giorno di mercato, all'antica Trattoria si puliva la trippa nei mastelli e si aspettavano i carrettieri, sempre affamati come lupi. Quando ripartivano si facevano le grandi pulizie con candeggina e «fenice», e quando si uccideva il maiale c'era il pestom e al norcino si offrivano anche nervetti e gamberi di fiume. I peggiori clienti della Trattoria furono i tedeschi. Le SS rubavano tutto, e dei soldati tirarono una bomba a mano contro il locale e mitragliarono la facciata.
C'era un cliente dell'antica Trattoria, che tutti a Nozza conoscono come il Giferti che, nei periodi di vacche magre, aspirava l'olio di vaselina dalle bottiglie di vino appena aperte e poi lo usava per condirci l'insalata.

La brocchetta alla Croce bianca
Il Giferti era un cliente assiduo della Trattoria Croce Bianca che per 38 anni fu di proprietà della signora Jolanda Stagnoli. Il Giferti le fece acquistare una brocchetta di terracotta in cui avrebbe bevuto solo lui. La brocchetta era tenuta sotto chiave in una credenza e non doveva mai essere lavata affinché non perdesse l'aroma di vino che la impregnava. Un giorno, però, per errore, qualcuno lavò la brocchetta e il Giferti perse la testa e mise a soqquadro il locale.
Sotto al portico della Croce Bianca, a volte, si tenevano rappresentazioni del teatro dei burattini. In tutti i bar di Nozza, invece, si giocava segretamente a morra.
Al bar Amici, chiamato anche la Busa, una domenica del 1962 la morra infiammò a tal punto gli avventori che nessuno si accorse che si era incendiato il camino. Non smisero di giocare nemmeno quando irruppero i pompieri nella sala. Negli anni successivi, il bar diventò trattoria.
Molti clienti, nel periodo invernale, non pagavano le consumazioni ma le facevano segnare, con la promessa che dopo il taglio della legna, avrebbero saldato tutto. Al bar si stipulavano anche i contratti per la compravendita del bestiame. I contratti venivano conclusi a voce, e quando si trovava l'accordo si battevano le mani in presenza del sensale.

I quattro anni della «Breda»
Ma è alla fine che il loquace barista cala l'asso dal mazzo. E l'asso ha un nome: Osteria della Breda. Apparteneva alla famiglia Facchetti, e restò aperta solo quattro anni dal 1924 al 1928, ma divenne famosa, anzi, mitica, per la battaglia delle pannocchie. Quando gli abitanti di Bione rientravano dal mercato e avevano dei conti da regolare, anzichè fare a cazzotti, staccavano le pannocchie appese ai travi dell'osteria e se le tiravano dietro. Vuoi vedere che è da qui che ha avuto origine la frase «ti tiro una pannocchia»?

(1 - continua)

Luca Cairoli da Bresciaoggi


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