Un'indagine per inquadrare più da vicino il peso della scuola sulle vite degli studenti nell'odierna società: questioni, richieste, possibili interventi
Colpiti dalle recenti notizie riguardanti suicidi in ambito scolastico, come ragazze e ragazzi scout, ma soprattutto come studentesse e studenti, abbiamo cercato di approfondire il problematico rapporto dei giovani con la scuola e le rappresentazioni sociali a essa collegate.
I fenomeni problematici in cui ci siamo imbattuti non sono isolati, ma risultano più comuni di quanto si pensi; nonostante ciò, essi ci appaiono socialmente sottovalutati.
Molti studenti affrontano la loro vita scolastica sentendo la pressione di dover fare “sempre più” e “sempre meglio”, avvertendo la scuola come un ambiente stressante a cui dover sacrificare le attività esterne.
Tali pressioni hanno origine dalle ambizioni personali, dalla rivalità con i compagni e dalle aspettative dei familiari, che si rivelano in realtà lo specchio e il prodotto di una società sempre più individualista, competitiva e votata al successo personale a tutti i costi.
Ciò va minare lo spirito di cooperazione all’interno della classe e si traduce in un attaccamento ossessivo al voto, attorno al quale gravitano le ansie, le aspettative e le paure degli studenti.
È quello che abbiamo riscontrato
attraverso un sondaggio svolto su un campione di 331 studenti tra i 14 e i 25 anni frequentanti scuole secondarie di secondo grado e università; la maggior parte (81,6%) di un’età compresa tra i 14 e i 18 anni e frequentante per lo più un liceo, rispetto a un istituto tecnico o professionale, la restante parte invece iscritta all’università.
Ben un terzo del totale si sente stressato per le valutazioni, che sono recepite serenamente solo dal 20% degli intervistati, mentre la metà ritiene che i risultati ottenuti non rispecchino l’impegno profuso.
I risultati raccolti indicano che
il disagio in ambito scolastico è alimentato inoltre dal carico di lavoro percepito come eccessivo e dalla onnipresente sorveglianza degli adulti, che porta i giovani a sentirsi poco degni di fiducia e a vivere sempre più isolati in un ambiente scarsamente stimolante.
Rispondendo al nostro sondaggio, gli studenti hanno suggerito come possibili soluzioni una maggiore elasticità e disponibilità all’ascolto da parte degli insegnanti, una maggiore imparzialità che eviti preferenze e disparità di trattamento, ma soprattutto una migliore organizzazione per distribuire in maniera equa ed equilibrata verifiche, interrogazioni ecc.
In generale emerge da parte dei giovani la necessità di essere compresi dai docenti che invece, a quanto dichiarato, non riescono a mettersi nei loro panni e a capirne le difficoltà.
Un peso importante ricoprono anche le rappresentazioni proposte dalla società del cosiddetto “studente modello” che dedica gran parte o tutto il suo tempo allo studio per raggiungere l’eccellenza, trascurando però aspetti essenziali della vita, come la socialità, gli hobbies o il sonno.
Anche i mass-media contribuiscono alla narrazione e alla propaganda di questa visione distorta, lodando tali brillanti risultati e tralasciandone gli aspetti tossici.
Ciò causa disagio al 25% degli intervistati, i quali non si sentono all’altezza e insistono nel darsi obiettivi troppo alti che però non riescono a raggiungere: il risultato è un aumento di ansia e l’inizio di un circolo vizioso.
Circa il 36% dei giovani pensa che un supporto psicologico possa essere un aiuto per contrastare le suddette problematiche.
Più dell’80% afferma che negli istituti frequentati è attivo un servizio di sportello di ascolto; ciononostante molti preferiscono un supporto privato e la maggior parte degli studenti intervistati non ha comunque mai fatto ricorso allo psicologo presente a scuola o pensa di non averne bisogno.
Un motivo è la paura di non essere seguiti adeguatamente, essendoci un solo psicologo a coprire il bisogno di molti studenti.
In certi casi però questo servizio non è neppure garantito, ma della sua necessità si è convinto anche il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara.
Infatti, in seguito alla vicenda dell’accoltellamento di una docente da parte di uno studente in un liceo di Abbiategrasso, il ministro ha espresso la volontà che
“si colga l’occasione per riflettere sull'introduzione dello psicologo a scuola: è un momento particolarmente difficile, il disagio dei ragazzi, anche a seguito del Covid, è aumentato”.
La cronaca purtroppo racconta che questo non è un caso isolato ma episodi di bullismo, disagio e tentativi di suicidio dovuti a stress, ansia e depressione avvengono quotidianamente.
Date tutte queste circostanze,
il 40% dei ragazzi intervistati ha preso in considerazione l’ipotesi di abbandonare gli studi. Tale dato non stupisce dal momento che l’Italia è uno dei paesi in UE con il più alto tasso di abbandono scolastico pari al 13,1% contro il 9,9% della media europea.
Inoltre,
il 35% ha pensato di compiere gesti estremi a causa delle pressioni sofferte nel contesto scolastico e seppur questi atti non riguardano la maggior parte degli intervistati vengono comunque ritenuti un grave problema da affrontare.
Per farlo in modo serio occorre sicuramente ripensare e migliorare sia la didattica sia il sistema scolastico e incrementare il supporto psicologico, ma non sarebbe lungimirante e risolutivo adottare queste disposizioni senza un profondo ripensamento di una società e di un modo di viverla improntato all’individualismo, alla competizione, al risultato e al successo.
Per dirla con don Milani, non dovrebbe tanto importarci di “come bisogna fare per fare scuola, ma solo di come bisogna essere per poter far scuola”.
Clan Scout Gavardo-Salò